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Un giro dentro l'hub: come Milano accoglie i migranti

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Milano#OpenEurope

Lo scorso luglio ha aperto il primo centro per la distribuzione e la registrazione dei profughi a Milano. Un piccolo viaggio tra professionisti dell'accoglienza, volontari e migranti.

Fino ad aprile 2015, nel cuore della stazione Centrale di Milano, c'era il mezzanino ad accogliere i profughi. Ora, al loro posto, c'è un bar très chic. Ad alcuni la cosa ha fatto un po' impressione, ma la strada dell'accoglienza ha solo fatto il giro della stazione, oltrepassando i tram di piazza IV Novembre, fino ad incrociare via Tonale, all’angolo con via Sammartini. Qui, all'inizio dell'estate, è stato aperto il primo centro per la registrazione e la distribuzione dei profughi nelle sette strutture di accoglienza cittadine.

Siamo nell’hub di via Tonale, inaugurato lo scorso 10 luglio alla presenza del Sindaco Pisapia e delle istituzioni. Il centro è stato allestito in tempi record dal Genio militare, insieme alla Protezione civile e alle organizzazioni coinvolte (Progetto Arca, L'Albero della vita e Save the Children) che hanno trasformato i locali dell'ex Dopolavoro ferroviario in un'oasi polifunzionale.

Ad accoglierci c’è Silvia Panzarin, presenza fissa all'hub. Giornalista ed esperta del settore non profit, ora è a capo dell’ufficio stampa di Progetto Arca Onlus. E' lei a guidarci attraverso i 450 metri quadrati in cui si muovono quotidianamente profughi, professionisti e volontari «in affiancamento agli operatori». 

A Milano, riporta il Comune,  dal 2013 ad oggi sono state accolte oltre 76 mila persone, di cui 20 mila bambini. I migranti fuggono principalmente dalla dittatura di Isaias Afewerki in Eritrea, dal terrorismo di Boko Haram in Nigeria e dalla guerra in Siria. Quando arrivano in città, la maggior parte si disperde nel tessuto urbano, concentrandosi nella zona di Porta Venezia che, dagli anni Settanta, costituisce l'ombelico africano della città. Qui i profughi si riuniscono e cercano di agganciarsi alla rete solidale dei connazionali inseriti nel territorio.

Gli operatori di Progetto Arca fanno la spola tra l'hub e Porta Venezia. Informano i profughi delle opportunità messe loro a disposizione, offrono assistenza sanitaria qualificata, vitto e alloggio, grazie anche ai 35 euro a persona che il Viminale assegna giornalmente. Così ci spiega Silvia, mentre iniziamo l'esplorazione del centro.

All'entrata, attorno ai computer messi a disposizione dall’associazione Informatici Senza Frontiere, alcuni ragazzi ristabiliscono i contatti con la famiglia e la casa che si sono lasciati alle spalle. Ma non solo: l’uso del web è indispensabile per pianificare le tappe del viaggio, scaricare le mappe, prenotare un treno e scambiarsi informazioni con chi è già arrivato a destinazione.

Ad accoglierci c’è Omar, 21 anni, di origini egiziane e mediatore culturale. «Le principali difficoltà che incontriamo sono linguistiche», ci spiega. Nel centro ci sono altri cinque ragazzi come lui. Parlano tutte le lingue necessarie a comunicare con chi proviene dal Medio Oriente e dall’Africa sub-sahariana: tigrino, arabo, francese, amarico e inglese. A raccogliere e registrare i nomi ci sono due ragazze, anche loro mediatrici. Hanno origini arabe e portano il chador. Non hanno un attimo di respiro: guardano i volti, parlano, scrivono.

Per accedere all'hub non ci vogliono documenti ufficiali. La registrazione serve semplicemente a tenere il conto di chi transita ma non ad identificare i profughi. In questo modo, chi vuole proseguire il viaggio verso l'Europa non è vincolato al Regolamento di Dublino, che impone di presentare richiesta di asilo nel primo paese in cui si arriva e di essere registrati formalmente attraverso le impronte digitali per controllare che non siano state presentate contemporaneamente più domande in altri paesi. Chi passa per l'hub di via Tonale sceglie liberamente se assumere lo status di profugo, che si ferma in una nazione il tempo necessario, o quello di richiedente asilo, che è inserito nel percorso verso l'asilo politico e, se giudicato idoneo, otterrà lo status giuridico di rifugiato.

Poco oltre l’ingresso, c'è una area dedicata ai più piccoli. Qui gli educatori de L’Albero della vita aiutano i bambini a riappropriarsi della loro dimensione infantile e valutano il loro stato psicologico. «Molti bambini ci chiedono se resteranno, ci scambiano per maestre e dicono che siamo le più belle,» racconta un’operatrice di origine egiziana, poco più che ventenne.

Pochi gradini e ci si ritrova nell'area ristoro. Omar ci spiega che molte persone arrivano qui affamate dopo giorni di digiuno. Dietro al bancone del bar c'è Federica, che assicura pasti e sorrisi. Ha 22 anni e studia storia. Fa la volontaria per il comune di Milano. «Di solito lavoro in cucina ma bisogna essere sempre pronti ad ogni esigenza», dice.

Nel vociare delle volontarie che lavorano senza sosta si apre l'ultimo spazio dell'hub. Il disordine che regna è la prova che anche la città fornisce aiuti concreti alla vita del centro: «I nostri volontari non hanno ancora finito di piegare tutti gli indumenti che abbiamo raccolto. I milanesi ci sono vicini», commenta Silvia.

Nella grande sala al centro dell’hub le sedie sono disposte lungo il perimetro e i migranti parlano in piccoli gruppi. Non abbiamo potuto sapere cosa si dicono e neppure riprenderli o fotografarli, ma lasciamo il centro con l'immagine di queste persone,  sospese in un labirinto di lingue, nel tentativo di far combaciare le frasi dell'uno con quelle dell'altro. Il viaggio non è ancora finito.