Yalta continua a spaccare l’Europa
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Oggi, 12 maggio, gli eurodeputati si sono accordati su un testo di compromesso per commemorare la fine della Seconda Guerra mondiale. Che, per i paesi ex-comunisti, non è finita a Yalta. Anzi.
Corone di fiori, inno nazionale, banda e fanfara, sindaco in pompa magna, ex-combattenti e reduci sguinzagliati in tutte le città d’Europa. Bruxelles non avrà bisogno di una direttiva per armonizzare i rituali di commemorazione dei Sessant’anni della fine della guerra mondiale. Almeno per quanto riguarda l’Europa occidentale. Perché l’accordo di Yalta siglato nel febbraio 1945 da Roosevelt, Churchill e Stalin per la spartizione del continente europeo torna a dividere vecchia e nuova Europa. E la guerra fredda continua.
“Gli occidentali non hanno sofferto come noi dietro la cortina di ferro”
Teatro dello scontro: il Parlamento europeo. Dove un manipolo di eurodeputati baltici aveva proposto una risoluzione per condannare Yalta come via libera all’egemonia comunista sull’Europa centrale e orientale. “Gli occidentali non hanno sofferto come noi dietro la cortina di ferro”, spiegava uno dei promotori del testo, il socialista estone Toomas Ilves. “No, l’Armata Rossa ha permesso di vincere il nazismo e di mettere fine alla Shoah” rispondeva il capogruppo socialista Martin Schultz. L’epilogo è poi arrivato oggi, 12 maggio, con l’approvazione di una risoluzione di compromesso per commemorare i 60 anni della “fine della guerra”.
Muro di Berlino, simbolo di libertà o di oppressione?
Ma molti degli “occidentali” che hanno votato la risoluzione sono gli ex-sessantottini che esaltavano - seduti nei cafè del Boulevard Saint-Germain - il maoismo della Cina comunista che moriva di fame. Sono gli ex-pacifisti a senso unico che manifestavano contro gli “euromissili”, chiudendo un occhio sul riarmo sovietico. Sono quelli che continuano a fregiarsi di chiamarsi “comunisti” con la scusa che Stalin ha sconfitto Hitler.
Dall’altra parte, invece, ci sono altre storie ed alcune domande ancora imbarazzanti per una parte dell’occidente. Era simbolo di libertà o di oppressione il muro che per 28 anni ha sventrato Berlino? Erano forze di pace o di repressione i carri armati sovietici che il 23 ottobre del 1956 stroncarono nel sangue la rivolta di Budapest? Erano strumenti di stabilità o di aggressione le testate nucleari puntate su Monaco, Parigi e Londra? Erano fiamme di libertà o di disperazione quelle che avvolsero nel suicidio lo studente Jan Palach, mentre il Patto di Varsavia spegneva la primavera di Praga?
A queste domande il Parlamento europeo ha risposto con il linguaggio del compromesso, mescolando le frasi di rito - ormai abitutine delle capitali nazionali dell’Ovest - con la condanna del regime "sovietico stalinista". Ma la pace in Europa non si è fatta a Yalta o con la morte di Stalin. C'è voluta la caduta del muro di Berlino, l'alleanza delle democrazie europee alla democrazia americana e l’allargamento ad est dell’Unione europea. Nonviolenza, democrazia e liberalizzazione economica: l’Europa ripeterà l'errore di Yalta con la sua periferia? O non si accontenterà di chiedere scusa (tra 60 anni) agli europei oppressi di Bielorussia o Cecenia?