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Aborto alla polacca: una storia di grucce, diritti e proteste

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societàMind the Gap

(Opinione) Perché il recente progetto di inasprire la legge anti-aborto solleva tante controversie? Cosa ha fatto sì che in Polonia migliaia di donne e uomini non impegnati politicamente decidessero di scendere in strada a protestare? Perché le polacche "trollano" in massa il premier Beata Szydło sul suo profilo Facebook con l'hashtag #TrudnyOkres (periodo difficile)?

La risposta è semplice: ci siamo infuriate. Ci unisce una cosa: ne abbiamo abbastanza che la Chiesa e i politici, da molti anni ormai, decidano per noi o per i nostri corpi. Come si è giunti alle attuali norme sull'aborto in Polonia?

Libertà ai tempi dell'oppressione

Dopo il 1945 vigevano in Polonia le stesse leggi presenti prima della Seconda guerra mondiale. L'aborto era considerato un delitto, ed era prevista una pena per la donna. Solo due eccezioni erano ammesse: nel caso in cui una commissione medica giudicasse l'interruzione della gravidanza necessaria in riguardo alla salute della donna e nel caso in cui esistesse il fondato sospetto che la gravidanza fosse il risultato di un atto di violenza, di incesto o di rapporti sessuali con una ragazza minore di 15 anni. Nel 1956 poi la legge fu decisamente mitigata. Tra i cambiamenti più importanti vi fu quello di permettere l'aborto a donne in difficili condizioni di vita, nonché la decriminalizzazione dell'aborto stesso. Questa legge rimase in vigore fino al 1993. In pratica ciò significò che per quasi 40 anni le donne poterono interrompere una gravidanza indesiderata con una certa libertà. Lo facevano per motivi diversi che, di solito, solo loro conoscevano. Nella società polacca esistono molte storie di nonne, zie o madri che raccontano dell'amica dell'amica che si è fatta raschiare l'utero, cosa per niente straordinario durante il periodo della PRL (Repubblica Popolare di Polonia, n.d.r.).

Compromesso o tradimento?

Di fronte a 40 anni di relativa libertà in materia non c'è da stupirsi che l'approvazione del cosiddetto "compromesso sull'aborto" del 1993 abbia scatenato ondate di proteste. La legge sulla pianificazione della famiglia consentiva l'aborto solo in tre casi, sussistendo: un pericolo per la salute o la vita della donna; la forte probabilità di una grave ed irreversibile condizione di ritardo mentale del feto; il sospetto che la gravidanza fosse dovuta ad un atto proibito. Nel gennaio 1997 le regole vennero nuovamente mitigate, e l'aborto fu reso possibile anche nel caso in cui il feto fosse affetto da una malattia pericolosa per la sua stessa vita. Venne inoltre reintrodotta la possibilità di interrompere la gravidanza in presenza di una dichiarazione scritta della madre attestante le proprie gravose condizioni di vita o la propria difficile situazione personale.

Tuttavia, già a maggio dello stesso anno il Trybunał Konstytucyjny (Tribunale costituzionale) emanò una sentenza con la quale abrogava quest'ultima possibilità. Gli ambienti femministi a tutt'oggi lo considerano un tradimento dell'intera società femminile polacca. Nella realtà questo divieto andò a correggere le statistiche ufficiali riguardanti i tassi di natalità, ma contemporaneamente creò un mondo sotterraneo molto attivo legato agli aborti clandestini. Molto prima dell'avvento dell'era dell'apparente anonimato di Internet, in numerosi giornali era possibile leggere annunci per "ristabilire farmacologicamente il ciclo mestruale". Ad ogni modo persino oggi, quando le leggi polacche in materia sono tra le più restrittive in Europa, una donna che interrompe la gravidanza in condizioni non previste dalla legge non è perseguibile penalmente. Ma è proprio questo punto ad essere presente nel nuovo disegno di legge volto a proibire completamente l'aborto in Polonia.

Progetto sociale contro i cittadini

Ultimamente è stato elaborato dagli ambienti politici di destra un disegno di legge destinato a proibire completamente l'aborto, introducendo leggi ancora più severe di quelle in vigore prima della guerra. Il progetto è sostenuto da organizzazioni come la Fondazione "Instytut na rzecz kultury prawnej Ordo Iuris", la Fondazione "Centrum Wspierania Inicjatyw dla Zycia i Rodziny" e la Fondazione "Pro-Prawo do Życia", ma anche dalla Fondazione Associazione "Piotra Skarga". È stato pubblicato in Polonia un articolo che descrive bene queste organizzazioni, nonché il loro costante sforzo per un irrigidimento della legge e l'introduzione di un divieto totale di abortire. Grazie a queste azioni è stato possibile sottoscrivere un disegno di legge che ha provocato la vibrante protesta di migliaia di polacche e polacchi. Ovviamente la raccolta firme non si traduce automaticamente nell'accettazione della legge, tuttavia, il progetto è stato appoggiato sia dal premier Beata Szydło sia dal presidente del partito al governo Jarosław Kaczyński.

Battaglia su più fronti

Bisogna ricordare l'importante ruolo che in questa lotta svolgono la lingua e le emozioni che essa esprime. Gli ambienti femministi si battono da anni perché vengano reintrodotte parole dal significato preciso, ma anche affinché esse vengano utilizzate nei discorsi pubblici espressioni come embrione, feto e bambino, in accordo alle più recenti conoscenze mediche. Sfortunatamente l'attività costante degli ambienti pro-life ha fatto sì che nella lingua di tutti i giorni venissero introdotte espressioni come "vita concepita" e "nascituro", le quali rendono più difficile avviare una discussione valida su una tipologia di pratica medica quale è l'interruzione di gravidanza.

Le polacche fanno ormai affidamento da anni sul cosiddetto "turismo abortivo", oppure interrompono la gravidanza in maniera farmacologica in casa. Spesso esse rimangono da sole con la loro dolorosa esperienza. Perfino avendo la prescrizione medica per questo intervento esse non possono star certe che verrà realizzato. La possibilità di utilizzare un anticoncezionale d'emergenza come la pillola EllaOne è anche proibita: il ministro della salute Konstanty Radziwiłł è infatti contrario a questa soluzione, come dichiarato in un'intervista. Bisogna poi ricordare che il Polonia non si fa educazione sessuale. Al suo posto nelle scuole viene insegnata “Educazione alla vita familiare”, manipolando spesso i fatti oppure trattando direttamente al loro posto i valori cristiani.

Sarebbe difficile elencare tutte le ragioni che hanno portato le polacche a impugnare le grucce e scendere in strada a protestare. Probabilmente discussione sopita da anni, che nel tempo ha coinvolto le femministe in primo luogo, ha smesso improvvisamente di riguardare solo loro. La maggior parte delle donne in Polonia reagisce come di fronte ad un'allergia alla semplice parola "femminismo"; l'aborto, fino a questo momento, è stato trattato come un tema tabù. Risulta però che la comparsa sul tavolo di un progetto tanto invasivo sulle questioni riguardanti i corpi delle donne e la loro vita personale o, ancora, che toglie loro la possibilità di scelta e la dignità, abbia spinto le polacche a ribellarsi, e che esse siano pronte a scendere in strada per difendere i propri diritti con quel che hanno. Anche le grucce, il simbolo più appariscente del mondo dell'aborto clandestino.

Translated from Aborcja po polsku