Taranta a Parigi a suon di Mina Tindle
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Giovedì 21 marzo, l’hotel W Paris-Opéra, nel pieno centro della capitale, ha ospitato i festeggiamenti per il primo anno di "Taranta", album d’esordio della cantante francese Mina Tindle. Incontriamo Pauline, vero nome dell’artista, facendoci spazio a fatica tra la folla, i fotografi impazziti e tantissimi bicchieri di champagne.
“Canto per curarmi da qualcosa”, ha affermato Mina Tindle in molte delle sue interviste. Questa musicoterapia ha avuto come risultato la pubblicazione, lo scorso anno, del suo primo album. "Taranta", questo il nome dell’EP, è il risultato di un lungo percorso personale e professionale che l’ha portata dalla Francia alla Spagna fino agli Stati Uniti per poi ritornare in terra natale per dare concretezza e forma al suo lavoro.
Mina Tindle vista da...
Taranta, una parola che non ci aspetteremmo di sentire da una parigina che con l’Italia non ha nulla a che fare. Ma, dopo aver scoperto un po' di più sulla vita di Pauline, che, da vera artista, è un po’ nomade nell’anima, tale legame con il Sud italia non stupisce più. “Il titolo fa riferimento proprio alle tradizioni pugliesi”, rivela. “Vado spesso in Puglia, ho un’amica appassionata di folklore che abita lì e mi ha fatto scoprire tantissime cose. Trovo interessante e ironico l’approccio artistico di questa danza anche se non mi ci sono mai cimentata, almeno per il momento”.
A festeggiare il primo anno del disco, arriva "Seen by…" che, più che un secondo album, è un regalo di compleanno per il suo debutto, contenente i successi della cantante remixati da diversi artisti. A suonare alla festa in onore del disco "Taranta" sono solo in tre: percussioni, basso e Mina che si divide tra chitarra classica e tastiera. Pochi? No, sono sufficienti ad animare al meglio la serata. La perfetta empatia dei tre si percepisce anche guardandoli da lontano e la cantante sembra non fare troppa attenzione ai fotografi che ormai sono arrivati sul palco a venti centimetri da lei.
Mina Tindle arriva sulla scena con aria sicura avvolta da un vestito di paillette blu che cattura la luce dei riflettori, tutti puntati su di lei. “Grazie di essere venuti”, poche chiacchiere e il concerto si apre con "To carry all the small things", della quale il pubblico sembra conoscere le parole alla perfezione. La cantante agita leggermente i capelli castani e ondulati ma non azzarda mai movimenti troppo bruschi: il palco è piccolo e bisogna fare spazio ai fotografi invadenti, oltre che agli strumenti. Concede cinque o sei canzoni, non di più, dopotutto è una festa anche per lei. Fuori dal palco, Pauline non perde il sorriso e racconta il suo percorso con lo stesso entusiasmo che la contraddistingue quando in mano ha una chitarra e non un registratore: “Mi sono sentita molto libera durante la realizzazione del disco, mi hanno lasciato provare tutto quello che mi passava per la testa per trovare i suoni che volevo”.
Parigi – New York con ritorno
Tutti i posti dove ho vissuto mi hanno permesso di crescere, i colori dell’Andalusia e la violenza di New York sono nei miei testi, Taranta nasce da un vero e proprio cammino personale, fatto di luoghi e di persone
“Canto in inglese perché la cultura musicale alla quale mi ispiro è soprattutto anglosassone, più che una scelta è stata un’imposizione che è venuta da sola. Poi l’inglese resta una lingua che si presta bene alla musica, senza contare che all’inizio della concezione del disco vivevo negli Stati Uniti”. Nonostante la maggior parte dei brani sia in lingua inglese, Mina non rinuncia a qualche piccola incursione in altri terreni linguistici, compreso il francese. “Mi piace in ogni caso esplorare lingue differenti attraverso la musica. Ad esempio lo spagnolo, che sono abituata a sentire fin da piccola poiché la mia famiglia ha origini spagnole e perché io stessa ho vissuto in Spagna per un periodo. È vero però che a un certo punto ho sentito l’esigenza di esprimermi in francese, di provare di nuovo dopo il primo tentativo di quattro anni fa che non fu esattamente glorioso”.
Ritorno alla francofonia quindi, anche se solo per poche canzoni. “Scrivo sempre di cose intime o quantomeno ispirate a quello che mi succede. Sono spesso storie d’amore e d’incontri, del tempo che passa. Temi che restano universali insomma”. Un diario segreto in musica che una lingua straniera contribuisce a tenere sotto chiave, almeno a livello psicologico. Inoltre, armata dei suoi 28 anni e di uno spirito gipsy, Pauline ha molte cose da raccontare. “Adoro viaggiare, arrivare in un paese, in una terra sconosciuta e sentirmi persa. Questo tipo di situazione permette di vivere le cose con un’ingenuità ormai un po’ persa con l’età”.
Sono proprio i viaggi, le terre che ha visitato, le atmosfere che ha avuto l’occasione di respirare che hanno dato vita, alla fine, ad un disco. “Tutti i posti dove ho vissuto mi hanno permesso di crescere in un modo o nell’altro professionalmente, non sempre a livello musicale puro ma piuttosto artistico. I colori dell’Andalusia e la violenza della città di New York sono sicuramente presenti nei miei testi. Taranta nasce da un vero e proprio cammino artistico e personale, fatto di luoghi e di persone”.
Un lavoro di tessitura al quale lei stessa ha partecipato, curandone tutti gli aspetti, dai testi alla musica fino alla scelta delle collaborazioni per il disco di remix. Una vera opera prima (e seconda) personale al cento percento. “Ho voluto fare un disco, salvaguardando però un lato artigianale. Per costruire un oggetto più che progettare una carriera”. Sembra che, pur non volendo, l’artista sia riuscita a fare entrambe le cose.
Foto: copertina © Claude Gassian; nel testo: Mina Tindle © Jerôme Bauer; Mina seen by © Nathalie Sanchez; video: Mina Tindle Officiel/YouTube.