Un europeo su dieci concepito su un letto Ikea
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Marta LavagnoliSui nostri acquisti figura la sigla CE per «conformità europea». E se anche la vita diventasse conforme alle pubblicità delle marche che regnano sul mercato europeo? Ikea, H&M, Nokia... I grandi mangiano i più piccoli. Sgranocchieranno anche la nostra identità?
In quattro parole. Io sono la seconda pubblicazione più letta al mondo dopo la Bibbia. Di colore blu e giallo, gli studenti non resistono alla mia coperta patchwork sulle tonalità arancioni o al mio tavolino basso flashy, al centro di ogni serata. Io sono, io sono… il catalogo Ikea! Questa rivelazione crea il passaparola su Internet. Ma non arriva sola: secondo un sapiente calcolo, tra il numero delle nascite in Europa e le vendite del grande magazzino dagli anni Cinquanta, sembrerebbe che un europeo su dieci sia stato concepito su un letto Ikea. E se oltre agli scaffali, il numero uno del mobile costruisse anche l’Europa?
Dei prezzi sempre più bassi
«Sfogliare il catalogo Ikea al ritorno dalle vacanze diventa un gesto tradizionale», riconosce il giornale spagnolo El País. Il gruppo Ikea realizza l’81% delle sue vendite in Europa, cioè un giro d’affari globale di 21,1 miliardi di euro nel 2008. Il percorso imposto al cliente nel grande magazzino, metro alla mano, seduce dalla Finlandia alla Spagna per i suoi prezzi vantaggiosi. Dei costi ottenuti grazie all’acquisto e alla vendita dei suoi prodotti in grande quantità. Questa strategia è anche quella scelta dall’altro gigante svedese: H&M. Dei prezzi che si vogliono sempre più bassi.
La quotidianità dei cittadini europei è pilotata da queste grandi marche ? Ore otto: il mio piccolo Nokia 3310 finlandese mi sveglia. Con gli occhi semi-aperti, esco dal mio letto, metto istintivamente i miei piedi nelle ciabatte spagnole Zara. Mi trascino addormentata fino alla mia caffettiera tedesca Bosch. E lì metto due cucchiaini di Nescafé svizzero. Sempre meccanicamente, tiro fuori due fette di pane comprate dal tedesco Lidl. Consumata la colazione, sono già pronta. Vestito svedese H&M, gonna spagnola Desigual e profumo francese Dior… J’adore. Appena uscita, mi propongono un giornale 20 Minuti, lanciato nel 1999 a Zurigo e Cologna da un editore norvegese, a cui io preferisco lo svedese Metro. Devo continuare? Il rumore dei lavori cominciati dal francese Bouygues m’impedisce di sentire il mio cellulare, dell’operatore inglese Vodafone. Inforco una bici del bike sharing gestita dall’impresa francese JC Decaux. Al semaforo sorpasso una Fiat italiana e arrivo in università. Prendo in mano una Bic francese e delle Stabilo tedesche. Un’occhiata al mio orologio svizzero. La mia lezione sulla mondializzazione è cominciata da dieci minuti…
Dei ponti finanziari
Prima di qualsiasi creazione economica, l’Europa si vuole oggi sociale, culturale e politica. La libera circolazione dei beni omologa pure i nostri prodotti di consumo. A prima vista, niente assomiglia di più a una città europea che un’altra città europea: è in parte dovuto alle insegne delle grandi marche che lampeggiano sopra ai palazzi.
Interrogato dagli Euronautes (il sito della comunità dei giovani che girano l’Europa, ndr), il filosofo Vincent Cespedes è scettico sull’idea d’Europa iniziata dalle firme: «Creare l'Europa, è creare dei ponti e delle passerelle. Ma io parlo proprio di cose umane, non parlo semplicemente di ponti finanziari e di frontiere doganali che si alzano».
Invece, per il Centro europeo dei consumatori, che ha sede a Kehl in Germania: «È chiaro che consumare europeo può permettere di diventare europeo, prendendo coscienza dell’interesse di muoversi liberamente da un paese all’altro e della possibilità di acquistare al miglior prezzo attraversando le frontiere». Con gli aspetti positivi e negativi che questo genera. Questo centro ha l’obbiettivo di «regolare in modo amichevole ogni litigio transfrontaliero e d’informare al meglio sui diritti e sulle opportunità del mercato interno». E se i prodotti si armonizzano, i prezzi, loro, sono ancora molto diversi nel continente. Perché non andare ad acquistare un frigo all’altro capo d’Europa? Certi irlandesi, infatti, vanno dal dentista in Polonia…
Translated from Un Européen sur dix conçu sur un lit Ikea