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Sulle tracce di viandanti e pellegrini, Enrico Brizzi ci racconta il suo viaggio a piedi per Roma sulla via Francigena nell’era dei voli low cost

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Roma

E' arrivato a Roma in modo davvero originale: seguendo l'antico percorso della via Francigena. L'avventura dello scrittore Enrico Brizzi è raccontata - giorno dopo giorno e documentando incontri eccezionali - nel libro “I Diari della via Francigena”, appassionante cronaca di un cammino senza tempo.

di Tiziana Sforza

1600 chilometri e 33 città, da Canterbury a Roma, 72 giorni di cammino seguendo le tracce di Sigerico, l’arcivescovo di Canterbury che per primo tracciò l’itinerario nel 990 d.C: è lo straordinario percorso raccontato da Enrico Brizzi e Marcello Fini nelle pagine de “I Diari della via Francigena”, appassionante cronaca di un cammino senza tempo, tornato prepotentemente “di moda” in anni in cui, nonostante i voli low cost ci portino velocemente ovunque, si va riscoprendo il valore di viaggiare con lentezza, al ritmo dei propri passi e lasciando sempre una porta aperta ad incontri che sconvolgono la pianificazione del viaggio fatta a tavolino. Enrico Brizzi ci ha raccontato cosa ha imparato da questo cammino. Noto a molti soprattutto per il successo del suo romanzo d’esordio Jack Frusciante è uscito dal gruppo (che nel 1994 lo ha portato in testa alle classifiche di vendita) oltre dieci anni dopo e svariati romanzi e progetti, Brizzi si rivela un appassionato narratore di “cammini”. Ha documentato un viaggio a piedi dall’Argentario al Conero, il cammino sulla Francigena e - in occasione del centocinquantesimo anno dell’Unità nazionale – il recentissimo viaggio a piedi dall’Alto Adige alla Sicilia per scoprire chi sono oggi gli italiani nel progetto “Italica 150”. “I diari della Via Francigena” è stato pubblicato nel giugno del 2010 nella collana “A passo d’uomo” da Ediciclo, casa editrice di nicchia focalizzata sul tema del viaggio. In alcuni tratti di questa avventura Brizzi è stato accompagnato dagli amici di “Francigena XXI”, un progetto che ruota attorno all’obiettivo di un gruppo camminatori in marcia per riscoprire e valorizzare gli itinerari pedonali in Italia, Europa e nel bacino del Mediterraneo.

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Il tuo viaggio sulla via Francigena si svolge nell’estate del 2006. Che cosa ti ha spinto a partire e quanto è durata la preparazione a questo cammino?

La spinta principale è stata la curiosità per un percorso millenario: l’idea di ripercorrere tappa per tappa i passi di viandanti e pellegrini, e di poterlo fare alla loro stessa velocità, aveva per me un fascino bastevole. Sei mesi di documentazione su libri, web e attraverso incontri de visu sono stati il viatico per la partenza da Canterbury.

Qual è la cosa più inaspettata che ti è capitata? E l’incontro che ricordi con più affetto?

Risponderei ad entrambe le domande: l’incontro, nell’abbazia svizzera di San Maurizio, col pellegrino tatuato Bern, un signore svevo deciso a raggiungere a piedi la tomba del suo santo protettore. Poiché si è convinto che io e i miei compagni di viaggio fossimo stati mandati dal cielo per aiutarlo a traversare le Alpi, si è comportato di conseguenza, così come raccontato nel romanzo Il pellegrino dalle braccia d’inchiostro (Mondadori, 2007).

Il cammino porta sudore, fatica, ma anche tanta soddisfazione durante il percorso e al raggiungimento della meta finale. Che cosa ti sei portato a casa alla fine di questa esperienza?

La convinzione propria degli uomini medievali: chi arriva al termine di un viaggio del genere non è più lo stesso uomo ch’era partito.

Il bagaglio del pellegrino è a geometria variabile: cambia giorno per giorno a seconda delle necessità, del clima, del dolore alle spalle. Di che cosa ti sei disfatto, in quanto superfluo, e che cosa ti sei dovuto procurare immediatamente, in quanto indispensabile e che non avevi già con te?

Sono stati preziosi gli arrivi degli amici che hanno percorso qualche tappa con me: mi sono fatto portare scarponi da montagna e set da neve prima delle Alpi, e l’ho rispedito a casa da Aosta. Passato l’Appennino, altri capi pesanti hanno preso la via di casa.

01_Brizzi_Gnesini_Canterbury.jpgDurante il cammino si conosce meglio se stessi e la propria reazione di fronte alle avversità. Quali cambiamenti hai notato in te al termine di questa esperienza?

Una barba molto lunga, un incarnato abbronzato e la consapevolezza che a piedi si può arrivare quasi dappertutto. Aggiungerei anche una maggiore consapevolezza delle regole del mondo e delle sue stagioni.

Hai percorso il più importante asse viario dell’Europa medievale, camminando sulle orme di viandanti e pellegrini: che eredità ci ha lasciato l’Europa di mille anni fa? Hai ritrovato delle radici comuni?

Nella Franca Contea, tanto per dire, un contadino ci ferma e fa: «Ragazzi, dove andate?» «A Roma». «Parbleu!» esclama. «Allora è proprio vero quel che si dice dalle nostre parti». «E cosa?» «È un proverbio di qui» premette stringendosi nelle spalle. E poi ci lascia secchi: «Tutte le strade, diciamo noi, portano a Roma».

Che senso ha camminare nel XXI secolo, in un contesto in cui molti prendono l’automobile anche solo per percorrere un isolato, e in cui i voli low cost ci hanno abituato a un turismo mordi-e-fuggi della durata di un fine settimana?

La gente si lamenta sempre di non avere tempo, ma in realtà è un fatto d’incultura: un fine settimana può essere destinato anche a percorrere un tratto della Via Alpina o l’anello del Monte Amiata. E una ordinaria giornata di lavoro può prevedere senza fatica 10 chilometri a piedi. Non serve essere atleti o salutisti, basta sentire il richiamo della terra.

L’intermodalità del tuo percorso sulla Francigena ha coniugato tratti a piedi e un tratto in bicicletta. Quali sono vantaggi e svantaggi dell’uno e dell’altro modo di spostarsi?

In bicicletta sei pur sempre affidato a un veicolo. Puoi percorrere più di cento chilometri al giorno - anche se, carico come ti ritrovi, spesso ne bastano la metà per sentire i polpacci farsi di piombo - ma una foratura o un guaio alle borse portaoggetti bastano a lasciarti immobile, e con una bici da trascinare. A piedi invece sei come nudo, non hai letteralmente niente da perdere.

Oltre al tuo libro, quali guide consigli per documentarsi a chi voglia intraprendere questo cammino? Senz’altro la dettagliata guida - limitata però al tratto italiano - di Monica d’Atti e Franco Cinti per Terredimezzo.

Quale suggerimento daresti a quanti vorrebbero ripetere la tua impresa, tappa per tappa?

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Portatevi dietro due paia di scarpe ben rodate, un paio a suola morbida per l’asfalto e l’altro da trekking per i sentieri. Ma, soprattutto, partite con qualcuno di cui avete completa fiducia. Come in barca, anche in marcia la convivenza è un aspetto cruciale: poiché si dividono pasti, fatiche e camere di locanda, è meglio che schizzinosi e isterici restino a casa.