Turchia: una storia di proteste, terrorismo e propaganda
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Intervista con Chris Stephenson, uno dei 2.212 accademici firmatari della petizione "Non saremo parte di questo crimine" con cui si chiede al governo turco di fermare gli attacchi ai curdi nel sud-est del Paese. Espulso dalla Turchia con l'accusa di fare propaganda terroristica per il PKK, ci racconta la sua esperienza.
Chris Stephenson, docente britannico di informatica alla Istanbul Bilgi University, è uno dei 2.212 Accademici per la Pace firmatari della petizione "Non saremo parte di questo crimine", lanciata l'11 gennaio 2016 con lo scopo di chiedere la cessazione delle azioni di guerra contro i curdi nel sud-est del paese. Il 15 marzo è stato costretto dalle autorità a lasciare la Turchia: stava sostenendo i suoi colleghi in carcere dall'esterno del tribunale.
cafébabel: Ci spieghi cosa è successo.
Chris Stephenson: Stavo supportando tre docenti accusati di terrorismo per aver firmato la petizione "Non saremo parte di questo crimine", pubblicata l'11 gennaio scorso, che richiedeva al governo turco una soluzione politica e pacifica alla decennale questione curda. All'ingresso del tribunale, la polizia ha trovato nella mia borsa dei volantini del Partito democratico del popolo (legale in Turchia, n.d.r.), che invitavano ad unirsi ai festeggiamenti per il capodanno curdo. Sono stato arrestato e poi messo sul primo aereo per Londra, anche se il Pubblico ministero non aveva individuato alcun capo di accusa. Non so bene cosa sia successo, forse il PM ha cambiato idea e ha revocato l'ordine di esplulsione. Così sono ritornato ad Istanbul.
Sono stato più fortunato dei tre accademici che stavo sostenendo. Loro – Muzzafer Kaya, Esra Mungan e Kivanç Ersoy – sono stati formalmente accusati di "propaganda terroristica". Attualmente sono 4 gli accademici in cella di isolamento e sotto processo. Si è infatti aggiunta ad essi la professoressa Meral Camcı, all'estero al momento dell'arresto dei suoi colleghi.
cafébabel: Cosa rischiano?
Chris Stephenson: La prima udienza del processo sarà il 22 aprile. Rischiano tra i 7 e i 9 anni di carcere.
cafébabel: Secondo Human Rights Watch, i 2.212 firmatari della petizione sono sotto indagine sospettati di aver fatto propaganda terroristica per conto del PKK. Il governo turco li arresterà tutti?
Chris Stephenson: È chiaro che il governo chiamerà tutti a rispondere della loro firma. Nella mia università (Istanbul Bilgi University, n.d.r.) sono 88 i docenti firmatari. E tutti sono stati convocati dalla polizia ed indagati per propaganda terroristica. È semplicemente ridicolo.
cafébabel: A che tipo di domande sono stati sottoposti?
Chris Stephenson: La polizia ha chiesto loro quali fossero le loro opinioni politiche. Domande illegali, perché la libertà di opinione è tutelata dalla Costituzione turca, non si può essere forzati a dire quello che si pensa. Il pensiero non è un crimine. Poi è stato chiesto loro se pensassero che il PKK fosse o meno un'organizzazione terroristica. Il che è assolutamente inaccettabile. La domanda avrebbe dovuto essere: «Appoggi il PKK?». Ed è ovvio che la risposta sarebbe stata negativa. Gli Accademici per la Pace incoraggiano un soluzione pacifica della questione curda.
cafébabel: È l'uscita dallo stato di diritto.
Chris Stephenson: Nessuno si aspettava che la petizione generasse tanto clamore. Poi il Presidente della Repubblica ha deciso di attaccarla, sostenendo si trattasse di un "atto di tradimento" contro la Turchia, e che non ci fosse differenza tra un terrorista che ha in mano una bomba e chi brandisce una penna per sostenerlo. Quando Erdoğan parla, il sistema della giustizia turca tende a seguirlo, come se il sistema stesso prendesse ordini da lui. Ma questa è una pratica incostituzionale. L'apparato giudiziario è indipendente, non dovrebbe prendere ordini dal Presidente. L'impressione generale invece è che l'intero procedimento giudiziario sia stato in qualche modo "suggerito" da Erdoğan.
cafébabel: Chi rischia il licenziamento?
Chris Stephenson: Lo Yükseköğretım Kurulu (entità statale che controlla le università in Turchia, n.d.r.) ha fatto pressione sulle università per far avviare le indagini interne nei confronti dei professori che hanno firmato la petizione. Molti docenti delle università private sono stati licenziati in tronco nei giorni immediatamente successivi al discorso di Erdogan del 15 gennaio. Tanti miei amici hanno perso il lavoro. Altri ricevono uno stipendio ridotto. Ad oggi in tutta la Turchia sono stati avviati più di 500 azioni disciplinari, 30 docenti sono stati licenziati, 27 sono stati sospesi dal loro incarico. Nelle università pubbliche il processo è più lungo, e il licenziamento può avvenire soltanto dopo una sanzione disciplinare. Ma alcune università hanno strenuamente difeso i loro professori. Il Rettore della Boğaziçi University ha incontrato il primo ministro Davutoğlu, sostenendo il diritto dei docenti a firmare la petizione. Ma siamo tutti nella stessa barca. La minaccia che incombe sulle nostre teste è l'accusa di terrorismo per conto del PKK.
cafébabel: Qual è stata la reazione degli studenti?
Chris Stephenson: Dipende dalle visioni politiche di ciascun gruppo. Alcuni studenti dell'estrema destra nazionalista hanno disegnato croci rosse sulle porte degli uffici di alcuni professori firmatari. È lo stesso segno che veniva fatto sulle porte degli Alevi (minoranza religiosa sciita che conta circa 10 milioni di membri in Turchia, n.d.r.), durante il loro massacro negli anni '70 da parte dei Lupi Grigi. Ma non ci hanno messo la faccia. Nessuno li ha visti. Cosa che hanno fatto invece gli studenti in supporto degli Accademici per la Pace.
cafébabel: Gli Accademici per la Pace sono tutti attivisti pro-Kurdistan?
Chris Stephenson: Assolutamente no. Le posizioni sono le più diverse, per lo più moderate. Siamo tutti inorriditi dalle azioni del governo nel sud-est del Paese. Decine di civili muoiono sotto le bombe del governo turco. Ci accomuna soltanto la ricerca della pace. Chiediamo il ritorno del processo di pace interrotto un anno e mezzo fa.
cafébabel: Quali sono le vostre richieste?
Chris Stephenson: In Turchia c’è un problema democratico. Vogliamo che la democrazia e la pace ritornino nel Paese.