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“Tutti contro tutti” o “l’unione fa la forza”?

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L’Unione Europea costituisce nel suo insieme il più grande donatore al mondo. Nei fatti però, Bruxelles e i suoi 25 membri entrano spesso in contrasto tra loro. Il problema è che...

La sola Commissione Europea contribuisce per il 10% alla cooperazione allo sviluppo. Se si aggiunge poi il bilancio degli Stati membri, la Ue nel suo insieme sfiora il 55% dei fondi stanziati su scala globale. Ma la peculiarità della cooperazione allo sviluppo europea è che tenta di apparire unitaria attraverso l’azione comune della Commissione, ma è in realtà composta da 25 Stati membri che non esitano a praticare ciascuno la propria politica di sviluppo. Alcuni stati della Ue dedicano delle politiche di sviluppo ad addirittura più di cento paesi, disperdendosi così in progetti frammentari. Il loro obiettivo? Ricavare vantaggi politici ed economici: l’efficienza è secondaria. Risultato: per i paesi in via di sviluppo, spesso, questa molteplicità di mini-progetti fa più male che bene. E diventa spesso un’impresa titanica poterli gestire a livello amministrativo.

Questione d’efficienza

In effetti la qualità della politica di aiuti della Ue è di gran lunga superiore. E’ da rilevare che il 90% dei mezzi messi a disposizione dei destinatari da parte di Bruxelles non sono da rimborsare, il che costituisce un’enorme differenza rispetto alla pratica degli Stati. I controlli sulla ripartizione delle risorse e sulla realizzazione dei progetti, poi, sono più intensivi di quelli predisposti dalle capitali. Inoltre, la cooperazione allo sviluppo della Ue si è distinta fin dall’inizio per i suoi strumenti estremamente innovativi, grazie ai quali ben poco si è realizzato, ma che hanno tuttavia portato a grandi progressi a livello di regolamentazione. Attraverso garanzie sui prezzi dei programmi STABEX o SYSMIN per esempio, viene reso possibile, con l’esportazione puntuale di materie prime per i paesi che ne dipendono, un piano di finanziamento con scadenze più lunghe. Per questo motivo la Ue è stata frequentemente definita all’”avanguardia” nel campo delle politiche di sviluppo.

Deficit strutturali

Ma non è tutt’oro quel che riluce. Innanzitutto c’è un problema di coordinamento. Ad esempio, nei paesi destinatari particolarmente “attrattivi”, abbondano le rappresentanze degli Stati europei che non si coordinano tra di loro e che mirano più al prestigio nazionale che a un vero e proprio sviluppo. La situazione di concorrenza porta inevitabilmente a sprechi ed accavallamenti. Si tratta di un fenomeno comprensibile nel sistema della cooperazione internazionale ma che diviene inaccettabile in un blocco regionale compatto come dovrebbe essere quello dell’Unione Europea. Più gravoso è, per altri versi, il problema della coerenza, che si può rivelare estremamente controproducente. Ad esempio: le iniziative politiche per incoraggiare un mercato agrario più efficiente nel Terzo Mondo sono ostacolate da una Politica Agricola Comune grossolanamente protezionistica. E ciò vale anche per le politiche legate alla pesca. Un problema centrale è poi quello della permanente contraddizione tra le enormi competenze della Commissione Europea nel commercio estero e la logica intergovernativa che domina la politica estera in quanto tale. Si tratta di una situazione inammissibile.

Altri problemi derivano dalla divisione dei compiti all’interno della Commissione. Basti pensare a quante Direzioni Generali si occupano della politica di sviluppo: alla “DG Relazioni esterne”, si affiancano la “DG” Commercio e quella “Sviluppo”. Come se non bastasse queste Direzioni Generali non si sono ancora distinte per un modo di lavorare particolarmente efficiente. Nel frattempo, vengono accumulate somme plurimiliardarie che non sono inserite nel budget destinato agli aiuti allo sviluppo, mentre in molti posti del mondo parecchi progetti promettenti si arenano per mancanza di finanziamento.

Anche se la precarietà resta grave all’interno della Direzione Generale per gli Aiuti, i partner progettuali nel resto del mondo non fanno sperare per il meglio, con risultati in termini di bilancio comunitario alquanto ambivalenti. Non si discute il fatto che la cooperazione allo sviluppo Ue abbia portato ad enormi miglioramenti in questo settore. Basti pensare agli innovativi strumenti orizzontali introdotti dalla Commissione e al fatto di condizionare i progetti al rispetto dei diritti dell’uomo o delle regole democratiche. Quel che spiace è un certo deficit “fatto in casa”: un deficit strutturale in materia di coordinamento e di coerenza che deve essere assolutamente risolto. Sarebbe auspicabile che la nuova Commissione, rispetto alle ormai stantie parole di riforma, facesse seguire i fatti alle parole anche in questo settore.

Translated from ‚Alle gegen alle’ oder ‚Gemeinsam sind wir stark’?