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Sudamerica-UE: un'occasione da non perdere

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Mentre Washington cerca di sedurre i paesi della zona, l’Unione si trova in netto vantaggio nei rapporti col Mercosur. A condizione che la PAC sia riformata.

Nell’ultimo decennio le relazioni politiche e economiche tra l’Europa e l’America latina hanno subito una decisa evoluzione, a causa principalmente della crescita del potere delle imprese multinazionali europee, dell’emergere di strutture economiche regionali in America, e dell’evoluzione dell’Unione Europea come blocco commerciale unitario.

Gli attori sono quindi cambiati: l’UE e le multinazionali europee, da un lato, con gli Stati nazionali che continuano ad esercitare una importante influenza sulla Commissione e sulle stesse imprese multinazionali, di cui molti governi mantengono una golden share, ed i governi latino-americani, dall’altro, che da un decennio a questa parte cercano forme di integrazione regionale (soprattutto) economica.

La questione delle multinazionali europee (trattata in alcuni suoi aspetti da Garriga in questo dossier) merita un discorso a parte: qui ci concentreremo invece sui rapporti tra l’UE, intesa soprattutto come blocco commerciale, e il Mercosur, l’associazione economica regionale che riunisce i quattro paesi del cosiddetto “cono sud”, ovvero Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, dove i primi due dispongono del maggior peso economico e politico.

competitività

Dopo gli anni ’80, passati alla storia come il “decennio perduto” dell’America Latina (crescita zero, iperinflazione, crisi del debito pubblico), gli anni ’90 sono stati caratterizzati fondamentalmente dai drastici (e estremamente controversi) programmi di stabilizzazione imposti dal Fondo Monetario Internazionale, e dalla ricerca di una maggiore integrazione interna per far fronte alla progressiva liberalizzazione del commercio globale.

Il Mercosur (insieme ad altre associazioni regionali come, ad esempio, il Patto Andino) nasce con l’intenzione di favorire gli scambi interregionali, alla ricerca di una maggiore integrazione che potesse portare ad una maggiore produttività e competitività sui mercati internazionali. L’evoluzione di questa associazione non è stata sempre esplosiva, ed ha tuttora difficoltà ad avanzare verso un vero mercato comune (un punto critico è la fissazione della tariffa esterna unica).

Verso la fine degli anni ’90, e in questo inizio di decennio, la spinta verso la liberalizzazione del commercio, a livello globale (soprattutto all’interno del WTO) e regionale, è aumentata spaventosamente, e non risparmia nessun settore dell’attività economica.

Per i paesi latino-americani, l’apertura indiscriminata e immediata alla competizione globale è e sarebbe un disastro, soprattutto per economie che sono storicamente poco competitive in settori ad alto valore aggiunto (settori tecnologici, ma anche manufatturieri), e teoricamente forti proprio in quei settori, come l’agricolo, il tessile e il siderurgico (p.e. Brasile), dove le barriere e i sussidi interni dei paesi occidentali sono maggiori e insuperabili; settori, questi ultimi, che tendono a perdere, storicamente, valore di scambio nei confronti dei primi, come spiegato negli anni ’50 dall’economista argentino Raúl Prebisch.

I programmi di stabilizzazione, privatizzazione e liberalizzazione imposti negli anni ’90 dall’FMI hanno inoltre privato i paesi latinoamericani degli strumenti necessari per potenziare settori economici strategici (telecomunicazioni, risorse naturali, servizi pubblici...), restando esposti alla conquista delle multinazionali straniere, mentre i governi, schiacciati dalla mole di un tuttora pesantissimo debito pubblico esterno, hanno pochissimi margini d’intervento attraverso la spesa pubblica.

PAC transatlatica

Questo è, a grandi linee, lo scenario dove si inserisce ora il progetto di costituire un’area di libero scambio per le Americhe, l’ALCA. I negoziati in corso, cominciati nel 1998, e guidati dagli Stati Uniti, puntano a costituire un mercato comune per il 2005; è inutile sottolineare l’importanza storica di questo progetto, mentre non è affatto scontato affermare che portarlo a termine può provocare dei danni gravissimi alle economie dei paesi latinoamericani, a vantaggio della controparte statunitense. Gli USA, infatti, al momento non hanno ancora offerto una seria proposta (l’ultima è dello scorso febbraio) di smantellare il loro sistema di sussidi agricoli interni, che impedisce l’entrata nel suo mercato dei prodotti latinoamericani, e permette l’esportazione di prodotti statunitensi a prezzi da “dumping”; l’abolizione delle tariffe non è infatti affatto sufficiente.

Inoltre, non sembra previsto un sistema ridistributivo, sul modello ad esempio dei fondi strutturali europei, per compensare le enormi differenze interne alle Americhe.

Il progetto ALCA sembra essere irreversibile, soprattutto perché il costo politico del suo fallimento è troppo grande da sostenere in questo momento per qualsiasi governo americano. La discussione è quindi su come disegnare l’ALCA, ed è qui che il Mercosur, grazie alla forza (malgrado tutto!) di Brasile e Argentina, sta assumendo un ruolo di prim’attore come blocco capace di poter esercitare una seria opposizione agli Stati Uniti; la sua forza contrattuale dipende in gran parte dal suo potere “coagulante” nei confronti degli altri paesi centro e sudamericani. Ed è qui, quasi paradossalmente, che l’UE entra in gioco.

Dal 1999 l’UE ha aperto delle trattative con il Mercosur per un accordo di associazione tra i due organismi. La posta in gioco è evidente: l’UE è il primo partner commerciale del Mercosur, mentre l’ALCA può rappresentare l’arma degli Stati Uniti per proporsi come nuova controparte privilegiata. Le trattative fino ad ora non hanno portato a grandi risultati, ma vanno avanti, e possono mettere in discussione importanti “tabù”.

Il Mercosur ha bisogno di commerciare, e d’altra parte è nato principalmente per questo; e margini per commerciare di più con l’estero ce ne sono. Malgrado il grado d’apertura verso l’estero sia aumentato, il Mercosur non può ancora sfruttare tutte le sue potenzialità per entrare nei mercati internazionali, dato che, merita di essere sottolineato, il grande settore ancora sotto protezione, in Europa e nel mondo, è quello agricolo.

Lo scoglio delle negoziazioni UE-Mercosur è proprio l’agricoltura; il commissario europeo Pascal Lamy non ha né la voglia, né la legittimità per promettere la riduzione o l’abbandono del protezionismo della PAC. Al momento, le richieste europee di liberalizzazione di numerosi settori delle economie Mercosur non sono state bilanciate dalla concessione che questi paesi si aspettano per poter gettare le basi di un accordo: l’accesso ai mercati agricoli europei, e la fine delle esportazioni europee sussidiate.

l’utilità dell’Europa

Dato che anche l’omologo di Lamy negli Stati Uniti, Robert Zoellick, non è più generoso al riguardo, è probabile che la soluzione al dilemma sarà cercata in ambito WTO, ovvero nei negoziati multilaterali.

Ma Lamy sa che prima o poi l’UE dovrà concedere qualcosa: gli Stati Uniti hanno una forza contrattuale maggiore, e una legittimità, grazie al meccanismo del fast track (che impedisce al Congresso di emendare il pacchetto degli accordi, ma solo di bocciarli in blocco) di gran lunga superiore. Cincischiare può essere pericoloso, e perciò l’ora dei sacrifici, per l’Europa, potrebbe essere anticipata, concedendo oggi aperture che sarebbero compensate con il consolidamento della partnership con il Mercosur e l’America Latina.

La forza del Brasile e il carisma di Lula possono essere il motore di una riforma interna della PAC che possa portare, con un effetto a catena, ad un accordo soddisfacente UE-Mercosur, alla crescita di quest’ultimo come blocco guida in America Latina, per un eventuale accordo altrettanto soddisfacente per la costituzione, probabile, dell’ALCA in due-tre anni. Gli Stati Uniti sarebbero così messi sotto una micidiale pressione anche in sede di WTO, dove il tema agricolo è nell’agenda dell’ultimo round iniziato a Doha. L’ostacolo è, come sempre, la resistenza delle lobby agricole europee, con il loro efficace pressing sui governi moderati (e non) europei. I discorsi di amicizia, solidarietà, speranza per le sorti di nazioni tremendamente vicine all’Europa, si infrangono contro il muro di gomma protezionista.

L’aumento delle esportazioni dei paesi latinoamericani sarebbe inoltre una boccata d’ossigeno vitale per queste economie schiacciate dal peso del pagamento dei prestiti internazionali. Il vincolo europeo, per l’America Latina, è sempre molto stretto; dopo secoli di sfruttamento (incluso l’ultimo passato) è forse arrivato per l’Europa il momento di essere utile.