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Una normale storia da Scampia

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Napoli

di Andrea Migliaccio Scampia e Secondigliano sono i quartieri di Napoli più citati dai media per i fatti di camorra. L’idea che traspare non rende però giustizia a chi nel quartiere ci vive da sempre, con una morale diversa da quella del ‘sistema’. La storia di un ragazzo come tanti che preferisce la legalità alla logica dei clan.

I fatti di cronaca di queste settimane riportano l’attenzione, qualora fosse calata, sulla situazione di Scampia. La nuova faida, così rinominata per distinguersi da quella del 2010, è in linea con le altre, è causata dalle stesse motivazioni, il controllo dell’area, e porta agli stessi risultati, la serie innumerevole di omicidi. I nuovi capi delle organizzazioni che si fronteggiano sono quasi tutti ventenni, figli e parenti dei vecchi camorristi in prigione, di cui ne hanno ereditato tutta l’ambizione, la ferocia, e a cui hanno aggiunto  la fragilità giovanile.

La camorra, è una sua caratteristica, è sempre stata rispetto alle altre organizzazioni criminali quella con il braccio armato più forte e la perturbazione della pax mafiosa ha sempre portato a centinaia di morti l’anno. Tutti giovani, o quasi, appena ventenni e incensurati. D’altronde a quest’età è difficile avere già qualche reato sulle spalle. Ed era giovane anche quel ragazzo di Cardito, Lino Romano, freddato per sbaglio in una notte nelle cosiddette Case Rosse a Marianella, scambiato per uno di loro, ma che con loro aveva solo in comune il modello dell’auto. La variabile errore, spesso poco presa in considerazione, trasporta così la faida dai clan e i suoi affiliati alla sfera della legalità.

W. è un ragazzo di Marianella, 25 anni, gli ultimi tre passati a lavorare in un bar a Secondigliano con il carcere a pochi passi. Lo incontro in un locale sulla Circumvallazione, a pochi chilometri dalle vele. Un caffè, un amaro. Siamo al tavolo e la voce si alza e si abbassa a  seconda di chi c’è intorno. Il suo, di bar, è  essenziale, niente tavolini, niente ragazzi che servono, solo bancone, caffè, sigarette e videopoker. W. è abituato ai fatti di camorra, ha vissuto la prima faida e ora la seconda, i posti di blocco, il “coprifuoco” serale, le mille storie di personaggi presi direttamente dalla scala gerarchica dell’organizzazione: il pusher, l’affiliato, il killer. Mi spiega subito che chi entra nel sistema è difficile che ne esca incolume, tutti sanno che “se ti va bene ti fai qualche anno in carcere, se ti va male… “. Si dice che la malavita sia come la frittura di pesce: puoi stare attento a non sporcarti di farina o di olio, ma la puzza si sente sempre.

“La questione economica è senza dubbio la motivazione più forte per entrare, ma anche la cultura, l’educazione familiare, la voglia di emulare spingono al sistema. Io mi ritengo un ragazzo fortunato, e sono apprezzato anche da loro perché lavoro regolarmente”. Il profilo di W. è quello di nu bravo guaglione, poca voglia di studiare, tanta quella di lavorare motivata da un forte senso del dovere, e il lavoro c’è, anche troppo. Sei giorni a settimana, turni da otto ore al giorno, di un contratto neanche a parlarne.

Pasquale Romano è solo l’ultimo del triste elenco delle persone uccise dalla camorra. Dagli anni Ottanta  ad oggi sono più di cinquanta le vittime innocenti.

La crisi raggiunge tutti e ovviamente non esclude i clan con le loro entrate, perché non bisogna dimenticare che l’organizzazione è soprattutto un’impresa economica, con introiti da far paura alle multinazionali. “Lo Stato non può reggere il confronto sulla questione economica, la persona è attratta dai soldi facili.” La visione è di uno Stato passivo, che non è capace di indirizzare i giovani alla legalità.

È la droga che ha rivoluzionato tutto. “Prima la coca era per i ricchi, ora tutti si possono piglià ‘a bianca. Per non parlare del fumo”. Quando il mercato, non solo di droga, entra in crisi, bisogna espandersi ricercando altri territori e ciò porta a scontrarsi con altri clan e inevitabilmente alle armi. Oppure ci si può trovare nella situazione in cui il territorio è già interamente controllato e la guerra è intestina al clan per la spartizione dei guadagni.  “Magnavm tutt quant quando non c’era la crisi” è una frase che molti hanno ripetuto a W. nel bar, e quel “tutt quant” ci dà ancora di più la conferma di come il sistema camorristico sia intrecciato vivamente al sistema sociale.

Una serie di fattori sono causa dell’ “inserimento” all’illegalità dei soldi facili, ma è soprattutto il fattore culturale quello che viene a mancare in questo contesto. La presenza dello Stato non può essere solo quella repressiva delle volanti e dei posti di blocco, bensì preventiva. “Lo stato deve creare alternative. Al momento l’illegalità è la prima fonte di guadagno per la povera gente. Hai presente il casinò di Campione d’Italia? Lì tutti mangiano con il casinò e se chiude vanno tutti per strada. Così è qua con la camorra.” Forse il paragone di W. è un po’ azzardato ma rende l’idea. “Se mi proponessero un altro posto di lavoro da un’altra parte, anche per meno soldi, io me ne andrei” mi spiega W. Gli chiedo il perché, tutto sommato lavora e non è poco. “Si lavora con la paura per l'errore di spari, con l’angoscia del degrado. Si sta sempre con l'ansia”. È questo il paradosso di voler portare avanti una vita “normale” in un territorio che non lo è e le paure condizionano la vita di tutti i giorni, rendono dei comportamenti delle abitudini e l’anormalità risulta difficile da distinguere. 

Una foto della manifestazione Free Scampia dello scorso 19 febbraio 2011 in Piazza Giovanni Paolo II per il recupero degli spazi pubblici.

La storia di W. non è originale rispetto a quella di tanti altri ragazzi della periferia nord di Napoli, che sono molti di più rispetto a quelli che preferiscono i soldi facili dei clan e che sono alla continua ricerca di un’alternativa valida. Fare del catastrofismo non serve a molto e non ce n’è bisogno anche quando di Scampia se ne sente parlare di più sui media. Il progetto di una riqualificazione dell’area non può avere risultati istantanei, ma la base di partenza può essere proprio questa generazione e tutti quelli che malgrado le difficoltà continuano a  rifiutare il sistema.