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UMANO - Virgilio Sieni con "Angelus Novus" in prima assoluta

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Firenze

Il festival fiorentino UMANO si è concluso con la presentazione in prima assoluta il 27 ottobre del nuovo spettacolo ideato e diretto da Virgilio Sieni “Angelus Novus” all’interno del “Saloncino" del Teatro la Pergola. Una summa della ricerca sui nuovi linguaggi che le due settimane di eventi hanno portato in scena a Firenze.

Il corpo di tutti

Anziani, giovani, bambini, disabili. Tutti i corpi possono parlare, è forse l’unico linguaggio universale che veramente abbiamo, ed "Angelus Novus" è l’incarnazione di questa possibilità di comunicazione. Ci dimostra come siamo davvero tutti possiamo essere adatti, compresi, uniti in una rappresentazione corale di intrecci e aspirazioni verso una nuova dimensione di spazio e tempo. Tutti siamo necessari e nessuno sufficiente. Non solo persone ma anche oggetti: tamburi, tromba, chitarra sono parte integrante dello spettacolo e devono accompagnare la narrazione di questa koinè gestuale.

Il quadro

Non il solito palco. Non la solita scena. Panta rei , tutto scorre e tutto muta, questa è l’unica regola apparente, l’unica chiave di lettura che ci viene suggerita prima di assistere allo spettacolo. Non ci sono poltrone comode ad attenderci, ma semplici sedie e il pavimento. La dinamica del frammento viene riportata dalla scena alla platea che si sparpaglia ai quattro lati della saletta al piano superiore del teatro, libera, anzi “invitata” a scegliersi il proprio punto di vista ma anche a cambiarlo nel durante. Niente è lasciato al caso: persino la scelta dell’assenza di riscaldamento doveva indirizzare lo spettatore in un determinato stato d’animo per poter godere della rappresentazione e spingerlo al seguire il movimento dei danzatori lungo tutta la sala.

La grande sapienza nella scelta dell’illuminazione è stata condizione necessaria per la perfetta riuscita dell’opera di Sieni che ne hanno accompagnato ogni singola partitura esaltandone e potenziandone l’impatto emotivo e visivo. 

I "nuovi profeti"

In piedi o seduti, fermi o in movimento. Alla fine nulla di dato e nulla d’imposto: l’apparenza di nessuna regola nasconde un disegno ben preciso, articolato, una trama complessa che prevede continue entrate in scena: singoli, coppie, gruppi e assolo si alternano e mescolano all’interno dello spazio bianco, il limite imposto e che non si deve varcare. Dal saggio di Water Benjamin sul celebre quadro di Paul Klee, Sieni ricostruisce nuovi angeli condannati a muoversi in un paesaggio confinato, una superficie che non possono varcare.

Lentezza del gesto, crudezza del suono. Accelerazioni improvvise e fermo immagine di segni nell’aria o tracciati in superficie da passi lenti. Il ritmo incalza ed esplode nei colpi dei tamburi, sei suoni di tromba e negli accordi di chitarra dal vivo del maestro Roberto Cecchetto. Le vibrazioni acustiche si disperdono in energia che si propaga nell’aria tanto da avvertirne addosso lo spostamento. Tutto si fonde in una comunione d’intenti: tutti lavorano per un medesimo obiettivo scansando una poetica retorica di repertori per calarsi nel misticismo del quotidiano. La tensione percorre ogni singolo gesto - rubato, rotto, sgraziato, tentato - fatto d’equilibrio precario tra aria e suolo di corpi che si trascinano, strisciano, scalciano ed esplodono. 

Una comunità danzante di nuovi angeli di cui ogni déplacement sulla scena è stato meticolosamente preparato e magistralmente eseguito. Immagini fisse sospese tra fili invisibili che manovrano dall’alto un susseguirsi di momenti , frammenti di vita di queste figure che però di angelico anche ben poco, come quello rappresentato da Klee. Proprio la "frammentarietà" è la cifra stilistica della modernità e Sieni con la sua danza si fa interprete di questa modalità di scrittura utilizzando il corpo umano come strumento di comunicazione attraverso il gesto.  Un gesto controllato, con muscoli tesi e contratti che trasmettono tutto il pathos possibile dietro un messaggio di speranza: una condizione post-apocalittica in cui il presente in cui ci troviamo cerca di redimere un passato alienato dalla logica del profitto e dei consumi. 

Niente spazio per costumi sfarazosi e scenografie elaborate. Tutto è lasciato al segno, traccia perenne del passaggio di una presenza. Un percorso di trasmissione che non si esaurisce nel momento ma si trasmette nello spazio e nel tempo.