Zucchero, addio protezionismo
Published on
Il primo luglio entrerà in vigore la tanto discussa riforma dello zucchero approvata il 20 febbraio scorso dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata con i voti contrari di Polonia, Lettonia e Grecia. Quali le conseguenze?
L’Ue è il secondo produttore mondiale di zucchero dopo il Brasile grazie alla lavorazione dalla bietola. La singolare radice ha colonizzato i campi europei grazie alla scoperta del chimico prussiano Andreas Sigismund Marggraf, il primo ad estrarre lo zucchero dalla bietola. E fu Napoleone, durante il blocco navale inglese, ad incentivarne la coltivazione per sfuggire alla penuria di zucchero di canna.
Si sblocca la riforma
Bando alle suggestioni e torniamo ai giorni nostri. La riforma dell’Organizzazione del mercato comune (Ocm) dello zucchero ha creato malumori, ma è considerata inevitabile dagli stessi Paesi membri.
Già dalla metà degli anni Novanta gli obiettivi di Agenda 2000 fissavano la necessità di riformare la Politica agricola comune in concomitanza dell’allargamento ad Est per evitare un’ulteriore crescita delle eccedenze agricole (che avrebbero causato un aumento delle spese di bilancio). Nel comparto saccarifero ai 135 zuccherifici presenti nell’UE-15 se ne sono aggiunti circa altri 100 situati nei nuovi Paesi membri, 76 dalla sola Polonia. Inoltre la superficie dell’Unione coltivata a bietola è aumentata del 30%, mentre la produzione di zucchero è salita del 15%.
A queste dinamiche interne si aggiungono fattori esterni legati ai negoziati nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio che sostiene, senza particolari resistenze da parte dei Paesi dell’Unione, l’apertura del mercato europeo alla concorrenza mondiale.
Nel giugno 2005 Mariann Fischer Boel, Commissario Europeo per l’Agricoltura, annunciava in Parlamento Europeo la riforma del settore saccarifero come inevitabile per salvare l’industria nel lungo periodo, anche a costo di dolorose conseguenze per molte regioni europee. La riforma si orienta ai principi del mercato, punta a ridurre le eccedenze e introduce una serie di incentivi per dismettere o riconvertire gli impianti non competitivi. L’effetto ottenuto concentrerà la produzione nelle aree più vocate, situate prevalentemente in Francia e Germania.
La riforma raggiunge la gente
Calata nella vita quotidiana la riforma desta la preoccupazione per le conseguenze a livello sociale. Un esempio? Il caso della chiusura dello zuccherificio di Russi, piccola città italiana, è emblematico. «È stata una crisi inaspettata, un colpo improvviso», riassume il sindaco Pietro Vanicelli, «la crisi sarà ancora più evidente, quando nei prossimi mesi gli stagionali si renderanno conto che non c’è più lavoro». L’attività dello stabilimento, attivo fin dal 1963, sarà interrotta e farà parte dei 13 stabilimenti su 19 destinati a chiudere in Italia. Mauro Ricci, capofabbrica dello stabilimento afferma che: «si sapeva della crisi e che il prezzo italiano dello zucchero non era concorrenziale» ma aggiunge «in fabbrica non c’era la certezza della chiusura». Eppure, Giuliana Laschi, esperta di politiche agricole e docente alla Facoltà di Scienze politiche di Forlì, ritiene che il tempo per prepararsi alla riforma non sia mancato ma: «agricoltori e lavoratori non sono stati informati sul processo decisionale e rischiano di essere mandati a casa in malo modo. Questa cattivissima informazione attorno all’UE impedisce una piena cittadinanza». Nonostante questo la riforma non è dilazionabile perché: «limitarsi ad usare i fondi europei per scaricare le proprie inefficienze sull’Europa è un comportamento miope».
Dubbi dall'Est
Tra i nuoni arrivati Lituania, Lettonia e Polonia esprimono forti preocuppazioni. A febbraio, la delegazione polacca al Consiglio Europeo sull’agricoltura ha contestato la riforma su tutta la linea accusandola di non poter raggiungere gli obiettivi di competitività e sostenibilità prefissati nel lungo periodo. Denuncia inoltre il mancato equilibrio per quanto riguarda i produttori dei diversi Stati membri. Nei verbali della seduta si legge che la riforma: “Non tiene conto del processo di ristrutturazione cui sono soggette le imprese dell’Est in seguito all’ingresso nell’Ue, ed accorda aiuti a bieticoltori dove già esiste un sistema competitivo”. Secondo un rapporto del Foreign Agricultural Service statunitense, la produzione polacca si concentrerà nelle raffinerie più efficienti senza che i produttori rinuncino alle proprie quote. Il basso costo del lavoro rappresenta un incentivo in tal senso. Anche il Governo di Varsavia è intervenuto con aiuti diretti a sostegno dei redditi degli agricoltori sfruttando la possibilità concessa dalla legislazione Ue.
Piaccia o meno il protezionismo fa un passo indietro.
Un ringraziamento a Inga Pietrusinska, Varsavia