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Un'altra Europa è possibile

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Lorenzo Morselli

Chi vuole cambiare il mondo non si ferma alle frontiere. Sempre più europei lo fanno. Anche se la realtà istituzionale, spesso, blocca.

Mentre l'Europa istituzionale ristagna e balbetta e non si vuole proprio muovere di un dito, i cittadini si avvicinano sempre di più. Come i dolorosi attentati di Madrid, che non hanno colpito solo gli spagnoli ma tutta l’Europa in pieno cuore. L’identità europea nasce nel dolore.

Quando, nel luglio 2001 il giovane Carlo Giuliani venne ucciso da poliziotti italiani nel corso di una manifestazione contro il Summit G8 di Genova, la gioventù europea rimase sotto shock. Il gioioso, spesso carnevalesco turismo da summit aveva perso la sua innocenza.

Mi dia l’organizzazione tedesca, un po’ di okkupazione all’italiana e...

Mentre i potenti si nascondevano dietro barriere invalicabili, in “zone” più o meno “rosse”, la folla colorata mostrava tutto il suo disaccordo con l'andamento ufficiale delle cose. Un'anno dopo i colpi di rivoltella di Genova, naque a Firenze il Foro Sociale Europeo: il movimento di protesta si era ormai emancipato della logica dei contro-summit ed era deciso a (fon)dare un segno indipendente e costruttivo. Quello di una Europa diversa, anti-istituzionale.

Cyrille, che studia legge a Parigi, ha partecipato all'evento di Firenze. Lì, ha conosciuto militanti di tanti paesi europei, scambiato esperienze e indirizzi e-mail. Un'anno dopo, aiutò alla messa in piedi di un “campo anti-autoritario” nel quadro del secondo Foro Sociale Europeo di Parigi, il GLAD (Globalisation des Luttes et des Actions de Désobéissance, Globalizzazione delle Lotti e Azioni di Disobbedienza): «Per me dobbiamo dare nuova linfa alle nostre azioni tramite la cooperazione, imparare gli uni dagli altri, giocare sull’emulazione. I tedeschi, per esempio, sono barvissimi a livello organizzativo, gli italiani hanno una grande tradizione di occupazioni e gestione di Centri Sociali.» In tutti gli scambi europei, però, quello che conta è di conoscere le proprie tradizioni e di rispettare quelle degli altri: «Ognuno ha la propria identità, la propria storia e il proprio ritmo politico. Al dilà del rifiuto delle condizioni attuali, abbiamo in comune la volontà di vivere diversamente.» Ed proprio nel quadro di questi «Comuni» temporanei – tali il «Villaggio intergalattico» - che l'Europa è sulla strada giusta per ritrovarsi.

Diritto di associazione: l’eterna via crucis

Per Keyvan, della rete studentesca francese Animafac, non ha senso farsi bloccare da modi di pensare nazionali: «l'Europa è oggi determinata dalle istituzioni, sta a noi riempirla di vita. Siamo tutti Europei, non c'è nessun motivo di portarsi frontiere nella testa. Cerchiamo gente che si interessi a progetti particolari, e la ricerca non si ferma alle frontiere.» Uno di questi progetti è per esempio Eurocampus, una 5 gionri pluridisciplinaria, al quale vengono invitati rappresentati di iniziative studentesche di tutta Europa. Oltre al miglioramento della cooperazione fra organizzazioni studentesche in Europa, questa estate a Bordeaux, il programma includeva un'altra questione chiave: il diritto europeo di associazione. Oggi non è possibile creare un'associazione che sia ugualmente e simultaneamente riconosciuta come persona di diritto in tutti gli stati membri dell'UE. Il diritto dei cittadini europei di unirsi per obiettivi comuni e di pubblica utilità è finora sempre finito sotto le scrivanie della burocrazia di Bruxelles. Perciò rimane come unico ricorso l'arrangiarsi con costruzioni improvisate: per l'organizzazione del prossimo Eurocampus in Italia sarà probabilmente creata un'associazione... in Francia. Alla differenza di altri paesi, qui è possibile anche per stranieri di assumere la presidenza.

“L’Europa è come un grande appartamento”

Purtroppo la cooperazione internazionale non funziona sempre senza crisi: vi sono lotte di potere e malintesi culturali. Per Keyvan, questo pero' non è un problema, finché si rimane coscienti delle differenze : «Quando ci si rispetta, si puo' anche litigare - è come nel judo: prima e dopo la lotta, ci si inchina e ci si lascia amichevolmente.»

L'europeizzazione diventa sempre di più una necessità logica per associazioni e istituzioni nazionali, che non si vuole né si può impedire. Il programma tedesco ASA è un programma di formazione alle politiche dello sviluppo, che da più di 40 anni, manda giovani a fare stage di tre mesi in tutto il mondo. E’ stata recentemente varata una collaborazione con organizzazioni dalla Francia all'Estonia. I partecipanti viaggiano in squadre multinazionali di due persone per partecipare a progetti di sviluppo. In un Europa che si restringe, che i giovani hanno già potuto percorrere in lungo e in largo grazie a InterRail, Erasmus e vari voli «low-cost», sembra sempre più strano andare in Africa senza avere scambiato più intensamente col proprio vicino: «I partecipanti sono molto interessati nell'imparare come problemi simili vengono risolti in altri paesi. C'è una grande curiosità nei confronti di cio' che avviene al di là della realtà tedesca», dice Albrecht Ansohn, il direttore del programma.

Queste novità, però, possono anche irritare: un'organizzazione-partner slovacca rivendica per esempio il suo carattere cristiano, un fatto che provoca scetticismo fra i partecipanti tedeschi. Putroppo la casa europea non è un edificio nuovo e pulito, piuttosto una costruzione angolata e intrecciata, nella quale c'è spesso qualcosa di sorprendente da scoprire nella camera accanto. La scoperta di questa casa e delle persone che vi ci sono impiantate è diventato un' evidenza per l'Eurogeneration, come osserva Keyvan: «non si riflette sulla casa nella quale si vive, vi si vive, semplicemente.»

Translated from Ein anderes Europa ist möglich