Teatro Valle: storia di un'occupazione
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Il 14 giugno del 2011, teatranti e lavoratori dello spettacolo hanno occupato il Teatro Valle, antico palcoscenico, risalente al 1727, addormentato da troppo tempo nel Rione Sant'Eustachio della capitale. A un anno e mezzo dal primo sipario, il racconto di un'occupazione sostenuta dai grandi nomi della cultura italiana, da Dario Fo a Luca Ronconi, e da un entusiasmo senza pari.
Che ogni giorno porta in scena corsi, lezioni, attività ricreative, performance e nuovi idee. Il racconto da Roma.
Il governo taglia con forbici ben affilate la cultura italiana. Brandelli di manifestazioni culturali, pubblicazioni e spettacoli si dissolvono per aria, come se non fossero mai state legate a quella che è la sudata certezza di esistere in un panorama artistico, letterario e musicale che vuole differenziarsi per generi e stili.
Per una fondazione dell'imprudenza
Italia, Roma: i teatri romani come reagiscono di fronte alla generale abolizione di strutture pubbliche? Con l’occupazione. Perché si occupa? Per rispondere si fa riferimento alle parole dell’attore Fabrizio Gifuni: “Perché l’Ente teatrale italiano ha chiuso dall’oggi al domani”. La resa non è una soluzione da menzionare e, il Teatro Valle, situato nell’omonima suggestiva via, uno dei più antichi della Capitale, ben sa come muoversi nella riappropriazione di un bene comune che non può andare perduto. “Comune è diverso da pubblico. Non è attraverso il controllo dello Stato e delle amministrazioni che si generano democrazia reale e gestione partecipata: i beni comuni non si amministrano dall’alto, si autogovernano. Non sono una zona neutra né pacificata. Sono veri e propri campi di conflitto”: queste le parole di chi pacificamente guerreggia all’interno del Teatro.
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A fronte di ciò, con il contributo di giuristi come Ugo Mattei e Stefano Rodotà, è previsto per il Teatro Valle lo statuto di una Fondazione Bene Comune, “per una fondazione dell’imprudenza”, come dicono. Infatti, i commons, alla base di tale statuto, sono una pratica giuridica innovativa, sono la presenza viva e attiva di attori e pubblico in una struttura che teoricamente dovrebbe serrare finestre e porte. Parole spicciole per indicare che l’occupazione del Teatro Valle, grazie a numerosi contributi, sta diventando una fondazione aperta: versando una somma più che irrisoria, tutti hanno la possibilità di essere soci fondatori. Cittadini entusiasti di spettacoli degni della tradizione teatrale del luogo, e professionisti del settore, decisamente impegnati sul versante artistico e politico, non deludono. I numeri di affluenza, da un anno e mezzo a questa parte, dal 14 giugno 2011, crescono (si è arrivati a oltre 5.000 soci ed è stato raccolto un patrimonio di 150.000 euro) e rassicurano riguardo a un percorso militante per nulla fallimentare e nella sua fase di sviluppo.
L’attività del Teatro Valle non conosce, infatti, intervalli. Oltre agli spettacoli serali, giovani volontari, attori e attrici lavorano e soddisfano nel migliore dei modi la curiosità e il diletto di chi giunge alle porte di questa libera agorà, estirpata al potere, con attività creative e di formazione. Corpi, Scritture e Città sono i punti di riferimento organizzativi della fondazione. Ad esempio, con Tanzeit, offerto da Corpi, le scuole superiori si destreggiano nella danza contemporanea di Berlino; con Crisi, per Scritture, vari autori creano un’ideale trilogia sulla crisi; con Performance partecipate, parte di Città, si approfondiscono tematiche artistiche che variano una volta al mese con la messa in scena di cori poetici e performance di massa.
Nuova vita per le poltrone amaranto
Si tratta di un Teatro che va aldilà delle sue peculiari funzioni, è un luogo di incontro, d’istruzione. Le file degli spettacoli spesso sono interminabili. Ma i volontari si interessano del loro pubblico con scambi di parole. Si tratta di una generosità semplicemente umana che nasce dalla condivisione di un bene che a stento esiste. E ora che l’appropriazione collettiva è una vittoria vicina, l’entusiasmo continua. I successi arrivano, e anche i terribili e pilotati mass media hanno le luci proiettati sul Teatro. Il successo si guadagna, e l’organizzazione che il Teatro Valle fin dagli inizi ha saputo redigere va ammirata, a partire dall’assidua presenza su Facebook, Twitter e dalla creazione di Medialab, un laboratorio di sperimentazione e produzione per videomaker, autori, attori e artisti visivi, attraverso cui si può accedere allo streaming in diretta e alla visione di vecchi spettacoli e performance tenuti in sede. Un Teatro, questo, che segue e si fa seguire.
La partecipazione al progetto Crisi 2.0. Che fare, spazio culturale che prevede l’assegnazione di un premio di 100.000 euro per imprese sociali profit e non profit, è una speranza in più. Si è passati alla seconda selezione, si attende il 29 gennaio, in cui si saprà il vincitore. Questo, uno dei modi per resistere ancora. L’omino del divieto di transito, simbolo del Teatro Valle Occupato, è affaticato ma non demorde. Il pubblico potrà ancora godere delle sue comode poltrone amaranto. E all’apertura del sipario potrà dimenticarsi le numerose collisioni che si è ormai lasciato alle spalle.
Il Teatro Valle non è solo nella sua lotta all’austerità. Roma, come altrove in un’Europa economicamente e politicamente nevrotica e palesemente in crisi, vede altri spazi culturali limitarsi o vittime di tentate chiusure. Si ricorda, ancora, l’Angelo Mai, la cui occupazione di un ex convitto nei pressi delle Terme di Caracalla a Roma, prende avvio nel ben remoto 2004. Ora è uno spazio ricreativo che fa della musica, del teatro e di disparati laboratori il motivo di attrazione per numerosi giovani. Gli stessi giovani a cui il potere cerca di tagliare le gambe nel cammino verso il futuro.
Foto: © Teatro Valle, cortesia della pagina facebook Teatro Valle Occupato