Vino blu: stiamo scherzando, vero?
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Chiara PacentiAmmettiamolo, non sappiamo più cosa inventarci. Con tutte le bevande che esistono è difficile immaginare nel 2016 l'invenzione di un nuovo cocktail, vino o bevanda alcolica. Il rischio è quello di degenerare nella follia. La sapete l'ultima? Un gruppo di giovani spagnoli ha lanciato il vino blu. Sì, davvero. E no, non stiamo scherzando.
Il gioco è bello finchè dura poco, si sa. Questa storiella però è andata oltre la facezia, ed ha avuto alcune conseguenze. Innanzitutto l'impatto sui media, che hanno subito posto "El Vino Azul" sullo stesso piano del nuovo rosé. In secondo luogo le cifre: i sei spagnoli ideatori del progetto hanno già venduto 70.000 bottiglie in giro per il mondo, guadagnando non proprio due spicci. Ed il bello è che tutta questa storia è iniziata per scherzo. Una start-up di Portugalete (Paesi Baschi - Spagna) di nome Gïk ha deciso di interessarsi al vino e all'enologia, tanto da polverizzarne la cultura stessa. Essa è costituita da ragazzi di 20 anni che sono designer, programmatori, artisti e musicisti per formazione, ma senza alcuna conoscienza nel campo della vinificazione. Ma è il concetto punk la chiave di tutto, e in merito a questo Gïk non si fa troppi problemi ad ammetterlo. Il tono della strategia di marketing è proprio quella di affermare con fierezza il fatto di non avere alcuna esperienza in merito, e di dimenticare tutto ciò che si conosce sul vino, sulle tradizioni e forse anche sul gusto stesso. Poi il sito internet fa il resto: la homepage è costellata da immagini di giovani avvenenti con il loro bicchiere di vino blu in mano in un meraviglioso tramonto di sfondo, e scorrendo la pagina la ditta ci consiglia di «abbinare il prodotto con del sushi o dei nachos al guacamole, senza dimenticare gli Alt J o James Blake in sottofondo». Lol? Francamente un po' sì.
"La nostra piccola rivoluzione"
Intervistato da El Mundo Aritz Lopez (22), responsabile pubblicitario di Gïk, spiega che l'idea in realtà è partita da un vero progetto imprenditoriale cominciato all'università. «All'inizio era una sorta di follia avanguardista. Poi, cominciando a lavorare sul progetto, abbiamo scoperto un libro intitolato The Blue Ocean Strategy, il quale racconta dell'esistenza di oceani rossi, infestati da squali che divorano talmente tanti pesci da far diventare l'acqua color porpora. Ma esistono anche oceani blu dove i pesci nuotano liberi. Siamo stati attirati dall'idea poetica di trasformare un oceano rosso in uno blu». Anche se la battuta e l'ironia sono sempre dietro l'angolo, un'idea si è in qualche modo fatta strada nella comunicazione marketing di questo prodotto. Dietro concetti a dire il vero un po' sfocati, il vero fine è sbarazzarsi del folklore che accompagna il consumo di vino. Gli ideatori hanno infatti cominciato partendo da un dato di fatto: nel 2016 i giovani con un calice di vino in mano non badano più tanto al galateo. Addio alla corposità, l'aroma o il retrogusto, «in Spagna la nostra generazione preferisce la birra, i liquori o i cocktail» così taglia corto Aritz. «D'altro canto anche tra di noi nessuno ama il vino tradizionale. Ed è appunto da questa idea che abbiamo cominciato la nostra piccola rivoluzione».
Se la nostra epoca ama i cocktail, allora adora anche la rottura. La rivoluzione di Gïk comincia con un concetto molto di moda, ovvero «l'innovazione attraverso la rottura con il passato». Il blu è stato scelto semplicemente perchè non è un colore appartenente al mondo dei vini. Il messaggio lanciato dalla start-up spagnola si presenta come uno slogan degno della Silicon Valley: «Bere Gïk, non è semplicemente bere del vino blu, è bere l'innovazione». Rimane solo da scoprire quale sia il gusto di questo vino. Cercando di puntare sulla trasparenza, Gïk ci fornisce già la risposta sul sito: l'innovazione ha un sapore un tantino zuccheroso e si beve di preferenza a 13°C. La bevanda è vagamente composta da «diverse varietà di uva bianca e rossa» provenienti da «differenti vigneti spagnoli». Diversamente dal curaçao, il vino blu non deve il suo colore a sostanze artificiali, bensì a pigmenti naturali: gli antociani.
"Una presa in giro"
Sandrine Goeyvaerts (35) tuttavia dubita di quest'ultima informazione. La cantiniera belga, autrice del blog La Pinardothèque, sottolinea che il colore blu non può venire solamente dal vino, ma più realisticamente è dovuto all'Indigo, un colorante naturale. «L'idea del cosiddetto "prodotto naturale" è molto presente nelle pubblicità dei vini trasformati. Effettivamente il colorante è naturale, ma il vino no» ci spiega Sandrine. Secondo Jules Lamon, enologo francese, «è una brodaglia che bisogna certamente assaggiare, ma dubito della sua qualità». Per Vincent Bonnal (40), viticoltore artigiano, si tratta chiaramente di «una presa in giro». Il vino blu non sarebbe un vero vino, bensì «un cocktail allungato con una buona dose di marketing». Per Sandrine Goeyvaerts questa però è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso (o il calice, per rimanere in tema): «Da un po' di tempo non si è più alla ricerca del gusto, ma dell' estetica, usandola come tecnica di vendita. Come la moda dei vini rosé aromatizzati al pompelmo, anche il vino blu prova a dare il via ad una tendenza cool, che prospetta il consumo di vino in discoteca o sul bordo di una piscina, lasciando intendere che gli altri vini siano troppo complicati per certe situazioni».
Osservazioni sicuramente radicali, che comunicano una non troppo celata tendenza di Gïk a minare le tradizioni stesse alla base della cultura del vino, con un non troppo remoto rischio (o ambizione, dipende dai punti di vista) di distruzione della stessa. Per Sandrine Goeyvaerts «si sta toccando un punto sensibile. In molti pensano di non intendersi di vini, perciò gli viene proposto un prodotto che non è altro che per il divertimento». La fine di questa storia dipenderà dal colore di cui si tingeranno le terrazze quest'estate. È una cosa seria. Serissima.
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Informazioni raccolte da Matthieu Amaré e Anaïs de Vita.
Translated from Le vin bleu, est-ce bien sérieux ?