TheGiornalisti: "Bisogna cominciare ad essere sinceri"
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Dopo Vol.1 (2011, Boombica) e Vecchio (2012, Boombica), con il loro ultimo album, FuoriCampo (2014, Foolica), i TheGiornalisti si sono imposti come band di riferimento nel panorama alternative italiano. Cafébabel Torino li ha incontrati nel backstage del CAP10100, a due ore dall’inizio del loro concerto.
Dici TheGiornalisti e automaticamente pensi al sound anni '80. Tommaso Paradiso – frontman e chitarra del gruppo – non ci sta. «Non si tratta di creare un sound anni '80, '90, o 2000, ma di scrivere belle canzoni». Lattina di birra in mano, cardigan e bomber indosso, Tommaso si aggira come un elettrone instabile per il backstage del CAP10100 di Torino.
Sotto al suo sguardo, Marco Primavera, Marco Antonio Musella e Gabriele Blandamura – rispettivamente batteria, chitarra e basso – sono seduti sul divano, di fronte al registratore. Mentre rispondono alle domande, Tommaso a volte si perde nei suoi pensieri, medita, cerca il concetto giusto per poi tornare a mettere i puntini sulle "i". In realtà, se si ascolta il loro ultimo album, Fuori Campo, è difficile non notare le assonanze con gli anni '80: è un tripudio di synth e tastiere, con le chitarre che, almeno per una volta, non fanno da prime donne sul palco. Marco Antonio, stuzzicato sul punto, fa autocritica: «In Vol.1 e Vecchio ci eravamo "ingarellati" su riff e arrangiamenti faticosi, che spesso coprivano la canzone invece che esaltarla: c’è stata un'evoluzione del nostro sound».
L'eterno ritorno
Più che evoluzione, la storia musicale di questa band di Roma centro, sembra un eterno ritorno nietzschano. «Mi ricordo le canzoni di Battisti in ogni dove, quando andavo in vacanza con mio padre vicino al Terminillo,» racconta Marco. Lo stesso Tommaso conferma di essere cresciuto a "pane e canzone italiana", da Baglioni, fino a Dalla, passando per Venditti. Marco Antonio ricorda come il primo contatto con la musica sia stato con il pianoforte: «Cercavo di rifare le sigle della Disney». Poi il cambio di passo al liceo, durante il quale, come ricorda Tommaso, si pensava soltanto a «suonare gli Oasis».
Sono gli anni in cui i membri dei TheGiornalisti si conoscono già, ma suonano in band diverse. «A un certo punto ci siamo rotti di fare le solite cose, tutti eravamo legati a un modo di fare che era eredità dell’adolescenza. Avevamo bisogno di mettere un punto e ricominciare da zero,» spiega Marco Antonio. Del resto, «è sempre una questione di stimoli,» aggiunge Tommaso. Così arrivano Vol.1 (2011, Boombica) e Vecchio (2012, Boombica) con i quali i TheGiornalisti si inseriscono a pieno titolo nel flusso indie cantato in italiano. O forse, non proprio così.
TheGiornalisti Promiscuità (Fuoricampo, 2014)
Solo interpreti
Indie? «Non ci piace il termine». Alternative? «È solo una questione di sbocco di mercato». Mainstream? «Magari». Il pensiero musicale "made in TheGiornalisti" potrebbe riassumersi così. «Tutti i gruppi alternative vorrebbero essere mainstream e noi non facciamo eccezione,» afferma Marco. In effetti non c’è nessun valore intrinseco nell'essere alternative. «Bisogna cominciare ad essere un po’ più sinceri, eh...» lo incalza subito Tommaso.
Poi, proprio lui, cerca di spiegare meglio ciò che potrebbe sembrare un'affermazione arrogante a prima vista: «I talent show hanno rovinato tutto. La strategia per vendere un disco ormai non è più scovare l’artista, ma costruire il beniamino del pubblico prima ancora che questo abbia realmente creato qualcosa. Ormai gli artisti mainstream non sono nient’altro che interpreti e non stiamo certo parlando di Mina… È proprio per questo motivo che al pari di Brunori Sas, Dente, i FASK e molti altri, ci sentiamo parte di un movimento ampio che punta al ritorno del cantautorato. Ma per farlo non possiamo contare sulla grande distribuzione».
TheGiornalisti Proteggi questo tuo ragazzo (Fuoricampo, 2014)
Italianità
Se esiste veramente un movimento coeso di cantautorato alternative, molto lo si deve all'utilizzo della lingua italiana da parte dei gruppi musicali più giovani. Marco identifica in una canzone precisa il punto di non ritorno per la loro generazione: «La scintilla è stata "I tuoi capelli sono fili scoperti" di Vasco Brondi (alias Le Luci della centrale elettrica, n.d.r.): da lì si è mosso tutto». Gabriele precisa come, da quel momento in poi, «l'alternative stesso si sia trasformato: dalla mania per il sound si è passati all'attenzione alla canzone nel suo complesso».
Dagli artisti di riferimento, fino alla concezione di sé stessi nel panorama musicale, il tema dell’italianità sembra essere onnipresente quando si parla con i TheGiornalisti. Gli chiedo su quale grande palco europeo vorrebbe suonare; nessuno riesce a dare una risposta. Gabriele scherza: «Dovresti suggerirceli tu!», poi, dopo averci pensato un attimo, rilancia: «Al FestivalBar!». Scoppiamo tutti a ridere, ma Gabriele insiste: «Davvero, ma solo se lo conduce Amadeus!». «Bisognerebbe fare un Mi AMI, ma ancora più grande del solito,» viaggia con la mente Tommaso. Dal canto suo Marco Antonio, non ha dubbi: «Datemi l’Olimpico di Roma».
Ma quali sono gli ingredienti per diventare cantautori nel 2015? «È tutto una questione di credibilità. Devi cantare ciò che sei prima di tutto, il tuo vissuto. Non ho mai creduto all’estetica fine a sé stessa,» sentenzia Tommaso. Gli faccio notare che le loro canzoni sono anche caratterizzate da un forte elemento di "sospensione" quasi etereo (basta ascoltare Proteggi questo tuo ragazzo). Lui non ci vede nessuna contraddizione, anzi: «Sono le grandi opere d’arte a lasciarti in sospeso».
La combinazione tra "credibilità" e "sospensione" sembra essere insomma un loro marchio di fabbrica ormai. Ma per Tommaso «non avrebbe senso rimanere sullo stesso sound. Sarebbe comico fare un altro disco come Fuori Campo». Allo stesso tempo, sembra difficile tornare indietro. «Stiamo preparando qualcosa di più moderno…» rivela. Sperimentale? «No, macché. Assolutamente pop: sempre e solo Canzoni italiane con la "c" maisucola».
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