Vallecas: la lotta per un tetto
Published on
La città di Madrid vede sempre più persone costrette ad abbandonare la casa dove vivono per motivi economici. Tra banche spietate e sgomberi coatti, si cercano soluzioni al problema abitativo. E non tutte sono legali.
«Mi sveglio in piena notte e penso: questa non è casa mia». Pilar Molina, una cinquantina d’anni e una tuta da ginnastica consumata, è una okupa: una delinquente per la legge spagnola, un esempio di coraggio per i suoi compagni. Lo scorso febbraio ha forzato la porta di un appartamento disabitato di Vallecas, Madrid, e ne ha fatto la casa dove vive con il figlio 14enne. Non paga un affitto ed è allacciata alla rete elettrica e a quella del gas. Partecipa spesso a quelli che chiama “recuperi”, ossia l’occupazione illegale di un’abitazione.
«Non mi importa vivere al di fuori della legalità. Non mi sento una criminale». Pilar ha preso la decisione di occupare una casa quando ha perso la sua, dopo 14 mesi d’affitto non pagato. «Avevo un debito di 2.000 euro con l’agenzia immobiliare proprietaria dell’appartamento. Da anni non lavoro per problemi di salute: sono andata avanti per un po’ con i risparmi, poi non ce l’ho più fatta». Ha consegnato la chiave a un incaricato dell’agenzia ed è uscita prima che la cacciassero.
«Chi occupa lo fa per necessità. Perché non ha altra scelta che la strada. C’è chi mi insulta per questo: una vicina, vedendomi passare, mi ha gridato di vergognarmi di vivere alle sue spalle». Ma ciò che pesa di più è l’incertezza di vivere sotto un tetto precario. «So che possono sbattermi fuori da un momento all’altro. Ma non posso fare altrimenti».
Causa o effetto?
Pilar non è l’unica inquilina illegale del quartiere di Vallecas, oceanica periferia operaia del sud-est di Madrid. Come gli altri barrio meridionali è spesso teatro di sfratti, ma qui più che altrove gli espulsi sono passati al contrattacco. In calle del Monte Perdido, un blocco di 9 appartamenti è stato occupato a metà ottobre. Fernando, detto Nene, racconta com’è andata: «Ci siamo trovati alle 6 di sera, eravamo più di 100. Abbiamo divelto le porte con motoseghe e grimaldelli e siamo entrati. La Polizia è arrivata, ma questa volta eravamo troppi: quando invece sono loro in maggioranza, ti picchiano con i manganelli e ti trascinano fuori. Ovviamente potrebbero sgomberare gli occupanti in ogni momento: la nostra difesa è un gruppo di WhatsApp per chiamare a raccolta quanta più gente possibile».
Queste operazioni sono coordinate dalla PAH (Plataforma de afectatdos por la hipoteca) di Vallecas, una piattaforma nata per sostenere chi ha perso la casa ipotecata ed oggi attiva su ogni tipo di problema abitativo. «Sempre più famiglie devono vivere per strada,» spiega Alejandra Jacinto Uranga, della sezione centrale della PAH, «e noi facciamo di tutto per impedirlo: dall’assistenza legale, agli espedienti per ritardare uno sfratto, fino ai presidi davanti alle case da sgomberare». La PAH organizza proteste anche presso le banche, divenute proprietarie degli immobili degli inquilini morosi. «In Spagna, nei decenni scorsi, molti hanno aperto un mutuo con ipoteca: con l’arrivo della crisi e della disoccupazione, hanno smesso di pagare le rate e le banche si sono prese la loro casa. Il dramma è che, per effetto della bolla immobiliare, a quei tempi i prezzi degli appartamenti erano molto più alti del valore attuale». La perdita della casa quindi non estingue il debito, e chi risulta indebitato non può ottenere nuovi prestiti.
Il risultato è che le famiglie sono costrette a farsi ospitare dai parenti o a diventare abusive. Per Madrid non esistono dati precisi, ma secondo un report di Amnesty International, in tutta la Spagna si sono registrate quasi 100 mila ingiunzioni ipotecarie dall’inizio della crisi. L’altra faccia della medaglia sono gli appartamenti vuoti, perché le stesse banche faticano a trovare acquirenti: 3,44 milioni di case disabitate in tutto il Paese (il 30% dell’Europa) secondo l’Istituto nazionale di statistica.
Hoy por tí, mañana por mí
Alle affollate assemblee della PAH, gli animi si riscaldano presto. Si discutono prima i casi più urgenti, quelli con una data stabilita. “Oggi per te, domani per me”, è il motto, la solidarietà la regola. C’è chi, come Asunción, resiste da 4 anni nella sua abitazione a suon di rinvii per motivi di salute. C’è Miguel, che suggerisce agli illegali di esibire alle autorità un falso contratto di affitto: una truffa da poco, che fa guadagnare qualche settimana. C’è Carmen, che ha in braccio una bimba di due anni e in mano un avviso di sfratto esecutivo. C’è Antonio, che non voleva abbandonare la casa dove ha vissuto per 30 anni, ma alla vista della moglie in lacrime fuori dalla porta ha ceduto.
Nemmeno gli affittuari sono al sicuro. Il 60% degli sfratti avviene in case vendute da enti pubblici ai cosiddetti “fondi avvoltoio”. IVIMA (dipendente dal Governo regionale) e EMVS (dal Comune di Madrid) hanno ceduto nel 2013 rispettivamente 2.935 e 1.860 appartamenti per migliorare i loro bilanci. Come spiega Enrique Villalobos, Presidente della FRAVM, la Federazione delle associazioni di vicinato, questi fondi alzano i prezzi degli affitti in modo diretto o indiretto e gli inquilini non possono più permetterseli. «Gli enti pubblici hanno abdicato al fine sociale che avevano: quando il sistema provoca ingiustizia, bisogna cambiarlo. Chiediamo alle istituzioni “affitti sociali” che non superino il 30% delle entrate di una famiglia, la modifica della legge sulle ipoteche e la concessione delle abitazioni inutilizzate».
Lo scetticismo sull’operato del nuovo sindaco Manuela Carmena («Si sta impegnando a negoziare con le banche e cercare soluzioni alternative, ma può fare poco. Ha sbagliato a promettere lo stop agli sfratti in campagna elettorale»), non significa resa. «Siamo di fronte ad un dramma sociale,» dice il Presidente della FRAVM, «certo ci sono anche le occupazioni mafiose, fatte da organizzazioni criminali che si fanno pagare per sfondare le porte, ma la maggior parte degli insediamenti sono frutto della disperazione».
E se, come afferma Villalobos, ogni abitazione è un «bene d'uso e non di scambio», l’espropriazione sembra suonare meno criminale e gli okupas meno fuorilegge. Protagonisti, loro malgrado, della lotta contro una città di persone senza casa e case senza persone.
_