The Notwist, indie rock "intellettuale"
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viola cintiIl gruppo originario di Weilheim in Baviera, ha già all’attivo sei album. The devil, you + me, uscito in maggio, ha inaugurato il tour mondiale. Dopo la Francia, saranno in concerto a Milano, Ravenna, Firenze e Roma. Un’intervista a Markus Acher.
Jena, Agosto 2008. La programmazione culturale della città ospita un concerto di The Notwist nella piazza principale. Prima dello spettacolo ho incontrato nel giardino del caffè Grünowski, Markus Acher, chitarrista e voce della band. Nel bel mezzo dell’intervista sono planati sul nostro tavolo due giganteschi calabroni. Si combattevano l’uno l’altro come selvaggi. Markus ha aggrottato la fronte ed ha poi iniziato a parlarci dei suoi anni di scuola e del pubblico europeo.
The Notwist: cosa vuol dire?
«Non vuol dire proprio nulla. Voleva essere un nome totalmente privo di senso. Quando avevamo circa 20 anni abbiamo preso parte ad un concorso radiofonico per band emergenti: si chiamava Demotest. Abbiamo portato un pezzo che, musicalmente, trovavamo davvero orribile. E così abbiamo pensato ad un nome che potesse essere veramente brutto. In ogni caso doveva iniziare per forza con “The”. E poi il ”No” va sempre d’accordo con l’adolescenza». (sghignazza)
Cosa ne è stato di quella canzone?
«Beh, non ha nulla a che vedere con il nostro stile attuale. Era un pezzo decisamente punk (comincia a canticchiare): “Freitag mittag, die Schule ist aus! Wir gehen nach Haus!”(Venerdì pomeriggio la scuola è chiusa! Andiamo a casa, come recita la canzone)”»
Oggi siete famosi, ma da studenti come eravate?
«Di certo degli outsider. Tutti nella band e senza grandi successi scolastici. Per me il diploma è stato difficile. Mio fratello, invece, non si è neanche diplomato. Eravamo anche troppo tranquilli».
Siete spesso presentati come una band ”intellettuale”. Vi ci ritrovate?
«Ho studiato a Monaco di Baviera: studi americani, letteratura … praticamente tutto quello che si può fare quando non sai di preciso cosa vuoi! Iniziai a studiare storia dell’arte, ma interruppi perché già all’epoca m’interessavo quasi solo alla musica. A dire il vero, volevo andare anche ai concerti, ma in maniera inspiegabile finivo sempre per trovarmi in qualche negozio di dischi. Invece, mio fratello ha studiato musica, ma senza prendere il diploma, mentre il nostro nuovo chitarrista, Max Punktezahl è un chimico. Non credo che ci si possa considerare degli ”intellettuali“. Tendenzialmente, le altre band sono infastidite da questo tipo di discorso … Oggi veniamo considerati la più importante indieband della Germania».
Cosa intendi per “indie”?
«Trovo innanzitutto che i critici siano in errore. Con indie s’intende l’inglese “independent”, ma per noi ha un significato ulteriore. Infatti, per quanto possibile, cerchiamo di essere indipendenti dalle case discografiche e dai finanziatori. Il movimento hardcore ci ha influenzato parecchio con le sue tematiche, anche se per noi “indie” è qualcosa di musicale, come ad esempio “distorcere” la chitarra, per questo mi ci ritrovo. Ma, in ogni caso, non siamo la più “importante indieband della Germania”»,
Da anni si sostiene vi sia una connessione tra il vostro sound e la sonorità della vostra regione, la Baviera. I vostri testi si rivolgono anche ad una “generazione metropolitana”?
«Penso che si noti che del nostro luogo d’origine non abbiamo perduto nulla. A livello culturale, soprattutto, non ci ha dato niente, eppure, proprio a causa di questo, la nostra musica è caratterizzata da un senso di provinciale nostalgia … Vivo da parecchio tempo a Monaco. Certo, non è una grande città, ma la musica che ci piace e ci ha influenzato è caratterizzata dalla corrente culturale proveniente dalle grandi metropoli».
Che musica ascoltate? La scaricate anche da Internet?
«Si fa prima! Venendo qui mi sono comprato un disco di musica elettronica sperimentale di Ekkehard Ehlers. Comunque, ascoltiamo diversi generi di musica elettronica, ma anche pop, classica e jazz …»
Siete solo ammirati o talvolta anche compresi?
«(Sghignazza imbarazzato)In Germania suoniamo da molto tempo. Spesso però francesi o americani che non ci conoscono attraverso le riviste di settore riescono, proprio per questo, ad essere “toccati” più facilmente dalla nostra musica. Più di tutto in assoluto ci piace quando le nostre canzoni accompagnano una fase particolare della vita di qualcuno».
Torino, Oslo, Saint-Malo, Jena … le reazioni del pubblico europeo alla vostra musica sono diverse?
«Il festival de La route du Rock a Saint-Malo è stato molto bello. Quello di Ferrara in Italia, altrettanto. E anche quello di Zagabria è pazzesco. L’allegria della gente ci ha coinvolto tanto ed è stato un concerto intenso. Mi auguro di riuscire a tornare in Polonia. Sarebbe importante per me e per la band perché lì, a Varsavia, abbiamo suonato con i Lali Puna, una delle altre nostre band. La gente era davvero interessata».
Come adattate al palco la struttura, spesso complessa, dei vostri brani musicali?
«Cerchiamo di arrangiare i pezzi così da poter suonare tutto. Gli strumenti dell’orchestra, per esempio, figurano solo una volta per cui ci serviamo di un dubplate, una sorta di supporto audio. Anche se talvolta ha molta più energia, la parte live è una componente secondaria nella nostra musica. Alcuni pezzi si ascoltano meglio a casa propria in cuffia».
Mentre suona il basso, tuo fratello Micha rovescia il busto avanti e indietro sempre nello stesso modo. C’è un motivo?
«No, nessuno. È solo il suo modo più semplice per concentrarsi. Lo fa solo al basso, non succede con la tromba».
Sebbene abbiate lavorato al vostro album per sei anni, il titolo è stato cambiato una settimana prima dell’uscita. Come mai?
«Il titolo originario dell’album era On Planet Off, ma alla fine non lo trovavamo così accattivante. Anche se la copertina mi piace, il termine “Planet” è inflazionato … viene usato troppo spesso nei nomi di negozi sportivi».
Come se la passa il nuovo batterista, Andi Haberl nella band e perchè Mecki Messerschmidt vi ha lasciato?
«Con Mecki abbiamo suonato insieme da sempre. Poi però ci sono state delle differenze, non esagerate, ma comunque, musicalmente, siamo cresciuti in maniera diversa. C’è stato un momento in cui era meglio separarci prima di litigare del tutto. Noi conoscevamo Andi a causa di un paio di pezzi di jazz suonati in comune. A livello personale s’integra bene nella band e, con i suoi strumenti, riesce a darci sempre le sonorità che cerchiamo. È un po’ più aperto, flessibile. Questo non vuol dire che Mecki è il rockettaro e noi i tipi da elettronica. Comunque, preferirei non scendere ulteriormente nei dettagli…»
Il magazine The Wire un tempo vi ha chiesto se Weilheim è la nuova Seattle … Chi vi ha influenzato e a chi vi siete ispirati?
«Dovrei dire che molte cose si sono sviluppate contemporaneamente. Sia io che gli altri della band abbiamo unito musica pop e elettronica. Era nell’aria … in questo caso, abbiamo giocato, senza alcun dubbio, un ruolo di precorritori».
Alcune date del tuor europeo dei The Notwist (per maggiori informazioni vedi sito Internet)
25 settembre: Ginevra, Alhambra
26 settembre: Lione, Epicerie Moderne
27 settembre: Marsiglia, Marsatac
28 settembre: Ravenna, Bronson
29 settembre: Firenze, Viper
30 settembre: Roma, Circolo degli Artisti
1° ottobre: Milano, Music Drom
15 novembre: Strasburgo, La Laiterie
16 novembre: Lille, Le Grand Mix
17 novembre: Bristol, Tekla
18 novembre: Munchester, Club Academy
19 novembre: Glasgow, King Tuts
20 novembre: Birmingham, Barfly
7 dicembre: Berlino, Postbahnhof
10 dicembre: Parigi, Trabendo
11 dicembre: Bruxelles, AB Club
12 dicembre: Menheim, Alte Feuerwache
Translated from The Notwist - eine "hochintellektuelle" Band auf Europatour