A Berlino, Romania e Repubblica Ceca di fronte al passato comunista
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Alessia SmaniottoCome regola aurea hanno scelto che “del passato si fa tabula rasa”: in Repubblica Ceca, così come in Romania, il dibattito pubblico sul comunismo è pressoché inesistente. Ma due film presentati alla Berlinale, uno ceco e uno rumeno, cercano di risvegliare le coscienze cittadine partendo dal tema della polizia politica.
Si chiamano Stasi o Securitate, sono gli organi di sicurezza e repressione degli Stati comunisti dell’Europa centrale e dell’est, e stanno attualmente rapendo il pubblico del Festival internazionale del cinema di Berlino grazie a Kawasakiho ruze (“Kawasaki’s Rose” in inglese, 2009) del ceco Jan Hrebejk e Portretul luptătorului la tinereţe (in inglese “Portrait of the fighter as a young man”, 2010) del rumeno Constantin Popescu. Un passato ancora difficile da calare sul tavolo per due paesi in cui ciascun cittadino, almeno una volta, si è dovuto porre il dilemma morale se aiutare il regime e restare, o resistere alle imposizioni del potere ma sparire. Trattare questo tema al cinema significa descrivere il quotidiano di una società post-comunista e toccare qualcosa di più universale: le scelte esistenziali degli individui.
«E tu, papà, cosa hai fatto?»
I due film propongono due prospettive diverse: Portretul luptătorului la tinereţe porta sullo schermo la resistenza anti-comunista del dopo guerra. L'esistenza di un moto di resistenti è stata resa pubblica solo nel 1989, quando il muro di silenzio eretto dalla Securitate è crollato con il comunismo. Il film segue la storia di giovani studenti idealisti, raccolti attorno al leader Ion Gavrilă Ogoranu, che si danno alla macchia per combattere il regime totalitario che si sta consolidando. I resistenti sperano nell’intervento degli alleati occidentali contro la Romania comunista, un intervento che non arriva mai. La Securitate tortura i loro cari, qualcuno fino alla morte, mentre continua incessante la caccia all’uomo. Gli anni passano e la lotta continua, ma la speranza, lei, sparisce lentamente. Una domanda costante assedia la mente di Ogoranu: «E tu papà, cos’hai fatto?».
Kawasakiho ruze comincia a questo punto. Nella Repubblica Ceca post-comunista narra la storia di Pavel Josek, uno psichiatra dissidente con un passato da informatore della StB, il servizio segreto ceco. Un passato che riaffiora. Lo psichiatra deve quindi scontrarsi contro gli sguardi accusatori dei suoi cari, in particolare dei più giovani che non capiscono la sua storia. Josek spiega i compromessi a cui si è adeguato: «Prendere un caffè con una prostituta è moralmente accettato, seguirla in una stanza d’hotel è invece immorale. Il problema, con la Stb, è che avevamo l’impressione di prendere ancora un caffè, quando invece eravamo già nell’hotel». A questo punto, di lui non si sa più se sia buono o cattivo.
Il lavoro della memoria
Dando a Ogoranu e ai suoi compagni un’aura eroica, decostruendo petalo per petalo il percorso di un dissidente, Popescu e Hrebejk vogliono dare più senso al passato per essere più sereni nei confronti del futuro. In Romania non tutti gli archivi dell’epoca comunista sono stati resi pubblici; solo qualche voce come quella di Teodor Mărieş, una delle figure chiave della rivoluzione del 1989, chiedono che la memoria venga coltivata e che gli archivi siano tutti pubblicati. Eppure i più considerano la sua lotta vana, persa in partenza, perché la società è cambiata da quel 1989. Gli ideali della Rivoluzione di velluto, come quelli della rivoluzione contro Ceauşescu, non sono più attuali in società senza punti fermi, che pensano al futuro senza preoccuparsi del loro passato.
Translated from A la Berlinale, deux films convoquent les témoins du communisme