Viaggio a L'viv, a due passi dall'Europa
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Dodici ore a Leopoli, nella più vivace città dell'Ucraina occidentale, centro culturale dai forti sentimenti nazionalisti e dallo spirito innovatore.
Al mio arrivo alla stazione di L'viv, in un caldo venerdì mattina d’estate, una folla attraversa entrambe le parti in cui è diviso l’imponente edificio. Scena comune, per una città con quasi un milione di abitanti. Insieme a Katya salgo su un vecchio tram, con un'obliteratrice che va operata manualmente per punzonare i biglietti da 2 Grivnie. Le fermate vengono annunciate anche in inglese, così come in inglese si leggono diverse scritte; in parte si tratta di una novità introdotta con gli Europei di calcio del 2012.
L'viv, o Lwow, Lemberg o Leopoli, porta i nomi che nel corso del suo passato le hanno dato i vari polacchi, lituani, austriaci, tedeschi e russi che l'hanno occupata, insieme alle impronte lasciate dalle comunità di ebrei ed armeni. Da queste mescolanze deriva quella che oggi è la più fiera popolazione ucraina e che più di tutte si sta battendo per il riconoscimento della propria identità nazionale. Uno dei segni di questo rinvigorito patriottismo è la bandiera dai colori accesi che vedo sui balconi e sui tetti, sulle automobili, sulle porte dei negozi, sulle biciclette, sulle unghie smaltate di una ragazza alla libreria Knyharnia Ye. In un mercatino delle pulci, tra i vari oggetti che celebrano l'orgoglio ucraino, vendono persino delle magliette con il volto di un cosacco. In richiamo a questa figura tradizionale che simboleggia le radici del popolo ucraino, i ragazzi iniziano a portare il taglio di capelli alla cosacca, abbandonando o modificando lo stile hipster molto in voga.
La presenza della bandiera dell'Unione Europea accanto a quella ucraina rivela che in questo posto come in nessun altro nel paese è fortissimo il desiderio di avvicinarsi al Vecchio Continente. Durante la rivoluzione in Piazza dell'Indipendenza, sentivo dire che la gente protestava non tanto per entrare nell'UE, quanto piuttosto per rivendicare il diritto all'indipendenza da qualunque ingerenza straniera, diversamente dall’idea diffusa da tanti mezzi d’informazione. Eppure, alcuni mesi dopo quegli eventi, questa città richiama più che mai, attraverso l'architettura, la lingua e l'istruzione le radici comuni del suo territorio e dei paesi vicini.
Dove si "mangia" l'immagine di Putin
A sostenere questo movimento contribuisce una forte propaganda anti-russa: il volto di Vladimir Putin è ovunque raffigurato e ridicolizzato con insulti più o meno politicamente corretti e la sua figura può essere persino "mangiata", comprandone una riproduzione in cioccolato alla L'viv Handmade Chocolate.
Uno dei luoghi preferiti per il tempo libero, questa catena è stata aperta pochi anni fa e si è rapidamente diffusa in tutto il paese. All'interno si possono osservare gli artigiani che lavorano il cioccolato, mentre una ragazza con un abitino giallo suona un'arpa. Oltre alle fabbriche di cioccolato, a L'viv si stanno diffondendo tanti locali di tendenza: dai bar che vantano il miglior caffè del paese, a piccole enoteche a ridosso delle animate strade del centro, dalla champagneria dove ci si può concedere un bicchiere di costoso vino frizzante, ai fast food dove gustare al volo la cucina tradizionale.
In uno di questi locali incontriamo un gruppo che pratica conversazione in spagnolo. Si avvicina una donna anziana, minuta e gobba, in cerca di qualcosa da mangiare, sembra che la gente la guardi indifferente, ma è semplicemente lo sguardo degli ucraini, non proprio espressivo come quello mediterraneo. Dopo un minuto la donna si ritrova in mano un mazzo di banconote. Le diamo un panino che non abbiamo intenzione di consumare mentre lei chiede se abbiamo abbastanza da mangiare per noi. Ci spiegano che molti ristoranti di L'viv a determinati orari lasciano ai senzatetto alcuni avanzi, che alla sera raccolgono di nuovo e distribuiscono a queste persone in difficoltà.
Il dinamismo dei giovani
Cala la sera. Ceniamo in un elegante ristorante vegetariano; accanto a noi ci sono due ragazze, avranno quindici anni appena, ma discutono come se avessero raggiunto una maturità che molte loro cugine europee non sembrano possedere. Sarà il caso di due ragazze un po' speciali, penso, ma Katya mi assicura che le ragazze ucraine sono in genere molto mature. Fuori vediamo accrescere una folla davanti a due ragazzi che suonano, il cantante fa una pausa e si presenta, dice di venire dal Regno Unito e di essere innamorato dell'Ucraina, invita gli spettatori a battere le mani, alcuni si lasciano andare e cantano con lui i successi nazionali. Più in là un uomo con un grembiule uscito per fumare una sigaretta va a lanciare qualche grivnia agli artisti.
Davanti a un calice di vino, Andrij mi parla della sua “travel start-up” con cui sta collezionando storie di viaggio localizzate su mappe in rete. La sua ragazza Valentyna ci racconta come L'viv si stia aprendo e sviluppando, attraverso la creazione di festival e di luoghi di ritrovo che raggiungono anche le periferie, ancora segnate dall'architettura industriale sovietica.
La lunga camminata che ci riporta alla stazione è l'ideale per stemperare le impressioni e le emozioni che si sono ammucchiate in mezza giornata. In un anno ho incontrato e ascoltato diversi abitanti di L'viv innamorati della loro città, come lo sono altri ucraini fieri di essere stati qui. Dopo i loro racconti mi aspettavo quello che ho effettivamente percepito, ovvero orgoglio e amore per il passato insieme a tanta voglia di guardare al futuro, di esprimere un'identità forte, di aprirsi ad un'Europa vista come un luogo di scambio e di opportunità.