Visto da Londra: quando è troppo è troppo
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alessandra la fortezzaLa Costituzione europea sta andando in porto. E per la Gran Bretagna è venuto il momento di rivedere la sua posizione. Drasticamente.
Dato che, per la maggior parte della sua storia, l’Unione europea è stata codiretta da un Paese che cambia la sua costituzione ogni generazione e che ha dovuto rivolgersi a Thomas Jefferson per scrivere la sua carta dei diritti (Francia) e da un Paese il cui sistema politico è stato quasi interamente disegnato dagli occupanti americani dopo la seconda guerra mondiale (Germania), probabilmente non è una grossa sorpresa il fatto che il tentativo dell’Europa di dotarsi finalmente di un’unica costituzione non sia stato un trionfo.
Un risultato inesorabile
Il trattato costituzionale era probabilmente considerato inesorabile dal momento in cui gli Stati membri ne hanno convenuto a Laeken nel 2001. In quel summit, che fu abbandonato a causa di una disputa sulla grande questione del momento – se cioè l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare dovesse essere situata a Helsinki o a Parma (“i Finlandesi non sanno neppure cosa sia il prosciutto. Questo non lo posso accettare” ebbe a dichiarare un diffidente Berlusconi, la risposta italica a James Madison) – i capi riuniti nominarono un settantenne ex presidente francese come architetto costituzionale di un’Europa in espansione, proiettata verso il futuro, “nuova”.
E’ ora piuttosto verosimile credere che la Costituzione, almeno in qualche forma che assomigli alla presente, non entrerà mai in vigore. Avrà infatti bisogno di essere ratificata da 25 diversi Stati, alcuni dei quali sono tenuti per legge ad indire appositi referendum (Irlanda o Danimarca), alcuni dei quali lo sono di fatto (Portogallo, Olanda o Spagna), alcuni dei quali stanno pensando di farlo (Francia o Italia), ed altri ancora sono sotto pressione interna per fare lo stesso (Gran Bretagna o Svezia). La probabilità che tutti questi Paesi prendano la stessa decisione che la Commissione definirebbe indubbiamente “giusta” non è elevata.
I voti contrari nei referendum sull’euro in Svezia e Danimarca, e la consistentemente vasta maggioranza contraria all’introduzione dell’euro nel Regno Unito, sono i più evidenti, ma non gli unici, esempi di rifiuto popolare dell’integrazione guidata dall’élite, che caratterizza l’UE. Il nutrito supporto a estremisti come il Fronte Nazionale in Francia, la lista Pim Fortuyin in Olanda, il Partito della Libertà in Austria e vari membri della coalizione di governo in Italia, indicano ugualmente che l’obiettivo di un’unione “sempre più stretta” sta perdendo sostegni anche nei Paesi tradizionalmente europeisti.
Come disse un veterano della Convenzione all’Economist l’anno scorso: “se 22 Paesi dicono di si e tre no, allora abbiamo un problema. Giuridicamente non possiamo procedere; politicamente non ci possiamo fermare.” Se pochi Stati non ratificano, gli altri possono effettivamente estrometterli dall’UE negando loro i Trattati consolidati e sostituendoli con una nuova Costituzione. Ciò sarebbe illegale ma probabilmente possibile dal punto di vista politico. Se, tuttavia, un maggior numero di Stati si rifiuta di firmare, la Costituzione potrebbe essere abbandonata a favore di un ritorno graduale ai metodi di riforma istituzionale che l’UE ha tradizionalmente perseguito. Un’ulteriore possibilità, naturalmente, è che gli Stati che respingano la Costituzione si potrebbero volontariamente ritirare – un’opzione che non è mai giuridicamente esistita fino ad ora.
Di tutti i grandi Stati, la Gran Bretagna è quella che ha più probabilità di allontanarsi dall’Unione. Sebbene il governo laburista di Tony Blair insiste che non ci sarà alcun referendum sulla Costituzione, la pura forza dell’opinione pubblica – unita alla pura minaccia della Costituzione stessa, renderà politicamente pericoloso per il Primo ministro sottoporla al solo esame del Parlamento. Se diventa troppo ovvio ignorare che la Costituzione manca del supporto, sia tra l’elettorato che nella Camera dei Lord, egli può semplicemente annunciare che la Gran Bretagna rigetterà la Costituzione piuttosto che indire un referendum che non potrà mai vincere.
Linee rosse e luci verdi
Blair ha citato le tasse, la politica estera e la politica di difesa come i tre nodi cruciali sui quali non accetterà le proposte integrazioniste della Costituzione. Questi rappresentano solo una piccola frazione degli argomenti che il governo dovrebbe contestare, ma i delegati di Blair sono stai incapaci di difendere persino queste tre aree limitate. Hain si oppose alla creazione di un ministro degli esteri europeo ed all’obbligatorio coordinamento della politica economica, ma fallì in entrambi i casi.
Il governo inglese ha velocemente e debolmente abbandonato la sua opposizione alla stesura di un Carta dei Diritti fondamentali europea veramente ridicola, secondo la quale un servizio di collocamento al lavoro gratuito è un diritto fondamentale. La Gran Bretagna aveva almeno due motivi –uno giuridico, l’altro economico- per mantenere la sua opposizione alla Carta. L’obiezione giuridica è che la Gran Bretagna, come l’Irlanda, è un Paese basato sulla common law in cui il diritto evolve sulla base della giurisprudenza. L’obiezione economica è che la Carta potrebbe essere un cavallo di Troia per la reintroduzione di regolamentazioni del mercato del lavoro che la Gran Bretagna (come l’Irlanda ed anche l’Olanda) ha faticosamente rimosso durante vent’anni di riforme. E’ significativo che queste tre economie liberali godono di un tasso minore di disoccupazione rispetto ai monolitici mercati sociali di Francia, Germani ed Italia.
Gli inglesi sostengono che l’inserzione di due clausole ha protetto la loro posizione. Primo, il fatto che la Carta si atterrà solo alle leggi ed istituzioni dell’UE, non a quelle nazionali. Secondo, che il preambolo della Carta richiede che la Corte di Giustizia europea dia il “dovuto rispetto” ad un documento interpretativo supplementare. Tuttavia, nessuno crede che queste precauzioni siano credibili o durature. La Corte di Giustizia riconoscerà velocemente l’assurdità di confinare i diritti “fondamentali” solo ai dipendenti europei, ed inizierà di conseguenza ad estendere l’accesso a tali diritti. La clausola del “dovuto rispetto” è troppo vaga e debole per costringere seriamente la Corte di Giustizia.
Scendere dall’Euro-treno
Il ritiro di Londra dall’UE potrebbe in definitiva rivelarsi la soluzione più pacifica per entrambe le parti. Una qualsiasi analisi oggettiva dei costi e benefici dell’appartenenza della Gran Bretagna all’Europa mostra che il ritiro avrebbe solo un impatto minimo sull’intera economia inglese. Due anni fa, l’Economst riportò uno studio intitolato “Meglio fuori?”, di Bryan Hindley, uno studioso e consigliere sul commercio, e Martin Howe, esperto di diritto comunitario, che stima che l’impatto della secessione sarebbe inferiore all’1% del PIL. E non è neppure certo che ci sarà un aumento o una diminuzione.
L’alternativa più probabile, ovviamente, è che sarà la Costituzione stessa – piuttosto che l’appartenenza di Paesi che rifiutano di ratificarla – a divenire innocua. In tal caso, il futuro dell’Unione non corrisponderà affatto all’accenno di una “più stretta unione” contenuto nel Trattato di Roma cinquant’anni fa.
La storia tende a ricordare che l’integrazione europea ha raggiunto il picco con il Trattato di Maastricht ed è declinata in seguito. L’impossibilità di far emergere un demos sulla base di 25 differenti nazioni e di renderne l’UE come il sovrano dovrebbe essere accettata, ed un nuovo, più umile progetto, dovrebbe prender piede.
Anatole Kaletsky del Times, uno dei più realistici e giudiziosi osservatori di questioni europee, è sicuramente perspicace nel ritenere che il futuro dell’Europa lega un “insieme di alleanze intersecantesi e di accordi cooperativi, in cui differenti nazioni giocheranno i propri differenti ruoli in differenti modi”. Gli Eurocrati possono dare a questo concetto tutti i soprannomi che vogliono (geometria variabile, cooperazione rafforzata, Europa a più livelli, Europa à la carte, etc) ma l’idea è tanto semplice quanto doverosa: la definizione di appartenenza europea apparterrà al singolo mercato, e tutti i risvolti integrazionisti dietro di essa (come difesa, politica fiscale e diritto dell’immigrazione) saranno puramente volontari.
Solo con una sussidarietà sostanziale (piuttosto che retorica) una UE a 25 Stati può godere di successo e legittimità. Precisamente per il fatto che non ottiene tali risultati, (e, oltretutto, trasferisce potere nella direzione opposta), la criticabile costituzione di Giscard d’Estaing merita la morte che inevitabilmente l’aspetterà nei prossimi anni.
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