Un'Europa aperta, ma non tutta “rose e fiori”
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Elisa RanaUna porzione di frontiera, un luogo, una persona. Un film-documentario, La frontiera interiore, verrà proiettato per tutta l'estate in 40 luoghi lungo il tracciato dell'antica cortina di ferro. Sette ritratti per raccontare gli ostacoli, anche quelli mentali, che impediscono agli Europei di comprendersi.
Hanno chiamato il proprio laboratorio «Limo». Non come limonata, né come limousine. Ma limo, “frontiera” in esperanto. Quella frontiera che affascina ben oltre le lingue che separa. Dietro a questo laboratorio-atelier si nascondono due giovani francesi, Simon Brunel e Nicolas Pannetier, che ormai vivono a Berlino. E di certo non è un caso, dato che la tematica della frontiera è ben presente nella capitale tedesca. I due ex-studenti di architettura hanno appena completato il loro film-documentario La frontiera interiore.
Un viaggio lungo l'antica cortina di ferro, dal mar Baltico a quello Adriatico, alla ricerca di coloro che da questa ex frontiera sono stati segnati per la vita. Olaf, Zbigniew, Vaclav e Vanda non si conoscono, ma ognuno di loro ha la sua storia da raccontare su questa frontiera che unisce, isola, distrugge e ricostruisce. Durante l’estate, questa serie di sette ritratti sarà proiettata in 40 luoghi diversi lungo la frontiera. Per discutere e conoscersi l’un l’altro, al di là di una semplice linea di demarcazione.
Quest’estate, con la proiezione de La frontiera interiore lungo l'antica cortina di ferro, il vostro film fa ritorno ai suoi luoghi d’origine. Com’è nata l’idea di questo progetto?
Eravamo a Graz, in Austria, nel periodo in cui gli antichi Paesi dell’Europa dell’Est sono entrati a far parte dell'Unione Europea, e abbiamo voluto scoprire come questi Paesi stavano realmente vivendo questo evento.
È per questo motivo che, a conclusione della nostra laurea in architettura, abbiamo scelto di presentare un progetto di una banca dati relativa a questa frontiera. Siamo stati in giro per tre mesi partendo dal mar Baltico e dal confine tedesco-polacco fino al mare Adriatico, tra la Slovenia e l'Italia. L’obbiettivo della nostra prima tappa è stato quello di raccogliere suoni, immagini e impressioni, sempre basandoci sui 238 punti toccati lungo questa frontiera. Ci è capitato di attraversare la frontiera anche quattro o cinque volte in un’unica giornata.
In che modo un progetto di laurea in architettura diventa un film?
Il nostro progetto, pur essendo un po' insolito, è stato accolto molto bene. Abbiamo incontrato Barbara Keifenheim, cineasta e antropologa, che ci ha spinti a realizzare questo film. Così abbiamo deciso d’iniziare basandoci su questo principio: una porzione di frontiera - un luogo - una persona. Abbiamo selezionato sette persone tra quelle incontrate durante il primo viaggio e siamo tornati a trovarle. Il tutto si è accelerato nel novembre 2007, quando abbiamo saputo che i posti di frontiera sarebbero stati distrutti un mese più tardi. Noi volevamo esserci proprio in quel momento.
Sebbene questo film sia composto da sette ritratti, il personaggio principale rimane la frontiera stessa. Che cos’ha di così affascinante?
La frontiera è qualcosa di visibile e al tempo stesso invisibile. Non si può che darne una definizione personale e secondo noi si tratta del luogo del paradosso. Della separazione e dell’incontro. È una zona fantastica, dove anche le gerarchie sociali confondono: è una linea che separa due città, due paesi e, nel caso della cortina di ferro, due blocchi ideologici.
Il vostro film permette allo spettatore di attraversare numerosi paesi, ma la lingua principale del film rimane quella tedesca. Com’è avvenuta la comunicazione con i sette personaggi?
Per preservare l’autenticità delle testimonianze non abbiamo voluto interpreti, fatta eccezione per il caso della figlia del guardiano del museo ungherese che traduceva le proprie frasi, ma questo non ci ha comunque impedito di realizzare delle belle scene. Abbiamo dovuto concentrarci necessariamente su personaggi con i quali potevamo comunicare. Questo modo di fare ci ha comunque regalato delle scene insolite, come nel caso del commerciante polacco che si esprimeva a gesti.
Il film verrà presentato in 40 luoghi lungo questa frontiera. Che cosa vi aspettate da queste proiezioni?
Il film ha in sé una vocazione: far ritorno nei luoghi in cui è stato girato. Per questo, prenderemo la direzione inversa rispetto a quella del primo viaggio, cominciando da Koper in Sloenia a luglio, fino a raggiungere la Polonia a ottobre. Il nostro obbiettivo è quello di far riflettere. Sebbene le frontiere siano ormai aperte, l'Europa non è comunque tutta rose e fiori. Ci sono alcune cose rimaste nascoste e delle tematiche di cui bisogna ancora parlare. Per certi aspetti, questo film genererà grande clamore, per questo ci aspettiamo reazioni diverse e sappiamo che forse ci esponiamo a dei pericoli. Quello che desideriamo è l'inizio di un dialogo e speriamo che a contribuirvi sarà proprio questo film.
Translated from Docu: une Europe ouverte, mais pas «rose bonbon»