YouthCan, il riscatto della gioventù tunisina
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Roberta MinardiIl problema principale della Tunisia? Creare un futuro per i suoi giovani. È anche il compito che si è prefissata YouthCan, un'organizzazione che cerca di unire e formare le nuove generazioni al di là delle differenze ideologiche. Una sfida impossibile?
"A Cité Ettadhamen? No". Il tassista si rifiuta di raggiungere l’agglomerato urbano situato nella zona periferica di Tunisi, famoso per la sua povertà e marginalità. Nel gennaio 2014 questa area è stata oggetto di forti agitazioni. I manifestanti hanno bruciato pneumatici per bloccare l’accesso alle strade e la polizia ha dovuto ricorrere ai gas lacrimogeni per disperdere la folla.
Un altro taxi accetta di condurci in questo luogo. Le strade si riempiono di fango, la pelle e i resti degli animali in vendita sono appesi all’entrata delle macellerie. Centinaia di persone vanno avanti e indietro e si siedono nei numerosi bar e nelle sale da tè. Hafedh Oueled Saad aspetta a un incrocio. Ha 23 anni e non ha ancora trovato lavoro da quando è tornato a Tunisi. Ci offre del caffè e qualche bevanda fresca. Ci accomodiamo in una stanza piena di divani bianchi e dorati. Hafedh comincia a raccontarci perché ha deciso di emigrare illegalmente in Italia nel 2011.
L’economia che arranca e un futuro inesistente per i giovani: sono queste le principali minacce che si trova ad affrontare il suo Paese in quella che è una transizione verso una democrazia effettiva. Sono passati 3 anni da quando Ben Ali è scappato in Arabia Saudita, ma i nuovi politici non sono stati capaci di trovare una soluzione ai problemi sociali. Sono troppo vecchi e non capiscono i problemi della gioventù. È questo che pensano i membri di YouthCan, una nuova organizzazione senza alcun orientamento politico che ha raccolto oltre 25.000 firme in poco più di un mese. Il suo obiettivo è chiaro: sostenere i giovani tunisini tra i 20 e i 35 anni, affinché ottengano potere decisionale nelle istituzioni, qualsiasi partito o ideologia difendano.
Un futuro incerto
"Non vedono alcun futuro. Studiano ore su ore, e poi? È questa incertezza che li porta nelle mani di chi li vuole semplicemente manipolare. Lo spirito di YouthCan è renderli coscienti del proprio potenziale e della necessità di agire!", spiega Mehdi Guebzili, membro fondatore dell’organizzazione. Lui e Besma Mhamdi, la presidente di YouthCan, siedono all'Étoile Du Nord, una moderna caffetteria-bar-libreria che si trova nel centro di Tunisi. È qui che YouthCan ha organizzato la sua prima riunione: se allora erano soltanto in 70, oggi l’organizzazione conta più di 4.500 membri su Facebook; ne fanno parte anche persone provenienti dall’Italia, dalla Francia, dalla Germania e dal Regno Unito. "YouthCan è nata alla fine del 2013 – spiega Besma – nel corso di ciò che è stato chiamato il 'Dialogo Nazionale' [l’ex Primo ministro, Ali Laarayedh, si era dimesso e i politici non riuscivano a mettersi d’accordo per nominare un nuovo capo del governo, nda.]. La gente era molto frustrata. Noi abbiamo dato speranza e ottimismo in un momento in cui tutto stava crollando".
I giovani tunisini attraversano tempi incerti. Nel 2011 hanno dato l’avvio alla Primavera araba e sono rimasti in prima fila nelle strade quando Ben Ali ha sguinzagliato i suoi franchi tiratori. Secondo l’ONU, i tunisini con meno di 24 anni rappresentano il 40% della popolazione nazionale e tra loro la disoccupazione è pari al 30%. Non importa se si possiede un titolo di studio universitari, o meno: "Il 40% dei laureati non ha un lavoro, rispetto al 24% di chi non possiede alcun titolo", riferisce il World Economic Forum. Inoltre, i giovani sono completamente esclusi dalle istituzioni. Come afferma Mehdi: "Soprattutto per i giovani, l’Assemblea Nazionale Costituente è stata una delusione perché non si è parlato di nulla: non conoscono i problemi che abbiamo a cuore!".
YouthCan è un’organizzazione nata da poco. Non ha ufficio e la maggior parte del lavoro si svolge online, dove il movimento è nato in maniera spontanea. "Bassem Bouguerra ha condiviso il proprio curriculum su Facebook offrendosi di aiutare il Ministero degli Interni. L’ho visto e l’ho contattato, come hanno fatto anche altri", ricorda Besma, prima di continuare: "Sapevamo di non voler formare un partito politico tradizionale". Il suo è un obiettivo a lungo termine, ma non c’è tempo da perdere. Il primo giro di boa sono le elezioni politiche previste per la fine del 2014: 200 candidati si prepareranno insieme a loro: "Giovani che riceveranno una formazione su come si parla in pubblico, su come presentarsi e su come trovare finanziamenti", dichiara la presidente.
I membri di YouthCan si trovano in tutto il paese. Yazidi Boulbeba è uno di loro. Vive a Siliana, una piccola città rurale tunisina. Un diploma in Fisica e Chimica non è bastato a questo giovane di 28 anni per trovare lavoro. Era iscritto a un partito politico, ma quando ha avuto la possibilità di unirsi a YouthCan, non ci ha pensato due volte. "La rivoluzione l’hanno fatta i giovani e per 3 motivi precisi: dignità, libertà e lavoro. La libertà è fondamentale, ma non ci può essere dignità senza lavoro", racconta. Gli piace l’idea di YouthCan di formare nuovi politici e ritiene che questa organizzazione possa avvicinare i giovani alla politica. "Lo spero perché oggi viviamo un boicottaggio politico da parte dei giovani", dichiara. A Siliana la povertà avanza: "C’è soltanto una fabbrica nella provincia e i prodotti che coltiviamo vengono lavorati in altre città". Di conseguenza molta gente si trasferisce nelle zone economicamente più attive come Tunisi. "L’alternativa è l’estremismo e il terrorismo. Quasi tutti i terroristi provengono dalle aree più povere del Paese", conclude Yazidi.
Esilio o terrorismo
In realtà anche il centro di Tunisi si sta svuotando mentree le periferie della capitale crescono: le strade caotiche di Cité Ettadhamen ne sono la dimostrazione. Tuttavia, anche qui i giovani hanno un futuro incerto. "Nel bar accanto potrai trovare altre 20 o 25 persone che hanno tentato di andare in Italia", spiega Hafedh. Lui, dopo essere sbarcato a Lampedusa, è riuscito ad arrivare in Svizzera, ma il suo sogno europeo è finito quando non hanno accettato la sua richiesta d’asilo e lo hanno rispedito a casa. La speranza che caratterizzava la rivoluzione è lontana. Hafedh racconta: "Io non significo niente per questi politici e loro non significano niente per me. Non credo che la situazione sia migliorata". Ha in programma di imparare l’italiano per poter lavorare in un call center, "ma non penso che mi pagheranno bene". La prima volta che è andato via da Tunisi ha speso 1.500 dinari (circa 725 euro). "Se oggi avessi di nuovo l’opportunità, lo farei di nuovo".
– Questo reportage fa parte della serie di articoli del progetto Euromed-Tunisi, finanziato dalla Fondazione Lindh e realizzato grazie al partenariato con iWatch Tunisia –
Translated from Youthcan, El turno de la juventud tunecina