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Terrorismo: il fine giustifica i mezzi?

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società

Si salvi chi può! L'Arabia Saudita ha trasmesso un appello alla sicurezza destinato alla Francia e a Euronews che suona già come un allarme terrorismo! Poco importa quale. Il terrorismo islamico, naturalmente. Perché secondo il ministro degli Interni francese Brice Hortefeux, la minaccia proviene dalla sezione araba di Al Qaeda. Perché l'Europa si sente continuamente minacciata dal terrorismo?

Lo scrittore inglese Percy Kemp ha forse ragione quando dichiara a Libération che «i nostri governanti preferirebbero vederci vivere in uno stato di terrore permanente»? Ma, alla fine, che cos'è questo benedetto "terrorismo"?

"Terrorismo", una parola che fa paura, anche se spesso non se ne conosce il significato. Tutte le definizioni sono concordi nel definire con questo termine come un insieme di atti di violenza commessi da un'organizzazione. Il suo scopo, invece, cambia a seconda dei dizionari: il Larousse lo definisce come «ricatto ad un governo» e «soddisfacimento di un odio», il Petit Robert come quello di «impressionare un paese», l'enciclopedia Universalis, invece, aggiunge «la ricerca di un impatto psicologico» e la «creazione di un clima di insicurezza». Poi ci sono le differenze tra le guerriglie e i movimenti minori privi di guerriglia. Le prime sono guerre di persecuzione portate avanti da gruppi clandestini. Le più mediatizzate sono quelle delle FARC (Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia), del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) o del LTTE (Tigri della liberazione del TamilEelam). Gli altri movimenti terroristici ai quali i media fanno riferimento più di frequente sono l'IRA (Irish Republican Army), l'ETA (Euskadi ta askatasuna, Paesi Baschi e libertà), i diversi movimenti corsi, il FPLP (Fronte popolare di liberazione della Palestina), e naturalmente Al Qaeda (la base).

Terrorismo = islamismo?

La diversità delle cause rivendicate (indipendenza, liberazione di un popolo oppresso) arricchisce il concetto di sfumature, favorendo una presa di distanze dal "minestrone" fatto dalle autorità francesi ed europee, secondo cui terrorismo e Islam coincidono.

Un assunto che l'ha fatta da padrone soprattutto dopo l'11 settembre 2001. Prima di quella data fatidica, solo sei paesi dell'Unione Europea disponevano di normative specifiche in materia di terrorismo (Germania, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Italia e Portogallo). I fatti dell'11 settembre hanno portato ad un'armonizzazione delle legislazioni nazionali, creando una base comune di pene e sanzioni (otto anni di prigionia per i partecipanti ad un progetto terrorista, 15 per leadership di un gruppo terrorista) e ad una definizione comune del concetto di terrorismo: «Struttura composta da più di due persone, costituita già da tempo, che agisce secondo modalità concertate per commettere atti terroristici», senza tuttavia precisare cosa sia davvero un atto terroristico.

I paesi si sono adattati alla dimensione internazionalista del terrorismo islamico creando nuovi capi d'imputazione, un maggiore controllo sui movimenti degli stranieri provenienti da zone sensibili e una più accorta sorveglianza sulle forme associative dei popoli islamici (moschee, associazioni di carità...). Gli stati, per reagire alle critiche mosse contro le loro politiche di sicurezza, legittimano le loro decisioni proponendosi come difensori delle libertà individuali, giustificando in tal modo la necessità di politiche preventive, più che repressive.

Terrorismo, resistenza e repressione

Piuttosto che restare intrappolati in questa psicosi collettiva, perché non tentare di indagare sulle motivazioni per cui un ideale (e la sua salvaguardia) portano verso la violenza?

Dostoevskij ha scritto ne "I demoni": «Partendo dalla libertà assoluta, arrivo al dispotismo assoluto». La realizzazione di un ideale implica, dunque, una forma di violenza? Nella sua pièce "Le mani sporche" (1948), lo scrittore e filosofo Jean Paul Sartre  diceva: «Io ho le mani sporche. Fino ai gomiti. Le ho tuffate nel sangue e nella merda. E ora? Come fai a illuderti che si possa governare senza essere violenti?».

È così? L'esercizio del potere può essere considerato una sorta di terrorismo?A seguito di un intervento di Raymond Aubrac, uno dei protagonisti della resistenza francese al regime di Vichy, che rivendicava la definizione di terroristi per sé e per il gruppo di cui ha fatto parte, Jean Pierre Valabrega, psicanalista e scrittore, ha ricordato quale sia la causa prima del terrorismo: la resistenza al terrorismo dello stato. Tutto comincia dagli stati e da chi detiene ed esercita il potere. Di conseguenza, le ideologie, i credi e le religioni contrapposte, la destra e le sinistre, portano inevitabilmente avanti il regno del terrore. In questo regime dittatoriale fatto dal terrorismo di stato, nascono e si organizzano delle resistenze che si oppongono l'una all'altra. Una lotta che si deve qualificare non come terrorismo ma come anti o contro-terrorismo. La resistenza all'infezione non è un'infezione. La resistenza all'oppressione non è un'oppressione.

Ecco di cosa si dovrebbe discutere: chi sono i terroristi? Chi i contro-terroristi? I movimenti islamici contemporanei si rifanno alla jihad e all'islamismo, ma allo stesso tempo sono contro il consumismo e l'imperialismo americano, esattamente come i movimenti di estrema sinistra negli anni di piombo in Europa. E allora mi chiedo: è possibile che il fine giustifichi sempre i mezzi?

Foto: (cc)monaxle/flickr; (cc)ruSSeLL hiGGs/flickr

Translated from Terrorisme : menace réelle ou concept fourre-tout ?