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Alsarah: "Non sono un'attivista, ma canto per gli attivisti"

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Roberta Calabrò

Creative

Costretta a lasciare la sua terra natia, il Sudan, in tenera età, Sarah Mohamed Abunama-Elgadi - meglio nota come Alsarah - resta legata al suo retaggio e alla sua cultura attraverso la musica. Subito dopo l'uscita dell'album della sua band, i Nubatones, chiediamo ad Alsarah com'è cantare in arabo per un pubblico occidentale.

Alsarah sembra perfettamente a suo agio seduta all'esterno di un bar nel cuore del 18esimo arrondissement di Parigi. Lei sembra il tipo di persona che si sentirebbe a casa praticamente ovunque; forse perchè ha lasciato la sua terra molto presto. Dopo la fuga dal Sudan, in seguito al colpo di stato militare del 1989, per raggiungere lo Yemen, i suoi genitori sono partiti nuovamente quando in Yemen è scoppiata la guerra civile, per poi stabilirsi infine nella dormiente cittadina rurale di Amherst, in Massachusetts. Non c'è da stupirsi se alla fine la sua crescita è stata segnata da quel clima di costante cambiamento.

"Ho avuto una crisi d'identità quand'ero più giovane," afferma. "La domanda 'Da dove vieni?' continuava a ripresentarsi durante la mia crescita, soprattutto nell'adolescenza… Ho cominciato a sembrare troppo diversa in ogni posto in cui mi trovavo." Ma guardandosi indietro, riconosce il grande ruolo che questo ha avuto nel determinare il suo atteggiamento verso la vita: "Ho molta più fiducia in me stessa. Credo che dopo esserti chiesto continuamente chi sei, e aver percepito così a lungo la necessità di doverlo dimostrare, devi lasciar correre prima o poi ed accettare il fatto che l'identità è una, proprio come casa tua, e proprio come i confini."

Alsarah si definiva una 'figlia urbana', ed Amherst è stato un vero shock culturale - di quelli che l'hanno fatta sentire invisibile e allo stesso tempo non l'hanno fatta passare inosservata. "Eravamo l'unica famiglia dell'Africa orientale in tutta la regione, quindi ovunque andavo la gente si voltava e parlava molto. Per quanto l'America delle piccole città se ne preoccupi, si tratta di un'area molto liberale, per cui poteva andare molto peggio. Ma allo stesso tempo c'è un certo tipo di disagio che nasce dall'essere troppo esotizzati." Soprattutto per questo ha deciso di trasferirsi a New York e stabilirsi a Brooklyn: "Lì tutti sono immigrati, è una città di immigrati, ed è normale essere un Altro. Quell'invisibilità mi tranquillizzava molto. Adesso mi sento così a casa lì."

Mi chiedo se stare nello stesso luogo farà sentire Alsarah soddisfatta. Ecco che parla del Messico e scherza sull'eventualità che diventi un nuovo porto in cui approdare. "Dopo esserti trasferito così tante volte, reagisci in uno dei due modi: o rimani legato a un luogo per tutta la vita, o diventi una di quelle persone che non vedono l'ora di trasferirsi."

Stare sotto i "riflettori dell'Occidente"

Alsarah ha fondato i Nubatones con la sorella Nahid nel 2010. I testi cantati in arabo sudanese e l'attenzione agli strumenti tradizionali, lasciano intravedere nella musica della band delle profonde radici personali. Ma ad ogni modo, è lo studio accademico che sta dietro a tutto questo: Alsarah ha una laurea in etnomusicologia alla Wesleyan University.

"Mi attirava l'etnomusicologia perchè volevo studiare la musica non occidentale, e ci sono pochissimi altri modi per farlo. I miei studi sul campo in Sudan sono stati i primi passi verso un ritorno alla musica di questo paese, ma credo che la cosa più importante che abbia imparato sia il modo in cui gli occidentali guardano l'Altro."

Cantando in arabo per degli spettatori (spesso a maggioranza bianca) in Portogallo, Francia e Svezia, Alsarah sa come ci si sente ad essere esaminati da sguardi occidentali. Il trucco per ridurre quello scrutinio, a suo avviso, sta nel mostrarsi agli spettatori come una persona piuttosto che come un mezzo per arrivare a conoscere l'Africa intera - ciò che lei descrive come un'esperienza da 'Venere ottentotta'.

"So che si dice sempre che la musica dovrebbe esistere al di fuori dell'artista ma la mia musica dipende da me. È molto più che una parte di me, ed io sono una parte di lei. Ecco perchè racconto alla gente le storie che ci sono dietro alle mie canzoni; così che possa comprendere da dove vengo quando le canto. Non è mai una traduzione diretta delle parole, solo del contesto: 'Mi piace cantare questa canzone perchè mi ricorda questo e quest'altro…'  Non so cosa arrivi alla gente, ma spero che se ne vada avendomi vista come persona."

"Essere consapevoli è un modo per guarire"

'Ya Watan' - Alsarah and the Nubatones

Ho chiesto ad Alsarah del primo singolo tratto dall'ultimo album dei Nubatones Manara (conosciuto anche come "The Lighthouse"). Con il titolo 'Ya Watan', tradotto più o meno 'Oh, terra mia', è stato scritto a novembre dello scorso anno, ispirato dell'incertezza provata da Alsarah all'indomani degli attacchi in Francia e Belgio e per le questioni, a quanto pare senza fine, in Medio Oriente. "Se non si trova certezza e compagnia nella propria terra, dove andare quando questa viene meno?" si chiede.

È una canzone piena di metafore. Quando Alsarah prova a spiegare il testo in inglese - "companionship has died in the family courtyard, not even time is aware of its passing" - si percepisce la sua riluttanza nel cantare in questa lingua o tradurre i suoi testi. Dopo tutto, come lei mi chiede: "Come si fa a spiegare una parola che ha sei diversi significati in inglese?"

In passato Alsarah ha detto che Manara era stato pensato per essere ascoltato tutto in una volta; ha citato tra le sue influenze The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, ed i sintetizzatori pulsanti all'inizio di 'Ya, Watan' ricordano decisamente 'On The Run'. È un suono moderno e rétro allo stesso tempo e Alsarah afferma che l'album parla dell'impazienza dell'attesa ma anche del lasciarsi andare ai ricordi: "Non ti libererai mai delle tue paure sul futuro senza comprendere il passato. Non devi restare fermo o tornare indietro - devi solo essere consapevole e pensare che esserlo è un modo per guarire."

"La speranza svanita insegna qualcosa"

Infine, inevitabilmente, la conversazione si sposta sulla politica. I genitori di Alsarah erano degli 'attivisti intransigenti' - alla maggior parte dei bambini non viene letto Il Capitale ogni sera prima di andare a letto - e la sua vena politicamente attiva è palese. Nel 2010, quando il Sudan si preparava alle elezioni presidenziali, lei ed il rapper sudanese-americano Oddisee (allora suo vicino a Brooklyn) hanno creato un video musicale chiamato 'Vote!' per incoraggiare i sudanesi più giovani ad arrivare in numero sufficiente per cacciare il dittatore del paese, Omar al-Bashir. Le loro speranze hanno avuto vita breve: nonostante le manovre elettorali e anche i brogli, al-Bashir è stato rieletto con il 68% dei voti.

"Per un po' mi sono sentita molto sciocca ed ingenua per aver pensato all'eventualità di un cambiamento," dichiara Alsarah. "Ma adesso mi rendo conto che anche lo svanire di quella speranza è stata una lezione importante. Bisogna saper vedere i segnali, riconoscerli e farsi sentire subito invece di ignorare le cose." Dalle sue esperienze in Sudan nasce certamente l'attenzione ad un'altra importante elezione: "Spero che queste elezioni negli USA abbiano portato alla luce qualcosa che ho percepito per molto tempo, ovvero il fatto che l'America vive in una dittatura bipartitica. Questa elezione ne è la prova più di qualsiasi altra cosa. Specialmente per una nazione di immigrati, essere qui adesso, è imbarazzante."

Ma cosa direbbe di un eventuale "Vote! 2.0" per un pubblico di giovani americani privati dei loro diritti? “L'ho quasi fatto, ma poi mi sono chiesta quante persone griderebbero semplicemente "Zitta, immigrata!" Ride, ma posso anche immaginare i commenti di YouTube. "Però posso votare e mi assicuro che anche i miei amici possano. Non sono un'attivista, ma mi piace cantare per gli attivisti."

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Manara esce il 30 settembre.

Translated from Alsarah: "I'm not an activist, but I sing to the activists"