Un barbiere corre per tutto lo Stivale. In ricordo delle vittime della mafia.
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L’Italia ha il dolore nel dna. I suoi eroi sono morti per l’Unità nazionale, per la Liberazione dal fascismo e dai tedeschi nella Seconda guerra mondiale, ce ne sono altri che muoiono da sempre per lo stesso motivo: la lotta alle mafie. Pino Papaluca, barbiere-maratoneta, ha deciso di percorrere 30 km ogni giorno, attraversando tutta l’Italia, per ricordarli uno per uno.
Ha iniziato a correre il 18 febbraio a Castell'Alfero, in provincia di Asti. Ha percorso tutto lo stivale da nord a sud, da Garbagnate (Milano) a Paganica (L’Aquila), da Firenze a Viterbo fino a Palermo. Dopo aver toccato tutte le regioni italiane, la sua avventura si conclude il 19 marzo 2011 a Potenza, in occasione della “XVI Giornata della Memoria e dell'Impegno” in ricordo delle oltre 900 vittime della mafia.
Ad ogni tappa c’è la società civile ad accoglierlo e a percorrere un pezzetto di strada insieme a lui: studenti, scolaresche, associazioni di volontariato, ONG, atleti che sostengono la causa, simpatizzanti, curiosi. Ad ogni tappa si ricorda una vittima della mafia, si parla di legalità e di impegno civile, si visitano i beni confiscati. Pino Papaluca, noto anche come il “barbiere-maratoneta”, ha scelto un altro modo per celebrare l’Unità d’Italia. La corsaitinerante si chiama “La pace va per…corsa” ed è stata concepita con Libera per ricordare gli “eroi” morti nel servire lo Stato. Caduti per aver protetto un magistrato, per aver denunciato gli abusi e le collusioni fra istituzioni e potere mafioso, per non aver pagato il pizzo, per non essere stati omertosi, per non essersi piegati alle logiche di Cosa Nostra, della ‘Ndrangheta, della Camorra e di tutte le mafie radicate in Italia.
"Hanno lasciato la vita per un'Italia più pulita, più giusta"
Fra queste vittime c’è Eddie Cosina, poliziotto nella scorta del magistrato Paolo Borsellino: morto a trent’anni, il 19 luglio 1992 nella strage di via d’Amelio. Lo ha ricordato il 24 febbraio la nipote Silvia Stener durante la tappa triestina della maratona: “Mio zio aveva un rispetto sacro delle Istituzioni, indossava con orgoglio la divisa da poliziotto. Prima di andare in missione diceva sempre a mio nonna che per lui la morte più bella sarebbe stata riposare avvolto nel tricolore. E’ bello celebrare l’Unità d’Italia ricordando qualcuno amava così tanto l’Italia”.
“Bisogna ricordare anche questo pezzo d'Italia, questi eroi che hanno lasciato la vita per un'Italia più pulita, più giusta, dove la legge ed il diritto si ergono come collante naturale della società civile”, afferma Don Ciotti, fondatore di Libera - una rete di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base impegnate sui territori - che dal 1995 è il principale punto di riferimento italiano contro le mafie e per la diffusione della legalità. La legge sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie, l'educazione alla legalità democratica, l'impegno contro la corruzione, i campi di formazione antimafia, i progetti sul lavoro e lo sviluppo, le attività anti-usura… sono solo alcune delle attività portate avanti da Libera e dal suo network attivo in tutta Italia.
“I 150 anni di Unità d'Italia sono anche 150 anni di presenza criminale nel nostro paese e altrettanti anni di resistenza di uomini e donne a questo potere negativo – continua Don Ciotti - Vogliamo ricordare le vittime di oggi e quelle di ieri. Attualmente dobbiamo parlare di un paese non diviso ma diseguale. La nostra Costituzione non parla mai di Nord e di Sud ma di un paese saldato insieme dagli stessi diritti e doveri. Per questo le politiche sociali e culturali, accompagnate da quelle del lavoro, devono essere le uniche piattaforme per la ripresa”
Otto operazioni al ginocchio, poi di corsa per la pace nel mondo
Libera ci ha messo l’organizzazione, Pino Papaluca le gambe. Trascorre 10 mesi l’anno in bottega a tagliare i capelli, gli altri due mesi in giro per il mondo a correre per portare messaggi di solidarietà e pace. Fra le varie “imprese” podistiche che ha compiuto ricordiamo la Mosca-Roma e la Amman-Baghdad. La sua storia è esemplare: “Sono diventato maratoneta dopo aver subito otto interventi chirurgici delicatissimi al ginocchio che mi ero rotto a vent'anni giocando a calcio. Tra un bisturi e l'altro, la corsa mi ha aiutato a ritrovare fiato, tono muscolare e voglia di stringere i denti. Poi è diventata la mia vita”, racconta.
“E’ l’Italia vera, non quella di paillettes e lustrini dei talk show o dei reality propinata dalla televisione”
Durante questa maratona ha corso circa 30 chilometri al giorno e ha incontrato centinaia di persone unite dalla passione per la legalità. “E’ l’Italia vera, non quella di paillettes e lustrini dei talk show o dei reality propinata dalla televisione”, aggiunge. Lo ha colpito la storia di un ragazzo calabrese conosciuto in una stazione di servizio in provincia di Trieste, scappato dalla sua terra per non piegarsi alla ‘Ndrangheta pur di trovare lavoro. Lo ha stupito lo scetticismo della maggior parte degli abitanti del Nord Italia, che non credono che la mafia sia penetrata anche in quel tessuto.
Le vicende di Pino e della società civile che lo ha accolto in questa corsa sono raccolte in un diario quotidiano pubblicato sul sito di Libera.
Immagini: home-page (cc) *RICCIO "il colore del ricordo inganna"/flickr: per gentile concessione di Libera