Teheran: che fine ha fatto l'Onda verde? Lo sapremo tra due mesi...
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E' l'altro Egitto. Quello di Piazza Enghelab a Teheran. Quello che due anni dopo le contestatissime elezioni e un anno dopo le proteste efferate è ancora in stallo. Il capo è sempre lui: Ahmadinejad, tanto bravo da tenere agganciati a sé i pasdaran, gli unici a poter garantire il controllo dell’ordine interno. Nulla è cambiato in Iran e dell'Onda verde non si parla quasi più.
Eppure, mesi fa, fu proprio questa piazza ad inaugurare le proteste, ad accennare alla sommossa poi esplosa, più di un anno dopo, in Medio Oriente e nel nord Africa. Furono loro i pionieri della “Rivoluzione di Twitter”. I primi riusciti a sconfiggere i sistemi di censura grazie all’uso delle nuove tecnologie. Che fine hanno fatto? Li hanno repressi.
L'ultima protesta capeggiata dall'ex premier ed ex candidato alle presidenziali, Mir Hossein Moussavi, e dall'ex Presidente del Parlamento iraniano, Mehdi Karroubi, risale a febbraio. Due mesi fa. Gli scontri hanno fatto un morto e due feriti. Tra gli oltre novanta oppositori finiti dietro le sbarre c'è Baqer Oskui, capo della sezione giovanile di Etemad Melli, il partito di Karroubi. O ancorae Ramtin Meqdadi, responsabile del movimento giovanile di Moussavi nella città di Babol, e lo scrittore Hamed Shamlu. Il governo iraniano aveva parlato chiaro: è vietata ogni forma di adunata. Il divieto era dettato dalla volontà di evitare che ogni forma di raduno potesse essere sfruttata dall'opposizione per risvegliare, negli animi degli iraniani, quei sentimenti che avevano spinto le proteste di piazza del 2009. Ma i ragazzi non hanno ascoltato. Così, le forze di polizia hanno aperto il fuoco sulla folla. Facebook non è bastato a fermare la violenza, Twitter non è riuscito a tenere testa alla Guardia Rivoluzionaria che, zitta zitta, continua ad esercitare il suo strapotere sul petrolio, unica linfa vitale del regime.
A giugno del 2010 l'Onda ci aveva già riprovato. In due giorni, tra il 7 e l’8 del mese, ci furono 18 impiccagioni. Ora, prima di rivedere i giovani in piazza passerà del tempo. Intanto li si può rintracciare su Facebook e su YouTube. Negli ultimi giorni sono stati postati video nei quali si spiega come fare per scampare alla censura. E già iniziano i preparativi per la manifestazione prevista per il prossimo anniversario delle elezioni: il 12 e 13 giugno.
L’Onda è divisa
In Iran finisce sempre così. Ogni volta che si propone un'occasione di mobilitazione popolare, si scatena un’ondata di arresti e di esecuzioni capitali. Come in Egitto, Siria, Yemen. Ma a casa dei persiani la Rivoluzione è stata annunciata ma non si è ancora consumata. Anzi. L'Onda si è dispersa e oggi fatica a tornare in piazza. Perché? Colpa del blocco affaristico-militare e della totale assenza di un programma politico unitario, di un leader ufficiale, riconosciuto all'unanimità. La guerra è interna al Movimento verde. Lo conferma il giornalista iraniano Omid Habibinia: «In questo momento ci sono molte posizioni diverse tra i riformisti. Alcuni vogliono mantenere l'attuale sistema politico, altri vogliono riformarlo solo in parte, ma ritengo che la maggioranza della popolazione non creda più alla Repubblica Islamica. Queste differenze e la brutale repressione del governo hanno portato alla divisione del Movimento Verde in più frazioni». Ma poi rilancia: «Anche se apparentemente l'Onda ha ridotto la sua attività politica nelle strade, sono nate in Iran molte nuove organizzazioni e movimenti in cui si discute di politica».
Discutere, discutere, discutere. C'è chi pensa di poter riformare il sistema e chi il sistema vuole farlo fuori, abbatterlo subito. Ma a quanto pare non è solo questo il nodo da sciogliere per far decollare la protesta. E' la composizione stessa dell'Onda a frenare la rivoluzione iraniana. Del Movimento fanno parte solo giovani e universitari. Le masse popolari, i lavoratori salariati, invece, tentennano, mentre i grandi bazarì di Teheran si crogiolano in un sistema economico che non prevede quasi nessun prelievo fiscale. Ecco la regola: lo Stato non pretende contributi fiscali e si permette di dare pochissimo in termini di diritti e potere decisionale. A metà della popolazione un sistema così va bene. Mentre i giovani, i verdi, non cercano uno stravolgimento dello status quo, ma un'affermazione di quei diritti "occidentali" che, al contrario degli egiziani, conoscono fin da piccoli a mena dito.
La rivoluzione d'élite non può funzionare
Il 12 giugno 2011 il Movimento Verde tornerà a sfidare il governo all'insegna del grido "Dov'e' il mio voto?". Per denunciare i brogli elettorali. La censura, la povertà, le diseguaglianze sociali e il ruolo minoritario e servile della donna sono temi importanti ma ancora secondari. Per sfondare, questo 12 giugno, i Verdi dovranno invece metterli in agenda. E fare meglio di come hanno fatto in passato perché la sfida che li attende è questa volta molto più grande. L'idea d'Iran concepita e diffusa nel mondo dai giovani dell’Onda è ormai un modello. Anzi, è il modello che ha ispirato le vittoriose rivoluzioni egiziane.
«Il movimento verde è una sorta di élite e finora non ha veramente coinvolto i ceti più bassi»
Riconciliare democrazia e islam, tradizione e modernità, passato e futuro. Sono queste le sfide. Ma per riuscirci, serve che i giovani si «proletarizzino». Perché, come spiega Farian Sabahi, docente presso l'Università di Torino e giornalista specializzata, «il movimento verde è una sorta di élite e finora non ha veramente coinvolto i ceti più bassi. Gli storici vi leggono la stessa debolezza del partito comunista Tudeh al tempo dello scià: vi militavano i ribelli della borghesia e gli intellettuali di sinistra, ma non il proletariato urbano, con cui comunicava meglio l’Ayatollah Khomeini». Facile afferrare la differenza: in Piazza Tahir, al Cairo, c'era chi aveva fame. C'era chi voleva il pane. In Iran, in piazza da due anni c'è chi possiede un computer a casa da quando è nato, chi a pranzo mangia carne al sangue e beve vino. Ed ecco il punto. Il successo dell'Onda, continua la Sabahi, dipende dalla sua capacità di coinvolgere «i sindacati, che in questi mesi sono stati presi di mira dalle autorità. Bisogna inoltre mantenere alta la motivazione dei sostenitori, rinsaldare i legami con chi opera dentro al sistema e non far calare l’attenzione internazionale». Ma questo, dipende anche da noi.
Foto: home-page (cc) Marcus Smith/flickr: Free Iran (cc) Beverly & Pack/Flickr; Where is my vote? (cc) Anthony Posey/flickr; video (cc) repubblica.it/YouTube