Cambiamento climatico: in attesa di Poznan
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Laura BortoluzziDal 1° al 12 dicembre si terrà a Poznan la conferenza sui cambiamenti climatici. Dopo le elezioni americane e in piena bufera finanziaria, quali posizioni prenderanno Ue e Usa? Alcuni paesi stanno usando la crisi per sottrarsi agli impegni ambientali presi con Kyoto.
Anche se i due candidati alla Presidenza americana, John McCain e Barack Obama posso sembrare “ecologisti” nel contesto statunitense, il dibattito sui cambiamenti climatici divide la maggioranza degli elettori americani. Il rapporto Transatlantic Trends del 2008 rivela che i sostenitori di Obama sono più sensibili al problema del surriscaldamento globale (22%) rispetto a quelli di McCain, che sono invece più preoccupati dal terrorismo, le armi nucleari e il fondamentalismo. L’82% dei cittadini europei si preoccupa del surriscaldamento globale e il 41% vede i cambiamenti climatici come il problema più urgente dopo il terrorismo, a fronte del 42% degli americani che al secondo posto mettono invece la crisi economica. Con le elezioni fissate per il 4 novembre, gli Usa si troveranno in una scomoda posizione quando si celebrerà la conferenza Onu sui cambiamenti climatici in Polonia, dall’1 al 12 dicembre.
Nel marzo 2001, l’amministrazione Bush non aderì al Protocollo di Kyoto contro il surriscaldamento globale, spiegando che i provvedimenti in esso contenuti avrebbero danneggiato le industrie americane. Il quadro normativo di Poznan dovrà rimpiazzare quello di Kyoto, che decadrà nel 2012. Il nuovo Presidente statunitense tuttavia non si insedierà fino a gennaio 2009 e ciò vuol dire che al tavolo delle trattative siederà ancora l’amministrazione Bush.
Crisi finanziaria, non climatica
Nel frattempo l’Unione europea, tradizionalmente capofila di questa battaglia, è stata gravemente colpita dalla bufera finanziaria. A Poznan l’Ue ridimensionerà le proprie richieste al mondo? Al vertice europeo di ottobre si è raggiunto un accordo su una strategia coordinata a livello internazionale per affrontare la crisi finanziaria. Grazie a fondi statali a sostegno delle banche in difficoltà, è stata iniettata una “dose di fiducia” nei mercati europei danneggiati dall’iniziale mancanza di una strategia comune. Gli ambientalisti, tuttavia, vedono queste discussioni come un preoccupante presagio di quello che avverrà a Poznan.
Il summit sui cambiamenti climatici è stato surclassato dalla crisi finanziaria? Di sicuro un presagio è arrivato quando un gruppo di otto paesi dell’Europa dell’est – Bulgaria, Estonia, Lettonia, Ungheria, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia – hanno detto di non poter più rispettare gli impegni precedentemente presi in materia di politiche ambientali. Chiedono che i limiti alle emissioni di CO2 vengano rivisti alla luce delle “gravi incertezze economiche e finanziarie”. Anche il Governo ha annunciato il proprio veto se gli obiettivi non verranno ridimensionati: le imprese del Bel Paese ne sono uscite troppo danneggiate. È stato un giorno di cocente delusione per coloro che avevano lavorato all’implementazione dell’imponente pacchetto di misure messo a punto dalla Commissione europea: il piano di riduzione, entro il 2020, delle emissioni di CO2 del 21% rispetto ai livelli del 2005 aveva riscosso un ampio consenso. La Polonia, la cui produzione di energia elettrica è a carico per il 96% di impianti a carbone, ha guidato il fronte del no. Ma gli osservatori hanno ricordato che la Polonia – e Berlusconi – non sono mai stati soddisfatti dell’accordo e stanno semplicemente usando la crisi finanziaria per sottrarsi agli impegni sottoscritti. Secondo alcuni, i detrattori dell’accordo starebbero solo cercando di ottenere più finanziamenti dall’Ue. Altri fanno notare che queste nazioni europee più povere avanzano una giusta obiezione: gli stati dell’ex blocco sovietico sono stati quelli che hanno maggiormente ridotto le emissioni di CO2 con la chiusura di molte fabbriche altamente inquinanti nel corso degli anni Novanta.
Il dibattito in corso fra gli stati dell’Unione si ripresenterà probabilmente nella conferenza di Poznan di dicembre: le nazioni più povere non possono far fronte agli impegni per via dell’attuale congiuntura economica, mentre quelle più ricche dimostrano scarso entusiasmo per ogni modifica che possa pregiudicare la crescita economica. Nonostante ciò, con gli scienziati che dicono che le emissioni di CO2 devono essere drasticamente ridotte entro i prossimi 10-15 anni se vogliamo scongiurare cambiamenti climatici potenzialmente catastrofici, i Ministri dell’Ambiente e delle Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme a Varsavia il 14 ottobre. Il Ministro austriaco Yvo de Boer, segretario esecutivo della riunione, ha ammonito: «L’attuale bufera finanziaria non dovrebbe essere utilizzata come scusa per rallentare le azioni di contrasto ai mutamenti climatici». Ha fatto notare che alcune di queste misure potrebbero tradursi in benefici economici sia per le nazioni sviluppate che per quelle in via di sviluppo, anche se ha omesso di specificare di cosa si tratti.
È difficile prevedere a questo punto quale sarà il risultato della conferenza di Poznan. Ma se il disaccordo emerso in ottobre fra le nazioni dell’Ue è un indizio, dovrebbe rivelarsi un dibattito molto acceso, con l’onnipresente nuvola della crisi economica che incomberà sulla riunione come una spada di Damocle.
Translated from Climate change conference in December: previewing Poznan