Tra i fondamentalisti di Islamabad
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guido pulcherViaggio tra gli abitanti della capitale pakistana. Tra le macerie della Moschea Rossa assediata dai fondamentalisti islamici nel luglio 2007. Che non demordono. A colpi di video.
Il giovane autista si è perso. Ci sono molte macchine in fila nella capitale pakistana anche con il caldo di agosto e all’ora di pranzo. Le colline di Margalla sono all’orizzonte. Il clima in città è molto teso e lo si sente persino nel chiedere indicazioni per arrivare alla Moschea Rossa. La segnaletica non è di aiuto: nessun cartello indica quella che è anche nota come Moschea di Re Faisal, nel famoso quartiere commerciale Blue Area.
Il Ministro: «Non si può applicare la legge islamica nella capitale»
La Moschea Rossa, in urdu Lal Masjid, non è un posto per turisti. Dal 3 al 10 luglio 2007 un gruppo armato di militanti pro-talebani ha assediato la moschea e il seminario, in segno di protesta contro il Presidente in carica e capo dell’esercito Pervez Musharaff, che salì al potere con un golpe nel 1999. La popolazione pakistana sta ancora cercando di dimenticare la tragedia in cui morirono oltre cento persone, tra cui bambini usati come scudi umani e ostaggi nel seminario femminile. «Non si può applicare la sharia, la legge islamica nella capitale», afferma Ashfaq Raja, ex Ministro delle comunicazioni del Partito Popolare Pakistano durante il precedente Governo della liberale Benazir Bhutto.
Ciocche di capelli e pagine di Corano. Tra le macerie
La moschea, inaugurata dal dittatore Zia-Ul-Haq, sembra intatta ma in realtà non è così. Adesso è alta la metà e non è più rossa. Il bazar di Aabpara, accanto alla moschea è pieno di pietre e mattoni. Un enorme spazio vuoto con check-point dell’esercito completa la vista sulla sinistra della moschea nel punto in cui hanno distrutto il seminario. Gli ufficiali stanno dietro sacchi di sabbia e filo spinato nella veranda del centro di sicurezza. Usciamo dalla visuale dei militari quando incontriamo una famiglia che si incammina per la moschea. «Qui sono morte le figlie di quelle signore», ci dice una donna incurante del soldato che le indica di andarsene.
«Un mese dopo la tragedia la gente continua a trovare sotto le macerie pezzi di arti umani, trecce di ragazze e pagine del Corano», commenta un tassista di Attok, che lavora a Islamabad da 47 anni. «L’esercito è stato crudele, i corpi non sono stati portati via subito». Anche Raja racconta della tragedia. « Una settimana dopo il massacro ci siamo trovati per la preghiera del venerdì. All’interno della moschea c'erano ancora resti di corpi umani». «Il Governo è spietato», fa eco un altro tassista. «Hanno ucciso bambini con meno di 7 anni durante il blitz per catturare i militanti».
Milioni nelle scuole coraniche
Un video di 18 minuti disponibile sul mercato nero spiega le ragioni degli estremisti pro-Taliban. «Allah-hu-akbar allah», 'Dio è grande': il filmato inizia col classico richiamo alla preghiera. Per poi continuare con immagini del minareto della moschea filmato da tre lati. La data sul video è quella del 7 luglio del 2007, il quinto giorno d'assedio. La protesta va contro le leggi del Presidente ma anche contro le prostitute, i film e la musica di Bollywood.
Un colpo di pistola interrompe il video. Subito dopo le immagini dei leader. Musharaff stringe la mano al Presidente americano George Bush. Poi la faccia ricoperta di sangue di un imam morto con la bocca spalancata, una ragazza con il burka e poi la scritta, rassicurante: “circa 17 milioni di studenti frequentano i madrassa (scuole coraniche) in Pakistan”.
Poi la telecamera si sposta su una figura nell'ombra. Le mani nude tremano mentre lui piange. Alcuni studenti a Islamabad, anche figli di ricchi ufficiali, hanno preso dei bastoni durante l’assedio per distrarre i militanti durante il combattimento.
Ho incontrato altri studenti in passato, anche provenienti da zone rurali. È difficile credere che il fanatismo possa crescere così fortemente. In quelle zone molti ragazzini a dodici anni sanno a memoria una buona parte del Corano. Nel villaggio di Abbottabad, vicino all’autostrada di Karokaram che porta in Cina, Rabia non ha neanche una foto del matrimonio dei suoi genitori. Le ha bruciate tutte. Le immagini di Maometto sono vietate e così quelle della famiglia. «Perché andare alla madrassa e imparare tutte quelle regole se poi non le applichiamo?»
Riprendiamo l'auto per ripartire. Vedo un simbolico velo su un manifesto elettorale sotto un ponte. L’ex Primo Ministro Benazir Bhutto annuncia il suo ritorno dopo 7 anni di esilio forzato a Londra per il 15 settembre. La frenesia dei media è puntata sul presunto accordo di potere condiviso con Musharaff che vorrebbe il dittatore Presidente, ma non più capo delle forze armate. L’ex Presidente Nawaz Sharif (aderente al partito della Lega Musulmana) è già stato esiliato in Arabia Saudita il 10 settembre. Il dibattito interno continua, mentre l’Ue negozia i prossimi passi: organizzare una missione di osservatori internazionali per le prossime elezioni ed assicurare un follow-up sui presunti brogli elettorali del 2002. Perché la storia non si ripeta.
Translated from Walking the Lal Masjid mile