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Tamburi del Burundi: un finale travolgente

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Firenze

Sabato 14 novembre si è chiusa la quarentesima edizione del festival "Musica dei Popoli" con lo spettacolo Tamburi del Burundi al Teatro Puccini di Firenze.

Otto tamburi disposti a semicerchio, di cui tre suonati con un ritmo continuo e penetrante, gli altri cinque che seguivano, rispondendo dinamicamente, al nono tamburo centrale. Si tratta di un'improvvisazione codificata, guidata dal tamburo centrale, con il quale si cimentano, si sfidano, si divertono a turno i percussionisti, utilizzando il canto e la danza per condurre questa estasi cosmica.

Ho trovato posto in prima fila, ed ero così vicina da vedere il sudore, lo sforzo, il corpo perfettamente scolpito, la saliva. Un'esperienza coinvolgente, uno spettacolo che ha conservato tutta la forza del rito, tutta la solennità di un'esperienza sacra e grandiosa, ma non per questo rigida. Tutt'altro: una danza dinamica, energica e instancabile, guidata da un araldo, che suona il tamburo centrale, mentre gli altri tamburi rispondono in coro, in semicerchio. La danza si snoda in movimenti non rifiniti, naturale espressione di forza e di gioia, con salti e contorsioni, grida e smorfie. Dal palco arrivava l'intenso odore di sudore dei danzatori, un aroma che rendeva partecipe lo spettatore del rito a trecentosessanta gradi, coinvolgendo tutti i sensi, facendo del corpo stesso dello spettatore una sorta di cassa di risonanza sotto quei colpi, che come tuoni, facevano vibrare qualcosa dentro lo stomaco.

Al mio compagno ha ricordato i rituali dell'antico collegio romano dei sacerdoti Salii, dal latino salire, “saltare”, per il tipo di danza cerimoniale zompata che inaugurava il periodo della guerra. I sacerdoti Salii sfilavano per la città, percuotendo i dodici scudi sacri, ballando e cantando accordandosi a quel ritmo. Non sono scudi, ma tamburi sacri, realizzati utilizzando i tronchi dell'albero umuvugangoma, ad essere suonati al Teatro Puccini, in una tradizione che si tramanda da padre in figlio, legata in origine alle cerimonie di omaggio al re. Attraverso questo rito antico, che è arrivato fino a noi attraversando il tempo e lo spazio, si può intravedere la storia di un intero popolo: sotto i colpi dei tamburi, che scandiscono il lavoro nei campi ed accompagnano i rituali agresti, sotto i colpi dei tamburi che ricordano la violenza degli spari di una nazione sull'orlo del genocidio, ma anche la forza, la gioia e il sorriso che accompagnano questa musica, che continua a raccogliere intorno a sé persone da tutto il mondo.

Ed è proprio questo lo spirito di questo Festival, giunto al termine sabato scorso, che da tanto tempo porta a Firenze buona musica di tanti colori e sapori diversi, andando a scovare talenti da tutto il mondo. L'edizione di quest'anno è emblematica: per festeggiare i quarant'anni di Musica dei popoli è stato proposto un programma d'eccezione, diviso in tre parti. La prima parte, Suoni della terra, è stata dedicata alla musica popolare e ai musicisti della Toscana; nella seconda parte, Donne dell'altro mondo, si sono esibite cantanti di grande talento provenienti da tre continenti differenti; mentre la terza parte del festival, Global party nights, ci ha fatto ballare a ritmo di musica balcanica e salentina. Infine il grande evento conclusivo del 14 novembre, Tamburi del Burundi, che ha chiuso in maniera davvero spettacolare un'altra grande edizione di questo amato festival.