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“Zio Vanja”: Checov secondo Bellocchio, Placido e Rubini  

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NomurANALISI FILOSOFICHERecensioni 2.0

Deliziosa versione dello “Zio Vanja” di Anton Cecov, realizzata dal regista  Marco Bellocchio accompagnato da un cast di protagonisti di primissimo ordine, che vede impegnati sul palco Michele Placido, Sergio Rubini, Pier Giorgio Bellocchio, Anna Della Rosa.

Lo spettacolo è l’anticipazione del film che Bellocchio ha in programma di realizzare la prossima estate, e vede l’autore russo fortemente umanizzato  grazie al dolce-amaro Sergio Rubini nel ruolo di Vanja, rassegnato amministratore di una tenuta di campagna, e il sempre ottimo Michele Placido Placido nei panni (piccoli, poche le sue scene, ma fondamentali) dell'accademico in pensione Serebrjakov, proprietario della tenuta.

Dopo “Timone d’Atene” di Shakespeare al Piccolo di Milano e il “Macbeth” al Teatro di Roma nel 2000 sempre con Placido, Bellocchio porta in scena una famiglia medio borghese che sembra statica persino di fronte alle cose più gravi, nella trasposizione di questo capolavoro cecoviano scritto nel 1896 e forte di personaggi come pietrificati dinnanzi agli eventi, i cui piccoli e scarsi fremiti sono sedati dalla loro stessa indole, tra atmosfere sospese e un Rubini eccellente ad esaltare la disperazione e la gioia di quest’opera dal regista di Bobbio fedelmente riprodotta nei piccoli dettagli e nella tragica smania di ribellione, sempre sedata da noia e nulla.

La vicenda ruota intorno alla casa di campagna ereditata dal professor Serebrjakov (Michele Placido), cognato di zio Vanja (Sergio Rubini) e padre di Sonia. La prima moglie, sorella di Vanja, è morta e il professore si è risposato con Helena, donna tanto bella quanto annoiata. Tra amori e vicissitudini di vario genere, Serebrjakov comunica a Vanja che è intenzionato a vendere il podere e questo fa emergere tutto il temperamento dello zio, che alla fine tenta di uccidere il professore a colpi di pistola che, però, non andranno a segno. Alla fine il professore ed Helena torneranno in città, lasciando a Vanja la possibilità di continuare ad amministrare la tenuta.

"Zio Vanja" è uno dei vertici del teatro cechoviano, affidando all’interazione dei personaggi l’approfondimento psicologico e il peculiare esistenzialismo di Cechov. La ricostruzione minuziosa di atmosfere sospese e vagamente inquietanti, l’indifferenza abulica dei personaggi intorno agli eventi, l’indefinito senso di attesa di una catastrofe incombente rendono il testo una sorta di anticipazione della drammaturgia novecentesca. Il dramma debuttò a Mosca nel 1899 ottenendo un buon successo. Fu apprezzato da tutti i critici, tranne che da Tolstoj, che rimproverò a Cechov la mancanza di drammaticità e di azione della pièce.

Con  il sempre coraggioso e laico Bellocchio che penetra nella complessa stratificazione dell’opera e afferma:

Subisco il fascino del teatro. Rare le regie che ho firmato, ma ritrovo sempre il piacere del contatto con gli attori, che nel cinema è frammentario. Mentre con la cinepresa mi barrico nella mia esperienza, qui vado senza rete”.