Vagina rivoluzionaria
Published on
L’opera teatrale di Eve Ensler è un successo globale. Ne I Monologhi della vagina le donne raccontano sesso, amore, dolore e violenza. E il giorno di San Valentino si celebra un V-day. Perché la sessualità è militante.
«Siccome m'interrogavo spesso su quello che le donne pensano delle proprie vagine un giorno ho deciso di fare qualche intervista: una rivelazione. Un viaggio nell'inaspettato. Un'esplorazione scioccante dell'esistenza. Tutte le risposte mi sorprendevano. Così sono nati i "Monologhi della Vagina". Ho intervistato più di duecento donne: vecchie, giovani, sposate, single, lesbiche, mamme, nonne, insegnanti, attrici, operaie, lavoratrici del sesso, afro-americane, ispaniche, asiatiche, caucasiche, musulmane della Bosnia, ebree... All' inizio erano timide, esitanti. Poi però, una volta partite, era impossibile fermarle. Il fatto è che le donne adorano parlare della loro vagina». (Eve Ensler)
Da più di dieci anni i Monologhi della Vagina (The vagina monologues) dell'americana Eve Ensler battono, in tutto il mondo, record di critica e di pubblico. I numeri parlano: tradotti in 45 lingue e rappresentati in 120 paesi, sono il frutto di circa duecento interviste a donne di età, classe e origine diverse. Il libro ha alzato il velo sull'universo femminile, alternando ironia, amarezza e indignazione, con “Lei” – la vagina – che fa da cassa di risonanza a una sorellanza dichiarata globale. Per Ensler, la vagina è la storia di ogni donna. Una storia da raccontare e di cui essere fiere, anche se spesso porta il peso della violenza maschile. Alla base, inoltre, il concetto della superiorità sessuale femminile: il clitoride è l’unica parte del corpo unicamente votata al piacere fisico.
La tortura dell’assorbente interno…
«L'esempio di Eve Ensler testimonia che la solidarietà tra donne può cambiare il mondo e che dobbiamo amare noi stesse, e che possiamo essere la voce di chi soffre. I Monologhi hanno fatto un miracolo: le donne pensano a se stesse e alle altre in maniera diversa; c'è qualcosa che le unisce a livello planetario, anche se molto spesso si tratta della violenza», dice Danijela Dugandzic, organizzatrice dell'ultima rappresentazione dei Monologhi a Sarajevo per la Fondazione CURE.
E, infatti, teoria e prassi, letteratura e realtà, si sono intersecate fin da subito nel lavoro di Ensler. Dalla prima a Broadway, nel 1996, è stato un susseguirsi di rappresentazioni in ogni angolo del mondo. Hanno partecipato star del calibro di Jane Fonda, Glenn Close, Melanie Griffith e Winona Ryder e Alanis Morissettes. In Italia è toccato, tra le altre, a Susy Blady e Angela Baraldi. E queste voci ci raccontano della prima mestruazione, di orgasmi, di esperienze lesbiche e anche della “tortura” del dover usare assorbenti interni o del subire una visita ginecologica.
La rappresentazione ha vinto premi prestigiosi – l'Obie Award, il Berrilla-Kerr Award, l'Elliot Norton Award – ma ha anche suscitato reazioni contrariate, come quella del drammaturgo israeliano Rafael Milo-Amar che, stizzito dalla “vagina mania”, ha messo in scena The Holy Phallus (Il santo fallo), una sorta di ode al pene in crisi.
V-day militante
Nel 1998, la svolta: i Monologhi, da caso letterario internazionale, diventano un movimento globale contro la violenza alle donne, il V-day. Una manifestazione – che non ha niente a che fare con il “Vaffanculo day” di Beppe Grillo – che si celebra 14 febbraio, festa di San Valentino, dove la V sta per vittoria, Valentino e, naturalmente, vagina. In quest’occasione la pièce è recitata in maniera volontaria in tutto il mondo: «Questa è la quinta volta che partecipo alla produzione dei Monologhi della Vagina e l'ho fatto perché volevo dare voce alle donne che sono costrette a vivere o, meglio a sopravvivere, in situazioni di violenza», racconta Ginny Hekinian, organizzatrice, ma anche attrice e regista, rigorosamente non professionista, nell'ultima produzione dello spettacolo a Saint Renan, nel Nord-ovest della Francia. Ogni anno viene aggiunto un monologo che richiama eventi che vedono protagonisti le donne. Così, ad esempio, a fianco delle testimonianze delle vittime di stupro in Bosnia, si è aggiunto, dal 2003, un racconto dall’Afghanistan.
Una solidarietà, nel progetto della Ensler, sì globale, ma anche comunitaria, al di là delle differenze socioeconomiche e culturali. «Molte delle donne che hanno partecipato al nostro spettacolo sono state vittime di violenza domestica, di stupri o di abusi sessuali, altre sono impegnate per i diritti delle donne come militanti o per lavoro, nel campo dell'assistenza sociale. Malgrado background molto diversi, grazie allo spettacolo ora ci sentiamo molto vicine le une alle altre, come delle sorelle», aggiunge la Hekinian. Ma l'arte può davvero incidere così a fondo sulla realtà? Risponde sicura dall'altro capo dell'Europa Eva Smoczynski, responsabile del V-day 2008 di Stoccoloma: «Anche se è solo per un giorno, si può già parlare di cambiamento: come altro chiamare 5mila eventi in tutto il mondo?». Da Sarajevo le fa eco Danijela: «Dal giorno dello spettacolo abbiamo ricevuto mail di donne che ci ringraziano e che dicono che si sentono cambiate. Parlano di dolore, lacrime, sesso, orgasmi, amore, e chiedono come possono aiutarci». Che il miracolo continui.