Unioni civili: "Oggi in Italia siamo un po' di più"
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(Opinione) Dall'11 maggio le unioni civili sono realtà in Italia. Dopo una strada abbastanza lunga e tortuosa il testo legislativo è stato approvato in Parlamento, pur perdendo qualche pezzo per strada. Piovono critiche da ogni parte, ma una cosa è certa: finalmente si è ottenuto un riconoscimento per le coppie omosessuali nel Bel Paese. Meglio tardi che mai.
Dopo anni di dibattiti, manifestazioni, prese di posizione, rinvii e modifiche, da mercoledì 11 maggio 2016 anche l’Italia può affermare che sì, anche nel paese della chiesa cattolica, le unioni tra persone dello stesso sesso sono riconosciute e regolamentate dalla legge. Una legge però "made in Italy", in tutti i sensi. Con tutti i raffazzonamenti e le "toppe a colore" messe su un testo altrimenti rivoluzionario, ma con buone prospettive di miglioramento per il futuro. Vediamo perché.
Ce l'abbiamo fatta. Più o meno.
Parliamo finalmente di unioni civili in un paese fino ad ora generalmente incivile. L’Italia si dota di una legge in grado di riconoscere e regolamentare le unioni di fatto (omosessuali ed eterosessuali), utilizzando finalmente le espressioni "unione civile tra persone dello stesso sesso" e "conviventi di fatto". Il testo prevede, oltre a diritti di tipo "formale" (ad esempio la scelta del cognome), anche quelli di tipo più sostanziale (vedi obbligo di convivenza e di assistenza morale e materiale, stato patrimoniale e successione ereditaria), da sempre al centro delle richieste per un riconoscimento effettivo delle coppie dello stesso sesso quali cittadini con pari diritti. Unioni che, non ultimo, saranno quindi finalmente registrate nell'archivio di stato da parte di un ufficiale di stato civile, parificandole in tutto e per tutto ad un matrimonio tradizionale. O quasi. Due le falle, più o meno gravi, in questo testo: la mancanza dell'obbligo di fedeltà per la coppia, che non potrà quindi essere un motivo di separazione della stessa, e l'impossibilità di adottare un figlio, quest'ultimo punto perso durante l'iter legislativo per venire incontro a tutte le forze politiche favorevoli alla legge e non perdere la maggioranza necessaria all'approvazione del testo. Porta però non completamente chiusa però in merito, visto che il testo è stato lasciato secondo alcuni volutamente ambiguo, ed aperto alle cosiddette "adozioni in casi particolari". In sintesi: un matrimonio meno due, almeno per ora.
La storia di questa legge inizia nel 2013. Dopo 3 anni di tribolazioni parlamentari varie il disegno di legge numero 14, passato poi alle cronache come "legge Cirinnà", è diventato legge – anche se non proprio identico al testo originario –. Ma già strada facendo altri attori avevano fatto presente che il problema in Italia era serio e concreto, ed urgeva trovare una soluzione: il 21 luglio dello scorso anno la Corte Europea dei Diritti Umani aveva sollecitato il Bel Paese a riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso. Dopo lo stop al Senato e le polemiche a febbraio che hanno portato alla cancellazione della parte riguardante la cosiddetta stepchild adoption, il testo è divenuto legge l’11 maggio grazie anche alla fiducia posta dal governo sulla sua votazione. L’Italia diventa quindi il 27º paese europeo a dotarsi di un riconoscimento legale per le coppie omosessuali. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire.
"Oggi in Italia siamo un po' di più"
«È un giorno che porta l’Italia in linea con gli altri paesi». Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi esulta per il risultato ottenuto su una legge su cui aveva scommesso politicamente tantissimo e che rappresentava l’obiettivo principale del governo in tema di diritti civili. Il Ministro per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi indossa una coccarda arcobaleno a supporto della comunità LGBT italiana, ed i presidenti di Camera e Senato sottolineano l’importanza del riconoscimento di diritti per troppo tempo negati. Insomma una festa della democrazia e dell’uguaglianza… più o meno. Le critiche in realtà piovono copiose da più parti, e coprono diversi aspetti. A molti non è piaciuto l’ennesimo ricorso al voto di fiducia da parte del governo. Anche perché la legge era nata su iniziativa parlamentare. E se da destra minacciano un referendum abrogativo, il cui comitato è già stato istituito, il mondo cattolico non manca di evidenziare eccessive similitudini con l’istituto del matrimonio, gridando all’incostituzionalità per la violazione del "favor familiae" (principio giuridico che garantisce una speciale posizione di tutela all'istituto familiare, n.d.r.). Senza contare chi, come Matteo Salvini, propone di risolvere il problema alla radice: invitare i sindaci a non applicare questa legge. Insomma, ordinaria amministrazione per la politica italiana.
Detto e considerato tutto, rimane il fatto che l’Italia oggi è un paese un po' più civile, un po' più rispettoso dei diritti di tutti, un po' più consapevole del fatto che l’uguaglianza a parole non vale quanto quella nei fatti. Che la famiglia, nel suo senso più profondo, vive oltre l’ottusa ostinazione di chi crede di difenderla facendone una questione di requisiti e meriti. E senza entrare nell’ovvietà dell’unicità del concetto di amore, nonchè del desiderio di condivisione della propria vita con la persona che si sceglie a prescindere dal proprio sesso, l’Italia da oggi riconosce e dà delle regole a quella parte dei suoi cittadini che fino ad oggi non esistevano per la legge. Ecco, oggi in Italia siamo un po' di più.