Uguaglianza o parità? Il lavoro femminile in Europa
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PAOLA PEGOLOPer la prima volta nella storia, la perdita del posto di lavoro in un’epoca di crisi economica colpisce più gli uomini che le donne. Le donne possono cantare vittoria? Non c’è da esultare troppo, perché il cammino verso l’uguaglianza dei sessi è ancora lungo. O dovremmo chiamarla parità?
Le donne si danno da fare per dimostrare di essere come gli uomini, a volte anche rinunciando a pensare in modo femminile in molti ambiti della vita. Nonostante tutti questi sforzi, i risultati sono pochi. Il mondo del lavoro è il terreno dove le donne si scontrano con la resistenza ed il maschilismo più ostinati che, anche se oggi sono meno marcati, comunque esistono. Prendiamo ad esempio il caso della Spagna: dopo la morte di Franco, la pressione del femminismo fece sì che si promulgassero leggi a favore delle donne, suggellate poi nella Costituzione del 1978. Attraverso anni di lotte, lo Stato si fece carico delle rivendicazioni delle donne e, dal marzo del 2007, la Legge Organica sull’Uguaglianza si basa soprattutto sulla promozione dell’uguaglianza tra uomini e donne nel mondo del lavoro, introducendo il nuovo termine “parità”con l’intenzione di prendere in considerazione le necessità prettamente femminili, come ad esempio la più importante: la maternità. L’introduzione di molte di queste misure si dichiarò come “volontaria” ed è in questo termine che molte imprese trovano l’appiglio per rendere la legge non valida.
Parità o uguaglianza?
Una volta superata la barriera morale dell’uguaglianza, entra in gioco un nuovo concetto fondato su una prospettiva meno biologica – sessista: quello della parità. L’uguaglianza, come afferma anche la filosofa francese Sylviane Agancinski, implica semplicemente gli stessi diritti e la non discriminazione delle donne a livello legale. In realtà l’uguaglianza non può impedire la discriminazione: per esempio, se la giunta direttiva di un’azienda è composta da otto uomini e due donne, per quanto si dica che ci sia uguaglianza, non possiamo però dire che c’è parità, in quanto il potere decisionale è in mano ad una maggioranza maschile. La scarsa rappresentanza femminile nei livelli più alti è più palese nelle grandi aziende, dove circa il 90% dei membri del consiglio delle maggiori compagnie europee è composto da uomini.
Continuano le differenze salariali
“Lo stesso stipendio per lo stesso lavoro”: uno dei principi fondamentali dell’ Unione europea, citato nel Trattato di Roma del 1957 ed oggetto di una legislazione comunitaria nel 1975, che proibiva ogni tipo di differenza di stipendio tra uomini e donne. Questo principio è diventato il motto della Campagna del Giorno Internazionale della festa della donna dell’ 8 marzo scorso, dopo che ci si è resi conto che nonostante la battaglia fosse iniziata da anni, in Europa le donne continuano a guadagnare un 17% in meno degli uomini che svolgono lo stesso lavoro. Secondo l’informativa del 2009 sull’ Uguaglianza che è stata presentata dalla Commissione europea, il livello occupazionale delle donne sta aumentando negli ultimi anni: un 58,3% di fronte ad un 72,5% degli uomini, anche se un 31,2% delle donne ha un lavoro precario rispetto al 7,7% dei lavoratori maschi e siano occupate nei settori con gli stipendi inferiori a quelli degli uomini. Tornando alla Spagna, l’Indagine sulla Popolazione Attiva dell’Ine (L’istituto nazionale spagnolo di indagine statistica) rivela che nel primo trimestre del 2009 il tasso di occupazione è del 69,11% tra la popolazione maschile e del 51,51% in quella femminile. Nonostante il 20% di differenza tra le percentuali, se si confrontano i dati dell’andamento della disoccupazione dall’estate passata ad oggi con quelli delle crisi economiche precedenti, notiamo che per la prima volta la perdita del posto di lavoro è proporzionalmente più alta negli uomini che nelle donne. Lo stesso fenomeno sta accadendo in altri paesi europei, soprattutto nel Regno Unito.
Cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione? Secondo l’informativa 2008-2009 sullo Sviluppo Delle Nazioni Unite per la donna, i governi devono garantire un mercato che risponda agli interessi del benessere sociale e dell’uguaglianza di genere. Questi due fini non possono essere raggiunti solo dall’attivismo delle donne per se stesse e nemmeno dall’autoregolazione nelle aziende: i governi hanno la responsabilità di applicare i controlli sulle istituzioni del mercato, per proteggere e garantire i compromessi in materia di diritti umani per le donne.
Translated from ¿Igualdad o paridad? Una carrera de fondo que no conoce crisis