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Verso il referendum del 17 aprile: per votare informati

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Guido Noto

Palermo

Per cosa si voterà? Cosa comporterebbe la vittoria del SI? Quanto conta il nostro stile di vita? Cafébabel Palermo, con il supporto dell’Arci Porco Rosso, ha organizzato un incontro di approfondimento per cercare di rispondere a molti dei quesiti collegati al tema del momento: il referendum del 17 aprile. 

L’esigenza del trovarsi ad approfondire quest’argomento e a confrontarci tutti insieme è sorta dalla difficile comprensione del referendum sia dal punto di vista formale (quale quesito andremo a votare nello specifico), sia dal punto di vista sostanziale (qual è la sua importanza tecnica e politica).

Per fare ciò, siamo stati guidati da tre esperti che hanno condiviso con noi questo percorso di auto-informazione. Ad introdurre l’argomento, un chiarissimo Giorgio Capasso, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Palermo. Inizialmente è stato rilevato come parlare di ‘trivelle’ per questo referendum sia improprio: il referendum non riguarda operazioni di perforazione, ma andrebbe a incidere su alcune piattaforme di estrazione già esistenti. Il che non esclude il rischio ambientale legato alle stesse, ma ridefinisce l'ambito di incidenza del quesito referendario.

Posto che il quesito referendario riguarda la possibilità di rinnovare le concessioni  alle piattaforme operanti nelle acque territoriali (le cd 12 miglia dalla costa), è stato evidenziato che queste rappresentano solo una percentuale del totale delle piattaforme a mare (ovvero il 20% circa). Questo dato è stato sapientemente legato all’attuale fabbisogno di combustibili fossili italiano. In generale, la produzione nazionale di gas e petrolio riesce a soddisfare solo il 10% circa della domanda nazionale. Queste informazioni ci offrono subito una scala dimensionale del problema specifico del quesito referendario.

Una volta scadute le concessioni attuali relative alle piattaforme oggetto della questione - che come ha spiegato Isabella Lo Presti, dottoranda in Diritto Costituzionale, hanno una durata residua che va approssimativamente dai 5 ai 20 anni - è probabile che nel breve periodo, qualora dovesse vincere il SI, la produzione di gas e petrolio cui rinunceremmo sarà rimpiazzata dall’importazione dello stesso tipo di risorse (gas e petrolio) da parte di altri paesi.

Il vero problema dal punto di vista energetico, al di là della scelta che in quanto italiani dovremo compiere il 17 aprile, è legato al nostro stile di vita e all’impatto che l’uomo sta avendo sul sistema “mondo”. Dati scientifici alla mano, Giorgio Capasso ha mostrato come, dalla prima rivoluzione industriale, l’immissione di CO2 nell’atmosfera è andata ben oltre i picchi dei cicli storici del pianeta crescendo in modo esponenziale ed arrivando a sfiorare limiti non sostenibili non tanto per la terra, quanto per la razza umana.

Arrestare di colpo questo andamento e la nostra dipendenza dalle risorse fossili non è concretamente realizzabile, anche perché l’utilizzo di idrocarburi permea ormai la produzione di altri prodotti di uso comune che vanno al di là dei carburanti.

Luigi Botta, ricercatore in Scienza e Tecnologia dei Materiali presso l’Università di Palermo ci ha aiutato a realizzare ciò attraverso l’esempio della plastica. Tutte le materie plastiche infatti discendono dal ciclo di produzione del petrolio. Circa il 10% del petrolio estratto, infatti,  è destinato all’industria della plastica. E se pensiamo a tutti gli oggetti di plastica che quotidianamente ci circondano (bottiglie, sacchetti, apparecchiature tecnologiche, ecc.) capiamo che il nostro stile di vita, e il nostro modo di consumare, hanno sicuramente un significativo impatto ambientale.

Ci sono alcune soluzioni però: le bio-plastiche.  Come ha spiegato Luigi Botta, nonostante l’attuale tecnologia abbia ancora tanta strada da percorrere, il settore delle bio-plastiche, grazie anche a recenti normative comunitarie e nazionali, sta vivendo un momento di crescita che fa ben sperare anche con riferimento agli investimenti in ricerca e sviluppo.

Anche Botta ha evidenziato l’importanza del nostro comportamento sul consumo dei combustili fossili. “Non è solo un modo per sentirsi ‘con la coscienza a posto’ ", ha detto. "I paesi più virtuosi hanno dimostrato come le buone abitudini permettono un significativo risparmio nei consumi energetici e dei combustibili”.

È chiaro comunque che, sebbene un'azione proveniente dal basso come uno stile di vita responsabile alleggerirebbe il nostro peso in termini energetici e ambientali, dal punto di vista della politica energetica nazionale sono altrettanto necessarie azioni concrete.

Può il referendum rappresentare un momento importante da questo punto di vista?

Isabella Lo Presti ha spiegato che il 17 aprile, come per ogni referendum abrogativo, abbiamo l’opportunità di esercitare il nostro volere in modo diretto. Ovviamente per far sì che il referendum abbia successo in senso lato, ovvero dal punto di vista di esercizio della democrazia, è necessario l’implementazione di un percorso formativo tale da poter permettere a chiunque di votare con consapevolezza.

Il quesito che si andrà prossimamente a votare è così formulato: “Volete voi che sia abrogato l'articolo 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016) limitatamente alle seguenti parole: 'per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale'?

In altre parole, dando per assodato che nuove attività di ricerca, esplorazione e coltivazione degli idrocarburi nelle aree marine protette e in tutta la fascia costiera posta entro 12 miglia (circa 22 km) sono già vietate (come da articolo 6 richiamato nel quesito referendario), il referendum riguarda solo le concessioni e le autorizzazioni già attive in questa ‘zona di rispetto’, che ad oggi possono essere rinnovate più volte fino alla fine della vita utile del giacimento.

La vittoria del SI al referendum, invece, permetterebbe di chiudere le piattaforme prossime alla costa (12 miglia) una volta scadute le loro autorizzazioni ad operare, a prescindere dal fatto che vi siano o meno ulteriori risorse di petrolio e gas estraibili. Il referendum non avrebbe dunque un effetto immediato, ma inizierebbe ad avere i suoi effetti fra circa 5 anni per le piattaforme più datate e fra 20 anni per quelle più nuove.

Come mai un referendum per decidere su una questione con un impatto potenziale tutto sommato ridotto?

Isabella Lo Presti ha spiegato che il quesito originario era più articolato, ma che la maggior parte degli specifici quesiti sollevati sono stati recepiti nella legge di stabilità approvata nel dicembre dello scorso anno e che quindi non è stato necessario andare al voto per gli stessi.

L’importanza di questo referendum tuttavia, a parere di molti degli intervenuti al dibattito conclusivo dell’incontro, tra cui quelli del Comitato No Triv Palermo, risiede a livello politico. Il referendum dà per la prima volta agli italiani la possibilità di esprimersi su una questione relativa alla politica energetica del paese che fino ad oggi è stata dominio delle lobby del settore.

Volendo tirare le somme dell’interessante discussione durata quasi tre ore, è emerso come non ci sia una risposta giusta ed una sbagliata al referendum. Se da un lato il quesito va a coprire un aspetto specifico e di scala ridotta rispetto al totale della produzione di idrocarburi in Italia, il significato che questo voto potrebbe rappresentare è potenzialmente molto significativo a livello politico.

È importante esercitare il proprio diritto al voto informati per contribuire democraticamente alle scelte del paese e cercare di cambiare progressivamente il nostro modo di utilizzare l’energia e i combustibili fossili con un comportamento virtuoso. 

Per approfondire: 

http://unmig.mise.gov.it/unmig/strutturemarine/piattaforme.pdf

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