Sudan: tra amnesia e snobismo
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Nella regione del Darfur impazza la pulizia etnica. Ma l’Europa è distratta: è molto più chic parlare di Iraq... Bruxelles deve assumere le sue responsabilità.
Sudan: il paese più grande del continente africano. Un paese che, proprio ora che ha conosciuto la concreta possibilità di una pace tra il Nord ed il Sud dopo una guerra civile durata più di vent’anni, si trova ad affrontare una drammatica crisi umanitaria nella regione occidentale del Darfur. Una crisi che, come solitamente accade, viene regolarmente trascurata da mass media sempre più inclini a preferire l’ultimo rapimento in Iraq. Capita anche che uno dei paesi “frontiera” dell’Unione Europea, l’Italia, decida di non riconoscere lo status di profughi ad un gruppo di trentasette persone che si erano dichiarate sudanesi in fuga da quella che Mukesh Kapila, ex coordinatore umanitario dell’ONU in Sudan, ha paragonato alla pulizia etnica del Ruanda. Certo, si è poi avverato che i profughi in questione sudanesi non fossero. Ma il cinismo dimostrato da Roma in questa faccenda non cambia.
L’Occidente parla, Karthum promette
Intanto, continua inesorabile uno dei più tristi capitoli dell’ex “alto egitto”, patria dei faraoni neri e ultimamente, prima dell’11 settembre, rifugio del patriarca del terrorismo mondiale, Osama Bin Laden. Un fantoccio “cessate il fuoco” tra milizie pagate dal governo di Khartoum e combattenti guerriglieri organizzati in micro-eserciti di resistenza, accusati di aver dato il via ad un’insurrezione all’inizio del 2003, non ha fermato l’eccidio di migliaia di persone e la fuga di più di un milione di rifugiati che si sono riversati, nel corso dell’ultimo anno, in Ciad o nelle regioni sudanesi più ad est.
Le inutili visite di Powell ed Annan, le raccomandazioni dell’Unione degli Stati Africani e delle Nazioni Unite, non hanno fatto altro che portare il governo a promettere l’impossibile su una situazione che ad oggi pare proprio essere sfuggita di mano agli “addetti ai lavori”. Le truppe di guerriglieri arabi assoldati dal governo, i Janjaweed, che si muovono a cavallo, armati di spada e affiancati da pick-up stracolme di miliziani armati fino ai denti, ormai non prendono più ordini da nessuno. Entrano nei villaggi, sequestrano tutto il cibo e si riforniscono d’acqua, lasciandosi alle spalle una scia di sangue infinita che non risparmia neanche le moschee locali.
La pace del deserto
Vi è un’aria di insolente oscurantismo verso la crisi umanitaria in Darfur da parte dell’Unione Europea, gli atteggiamenti politici di quest’ultima verso il governo di Omar al-Beshir non hanno nemmeno scalfito l’ombra che Khartoum ha sino ad oggi tenuto sulla questione diritti umani in una regione in cui la sharia è applicata secondo l’interpretazione più brutale delle scuole coraniche. Intanto, le visite guidate per occidentali preparate con grande zelo dal governo per dimostrare quanta pace c’è nel deserto tendono a dimostrare che le accuse degli stranieri sono solo invenzioni per destabilizzare il governo.
La verità è che il popolo sudanese del Darfur oggi affronta uno dei capitoli più atroci della storia dell’umanità senza che la comunità internazionale intervenga con fermezza. La presunta pace Nord-Sud, che nel passato aveva creato circa quattro milioni di profughi interni e due milioni di morti, firmata a Naivasha, in Kenia, ha sicuramente riaperto, come promesso, il rubinetto degli aiuti economici al governo di Khartum. Ma, sebbene gran parte di essi siano destinati a progetti di sviluppo, non è da escudere che vengano utilizzati per arginare il “nuovo” fronte apertosi ad ovest, nel Darfur. Il ruolo dell’Unione Europea in questa come in molte altre emergenze del continente africano rimane di secondo piano e non si associa sempre alle soluzioni promosse dai suoi stati membri presenti nel territorio.
Limiti dell’integrazione regionale
Riuscirà l’Europa ad intervenire almeno ora, prima che l’intera popolazione nera del Darfur venga letteralmente spazzata via dalla regione dalle milizie arabe sostenute dal governo di Beshir?
Il Sudan è una bomba di trentotto milioni di persone pronta ad esplodere per occupare le rotte della transumanza umana verso il Vecchio Mondo. Riuscirà la nuova Europa a 25 a vincere la formazione preconfezionata della geopolitica internazionale “made in USA” e ad attivare nuovi metodi e nuovi format per dedicarsi al continente più dimenticato del pianeta? L’integrazione regionale espressa dall’Unione Africana, che pure dovrebbe avvicinarsi al modello della Ue, sembra incapace di agire senza l’aiuto di attori esterni. L’IGAD, che riunisce 7 Paesi del Corno d’Africa, ne è la palese conferma: senza l’intervento di Italia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti non sarebbe mai riuscita ad arrivare alla pace di Naivasha.
Certo, l’Unione Africana si è rivelata più viva di altri organismi internazionali nell’evidenziare il problema del Darfur ma rimaniamo lontani anni luce dal successo che la Ue ha ottenuto in campo di pace e prosperità.
http://edition.cnn.com/2004/WORLD/europe/07/13/italy.ship/