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“Amal” vuol dire“Speranza”: il cinema arabo in 5 punti

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Culturasocietà

Il Festival Internazionale del Cinema Euroarabo Amal, punto di riferimento della produzione cinematografica araba in Spagna, ha avuto luogo anche quest’anno, dal 14 al 20 ottobre scorso a Santiago de Compostela, tagliando il traguardo delle dieci edizioni, suscitando curiosità nello spettatore e elevando questa categoria, una delle meno conosciute dal grande pubblico, a un livello che non ha

nulla da invidiare a quello dei grandi eventi del cinema europeo. Il festival declinato in cinque chiavi da uno spettatore, direttamente dal Teatro Principal.

Tutti i film presentati al concorso (31 nella sezione finale) sono riusciti a riportare perfettamente quella che è la situazione attuale dei paesi arabi, da un punto di vista politico, economico e sociale: “una rosa ben scelta, che riflette il desiderio di libertà di questi paesi”, commentava una voce tra gli spettatori. Tuttavia, molti sono stati d’accordo nell’affermare che i documentari proposti non affrontavano adeguatamente i temi legati alle situazioni politiche sorte nei paesi arabi negli ultimi mesi: una carenza che può essere giustificata dall’inesistenza di un periodo post-rivoluzionario completamente concluso, e dal fatto che la lotta per il cambiamento è tutt’ora in atto.

Nonostante ciò, il festival Amal continua a giocare un ruolo importante, grazie al suo intento di riflettere ciò che giorno per giorno sta succedendo in questi paesi. Le opere presentate non hanno mirato solo all’attenzione del mondo arabo, ma hanno trovato riscontro anche nel pubblico occidentale. Da entrambe le parti era possibile riconoscere spiragli di luce, che facevano intravedere un piccolo barlume di speranza e una società viva e piena di sogni, in questa rinascita araba. In tal senso risulta necessario estrarre i punti focali, che hanno rappresentato i pilastri di questo festival: i cinque elementi che han fatto sì che questo evento fosse considerato una vera celebrazione che unisce l’Europa e il mondo arabo.

1. Il luogo: il teatro e la città

Quale luogo più adatto del Teatro Principale della capitale galiziana per celebrare questo festival? Una cornice carica di storia e magia, che trasporta le pellicole in un ambiente accogliente e confortevole necessario per ospitare lo spettatore durante lo scorrere dei fotogrammi. Le vecchie strutture e le quinte del teatro lasciano posto al futuro e alla lotta del popolo arabo.

Allo stesso modo, di fronte all’ostentazione e al lusso dei galà di premiazione a Hollywood, piccoli festival come questo dimostrano che la vera essenza di una celebrazione sta nel contenuto e nella sana competizione che si viene a creare. Il fatto che questo evento si celebri a Santiago de Compostela, città che ha vissuto una più che atipica trasformazione culturale, è già di per sé un buon motivo per segnare l’appuntamento sulla nostra agenda.

2. La grande scommessa del documentario

Sono pochi i festival che dedicano grande spazio ai documentari. Forse è proprio l’essenza del cinema arabo a essere più vicina a questo genere, ma non per questo è messo in secondo piano il più tradizionale lungometraggio: “La maggior parte dei film proposti sono girati prediligendo il punto di vista umoristico e mirano alla creazione di una corrente creativa”, suggerisce lo sceneggiatore di Pontevedra Alfonso Pato. Scommettere sulla realtà più pura, senza artefatti né effetti speciali, porta a questo genere grandi consensi e amplia le frontiere del cinema, poiché propone una visione complementare a quella offerta dai media.

3. La giuria: le “vittime”

Sì, vittime, ma in senso positivo. Durante tutto l’anno, il festival ha ricevuto un’enorme quantità di pellicole di ogni tipo: “La rosa di opere scelte per il festival non può riportare tutti i problemi del mondo arabo, benché si sprigioni un sentimento di speranza in ogni pellicola”, precisa l’attrice franco-marocchina Sanâa Alaoui, che ha presieduto la giuria. La scelta non è stata facile, ma ciò che è emerso è che il vero vincitore di questa cerimonia è stato il cinema arabo, che ha acquisito visibilità.

4. Il sostegno delle nuove tecnologie

Chi, alla nascita del festival, avrebbe immaginato che si sarebbe potuto discutere in tempo reale con l’Olanda? Le nuove tecnologie sono state uno strumento fondamentale per il miglioramento e la crescita di questo evento, e hanno permesso che si favorisse un maggiore dialogo tra il pubblico e l’équipe tecnica. Domande e risposte si sono potute muovere attraverso lo stesso canale, con l’obiettivo comune di godere del cinema arabo.

5. Il pubblico e la sua voglia di discutere

Forse il punto più importante. “Bisogna inquadrare tutte le opere del festiva in un contesto socio-politico. Il tema della rivoluzione araba e della creazione di nuove realtà democratiche non è ben trattato”, sosteneva Tahar Houchi, direttore del Festival Internazionale del Cinema Orientale di Ginevra e membro della giuria a Santiago. Senza un pubblico coinvolto, il dibattito sulle conseguenze della primavera araba non avrebbe avuto luogo. Le discussioni e le riflessioni si sono alternate senza sosta durante tutti i sei giorni del festival.

Al termine della proiezione di "Hamama" (2010)

Probabilmente, se c’è qualcosa che è risultato chiaro, è che nessuno dei presenti è uscito dalla platea con dubbi irrisolti sui contributi video proposti. È sorprendente vedere quanto una città situata a chilometri di distanza dai paesi rappresentati sugli schermi mantenga intatta la sua curiosità e la sua voglia di ampliare la sua cultura di fronte a ciò che le è ignoto.

Immagini: copertina e testo, © Festival Internacional de Cine Euroárabe Amal; fotogramma, © Mohamed El Wassifi/Vimeo.

Translated from “Amal” significa “esperanza”: cine euroárabe en 5 claves