Participate Translate Blank profile picture
Image for La Cimade (ONG): «Qui, i migranti trovano rifugio nell'arte»

La Cimade (ONG): «Qui, i migranti trovano rifugio nell'arte»

Published on

Translation by:

Chiara Angori

migrazioniFranciaMarsigliaImpact

Presso il civico 8 di rue Jean-Marc Cathala, a Marsiglia, l'ONG La Cimade è sempre affollata. I migranti arrivano e chiedono orientamento per barcamenarsi nel labirinto della burocrazia francese ai fini di ottenere asilo. Ma in un martedì pomeriggio di giugno, i fogli e i cartoni che ricoprono il pavimento hanno poco a che fare con le pratiche ufficiali: da gennaio, La Cimade organizza un laboratorio di espressione artistica. Immersione.

Una decina di persone sono affaccendate in un caos gioioso. Marie, originaria dell’Unione delle Comore, è seduta per terra, a gambe divaricate e taglia pezzi di cartone. Accanto a lei, Peshawa, un’artista kurda, osserva con distacco la propria opera - lo sguardo concentrato e pensieroso. Boulah e Allassan, entrambi mauritani, uniscono due tavoli e discutono in lingua fula mentre costruiscono un modellino. Infine, tre volontari, Didier, Blas e Vera, fanno il giro dei banchi e si aggiungo alle varie attività: il primo fa la pasta di sale, il secondo si unisce alla contemplazione di Peshawa, mentre la terza distribuisce il registro delle presenze.

In un tale clima, è obiettivamente difficile rendersi conto di essere presso La Cimade, un’organizzazione che difende i diritti dei migranti, e che Marie, Peshawa, Boulah e Allassan si trovano in una situazione difficile. La loro vita ruota infatti intorno alla raccolta di documenti che possano attestare la loro presenza in Francia - tasselli preziosi da aggiungere al dossier per la richiesta di asilo.

La Cimade conta 2.500 volontari, distribuiti in gruppi locali, per consigliare e accompagnare 100mila persone ogni anno. L'associazione è nata con l’obiettivo di combattere la discriminazione degli ebrei, ma ha presto esteso il campo d'azione ai "popoli del Sud del mondo, in lotta per l'indipendenza e la decolonizzazione". Ogni settimana, la sede di Marsiglia accoglie 80 richiedenti asilo. Per fornire orientamento ai migranti e spiegargli a quali diritti possono fare riferimento, i volontari si immergono in un mare di scartoffie. «A volte basta semplicemente dare dei consigli e rassicurare le persone, spiegando le procedure. Altre volte, invece, bisogna illustrare le ragioni del rifiuto di una domanda d’asilo. Non è sempre semplice, per i migranti, capire i documenti in lingua francese - sono scritti in un linguaggio tecnico. Altre volte ancora, serve accompagnare le persone nella procedura e verificare che i loro diritti siano rispettati, perché spesso non è così», spiegano Gaëlle e Bernadette, due pilastri dell'associazione.


Leggi anche: Esperanzah! da Manu Chao al Belgio: quando la musica è lotta


Gaëlle costella la propria spiegazione di esempi concreti: c’è il caso di una famiglia a cui è stato negato il ricongiungimento familiare perché l'appartamento in cui vivono, in Francia, è 1 metro quadro più piccolo di quanto previsto dalla normativa sulla sicurezza degli alloggi. Oppure, quello di una donna di 40 anni con due figli a carico che si è scontrata con la prefettura perché non può registrarsi come bisognosa di cure, pur avendo una recidiva di cancro al polmone ed essere accompagnata del suo pneumologo. «È già complicato per noi. Figurarsi se riescono a comprenderne il senso loro!», sbotta Gaëlle, riferendosi ai suoi "clienti", prima di aggiungere: «Giungono in Francia pieni di speranza dopo un percorso da esiliati. Una volta arrivati, completano la richiesta di asilo e poi si ritrovano completamente disorientati. Perdono la speranza e rimangono senza parole di fronte al trattamento che ricevono.

Sopravvivere alla montagna di scartoffie

L'idea del laboratorio artistico serve appunto a ritrovare la propria forza interiore e a esprimersi. Altrimenti, tutto cova 'dentro’ come in una pentola a pressione», spiega Gaëlle. Il gruppo di artisti migranti, in erba o affermati, si è formato a gennaio 2019. Da allora, le loro idee hanno lentamente preso forma e, fatto ancor più importante, le lingue si sono sciolte.

«Disegno volti astratti caratterizzate da diverse espressioni. Tutte le decisioni politiche nascono da una testa, dal viso di una persona»

La comitiva è composta da sei persone provenienti dall'’Irak, dalla Mauritania, dalla Guinea e dall’Unione delle Comore. Durante i sei mesi di laboratorio, ogni artista ha sviluppato un proprio universo di riferimento, accompagnato dai volontari del centro: Blas è un artista di mezza età, elegante e gioviale - indossa una camicia color mostarda, una giacca nera e degli occhiali tondi anni ‘60. Mentre Didier è l’animo scherzoso e fonte inesauribile di buone idee. Vera, la tedesca bionda dai capelli tagliati a scodella, va sempre in giro con un taglierino in una mano e un righello nell'altra. Mentre Ayman è il traduttore arabo ufficiale del laboratorio e videografo, tanto discreto quanto indispensabile. Non c'è stata l'imposizione di alcun tema: le creazioni si basano sulla libera scelta dei partecipanti. La pluralità dei linguaggi riflette la molteplicità delle origini e dei percorsi di vita. «Tutto questo serve a comunicare la propria identità, la propria appartenenza», spiega Blas. «È stata un'esplosione di creatività! Ci siamo espansi in tutte le direzioni!»", esclama improvvisamente Didier, che paragona il ruolo di Blas a quello di un giardiniere che osserva, fa crescere e orienta delle piante.

Il rapporto con l'arte

Prima del laboratorio, Bafode non aveva mai dipinto. Ma qui ha scoperto di avere un talento quando si tratta di combinare spazio e colori. A un primo sguardo, le grandi sagome colorate che disegna sembrano astratte e senza una logica. Eppure Bafode ha un grande senso della composizione. In realtà, tutti questi arabeschi sono orchestrati in un modo preciso che Ayman decodifica per gli spettatori che non conoscono la cultura musulmana. L'universo rappresentato da Bafode è quello del suo villaggio di origine, delle piantagioni dove è cresciuto e da cui è dovuto fuggire per non subire le conseguenze (mortali) legate all’assegnazione di un’eredità. La prima impressione che si ha guardando Bafode è quella di avere di fronte un timidone dall'aria austera. Ad oggi è preoccupato perché non ha un alloggio dove vivere. Ma ciò non gli impedisce di immergersi nella sua terza tela.

CIMADE
Bafode © Lise Blein

Chino sui suoi fogli, Peshawa sembra invece tagliato fuori dal resto del mondo - i ricci bruni gli scendono lungo il viso. I suoi gesti sono sicuri e la sua produzione è prolifica. Una volta terminato il lavoro, col sorriso sulle labbra, mostra agli altri la sua serie di fantomatici ritratti: «Sono tranquillo qui. Disegno volti astratti dalle mille espressioni. In fondo, tutte le decisioni politiche escono dalla testa di qualcuno, hanno un volto, come ce l’hanno la guerra, i rifugiati, le persone tristi ... ». Nel villaggio iracheno in cui viveva, le norme religiose vigenti non gli permettevano di rappresentare figure umane. Quanto al suo stesso volto, Peshawa esprime una profonda malinconia, ma anche una grande gioia di vivere.


Leggi anche: La Riace francese è nella Val Roja: cronaca del festival "Passeurs d'humanité)


Anche Shireen, una giovane irachena dalle lunghe trecce parla dei suoi sogni attraverso opere di pittura su vetro o tele, Questo pomeriggio sta finendo il quadro di una donna con una villa orientale sullo sfondo: «Le città sono immense ma, con tutto quello che ho nel cuore, mi sento ancora più grande. Ho degli obiettivi, dei sogni e le cose attorno a me sono piccole in confronto». Cosa desidera? Shireen resta silenziosa. Si intromette ancora Ayman, il quale, da fine osservatore, sottolinea come Shireen, ormai, saluti i volontari dando a tutti un bacio sulla guancia: un segno evidente di ritrovata fiducia nel prossimo.

CIMADE
Shireen © Lise Blein

Del resto, a partire dalle prime ore di laboratorio, i volontari di La Cimade hanno dedicato molto tempo a rafforzare la coesione del gruppo. La fiducia e l'altruismo sono indispensabili affinché l’identità delle persone e i progetti personali possano affermarsi. Ad eccezione di Peshawa, che aveva già avuto un’esperienza simile precedentemente, gli altri partecipanti si sono recati al laboratorio per la prima volta, alla ricerca di momenti piacevoli e di convivialità. Per molti di loro, questo è l'unico posto che permette di entrare a far parte di una cerchia sociale e di incontrare nuove persone. «Ho iniziato per divertimento, per sfuggire alla noia. Mi sono trovato bene e, se potessi, verrei ogni giorno, perché mi sento accolto. Mi fa bene», racconta Boulah.

La storia Boulah

«Amo il mio Paese, anche se mi ha rifiutato». Boulah è alto, fa gesti rapidi e parla con una voce dolce e chiara. Ha 27 anni, viene dalla Mauritania e racconta la sua storia con grande distacco. Indosso ha una maglietta del FFRIM ("Football Federation of the Islamic Republic of Mauritania", ndr.) , la squadra della nazionale di calcio del suo Paese. «Non mi piace chi ci governa. Ma la terra dovrebbe sempre riconoscere i propri figli». Prima di prendere parte al laboratorio artistico presso La Cimade, per arrivare in Francia, la vita lo ha messo a dura prova.

Boulah nasce a Hassichagar, un piccolo villaggio in Mauritania. Nel 1998 viene censito, ma, a sua insaputa, il suo dossier non viene registrato. Nel 2011 lo Stato avvia un nuovo censimento con rilevazione biometrica. Il processo è un inferno: «Non sono riuscito a essere censito nemmeno questa volta», racconta Boulah. «Spesso ho fatto la fila per il censimento dalle 05:00 del mattino fino alle 18:00, anche se dovevo andare a scuola. Ma per sostenere l’esame di maturità serve un documento ufficiale. Nel 2013, sono stato obbligato a lasciare gli studi perché perdevo troppo tempo per stare dietro alla burocrazia. Non sono l'unico: ci sono molti casi come il mio». Per certi versi, il percorso a ostacoli che Boulah ha subito in Mauritania somiglia al processo che i migranti devono affrontare una volta arrivati in Francia.

«Avevo paura, ma non avevo scelta: non potevo tornare indietro. Eravamo tanti su quel Zodiaco: 55 o 60 persone»

Dopo l’interruzione degli studi, Boulah trova un lavoro come agente di sicurezza privato. Nel 2017 viene però licenziato in seguito un controllo dei documenti da parte delle autorità. La sola alternativa è guadagnarsi da vivere con dei lavori alla giornata. Ma dopo diversi fermi al commissariato, Boulah decide di lasciare il proprio Paese. «A volte ti tengono in cella tre giorni. Ti vogliono provocare. Sono stato costretto a partire. Sennò cosa sarei diventato? Un criminale? Si può passare tutta la vita in prigione? Io voglio lavorare, respirare».

La voce di Boulah voce rimane calma e, fra un racconto e l’altro, spiega quello che succede in Mauritania ogni giorno. Secondo lui, nel suo Paese, nessuno scenderebbe in strada per difendere i propri diritti. «Se manifestiamo, sappiamo già cosa ci tocca subire. Meglio tacere», afferma.

CIMADE
Boulah © Lise Blein

Così, per arrivare in Francia, Boulah mette a repentaglio la propria vita nella traversata del Mediterraneo, su un'imbarcazione di fortuna. Diventa il capitano improvvisato del mezzo, senza aver mai utilizzato nemmeno una bussola. «Avevo paura, ma non avevo scelta: non potevo tornare indietro. Eravamo tanti su quel Zodiaco: 55 o 60 persone». L’imbarcazione, piena zeppa neanche fosse un uovo, viene attesa lungo la costa marocchina, ma a Nador, comincia a naufragare. Per fortuna, il gommone viene recuperata dalla Guardia costiera spagnola. Il cugino di Boulah non ha avuto la stessa fortuna. Nessuna barca è venuto a cercare il suo Zodiaco, mentre affondava sotto il peso dei passeggeri.

Questo martedì di giugno, Boulah disegna uno Zodiaco alla deriva. Il titolo dell'opera è "Omaggio a Ousmare", suo cugino, che non è sopravvissuto alla traversata. «Esprimere il dolore che si ha nel cuore fa bene, anche se è difficile parlarne", dice Boulah, scosso da questo tuffo nel passato. Boulah sta preparando il suo dossier di richiesta d'asilo all'OFPRA (l’Ufficio francese di protezione di rifugiati e apolidi). Ha messo per iscritto la sua storia: è un elemento chiave del dossier.


Le opere del collettivo di artisti sono state esposte al Centre de Culture Ouvrière a Marsiglia. Il vernissage della mostra, intitolata "Guardami", ha avuto luogo il 28 giugno, accompagnata dalla proiezione del film realizzato da Ayman.

Foto e Copertina: © Lise Blein

Translated from Quand les migrants se dépeignent