Storia di un lockdown USA e getta
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Pocahontas, la pizza di Joe, l'NBA, Bryant Park e Francesco Totti. Cosa c'entra tutto questo con il lockdown americano per il COVID-19? Ecco come si vive la quarantena a New York da italiani. E, soprattutto, come si sogna che finisca (completamente).
"You cannot stop New York City". Quella scritta su muri, cartoline e sullo schermo del mio telefono - 24 lettere incorniciate da un asimmetrico cuore nero -, è stata smascherata: era una bugia dunque? O un’ illusione? O una vecchia certezza data per scontata? Di fronte al COVID-19, anche la Grande Mela si è dovuta arrendere, come la più fiammante delle formula 1 costretta a un inimmaginabile pit stop forzato. E, sinceramente, questa sosta sembra essere tutto fuorché agli sgoccioli. Così, mentre finalmente il resto del mondo è di nuovo sceso in pista, è proprio la città che non dorme mai a rimanere parzialmente intrappolata ai box: gira quasi a vuoto le ruote, respira l'odore dell'asfalto, può solo immaginare la bandiera a scacchi finale.
Il piano B dell'ultimo minuto fa affidamento sull'invenzione più magica del mondo: la televisione
Perché? Si potrebbe dire che irriverente, impulsiva e indomabile qual è, la città non abbia ancora conquistato totalmente la fiducia del governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo. Quest’ultimo, in accordo con il sindaco, Bill de Blasio, ha fatto iniziare la Phase One - quella di lenta riapertura - l'8 di giugno. E così, da più veloce in pista, oggi New York City segna il giro più lento. Sono infatti 7 (su 10) le regioni dell’omonimo stato americano (New York City fa circoscrizione a sè) che la precedono. Questi territori avevano cominciato a scaldare i motori già precedentemente.
In attesa del semaforo verde definitivo, intanto ecco quello che sarebbe potuto succedere durante una qualsiasi quarantena statunitense - e quello che è in realtà successo.
Quarantine, made in USA
Sarei dovuta andare a Chicago. Avrei finalmente potuto partecipare alla faida più antica e discussa d'America: la vera pizza è Chicago style o New York style? In un angolo del ring, una torta rustica in piena regola, alta 5 cm e affogata in chili di formaggio filante e salsa di pomodoro. All'angolo opposto, crosta fina e croccante, il trancio da passeggio di Joe’s o, per evitare la chilometrica fila d’attesa, quello da 99 cents, molto più promettente di quanto non sembri. Anche se non avevo ancora prenotato il volo, lo spirito era già partito, in prima classe, ovviamente.
Nel parcheggio della scuola media a due passi da casa, scorgo quattro ragazze, ciascuna delle quali buffamente seduta o arrampicata sulla propria macchina.
Il piano B dell'ultimo minuto fa affidamento sull'invenzione più magica del mondo: la televisione. Sintonizzata sulla abc, ore 20 pm, non aspetto altro che l'inizio dell'evento dell'anno: il Disney Family Singalong!, un karaoke con guest stars del calibro di Beyoncé e Christina Aguilera, per un tuffo nel mondo dell’infanzia idilliaca. Del resto, chi meglio di Pocahontas, Mulan e Il Re Leone potrebbe risollevare milioni di animi invecchiati dalla noia e da un’asfissiante preoccupazione? A pensarci bene, però, il paese che corre tra le braccia calde e rassicuranti di Walt Disney, e, quindi, nel suo mondo di topi, di nani e di principi azzurri, alla disperata ricerca di un po' di consolazione, è lo stesso il cui Presidente suggerisce una bella iniezione di disinfettante in corpo come soluzione al coronavirus… Destabilizzante, vero?
Cantare “We’re all in this together” lasciando vergognosamente rivivere la bambina che è in me, è solo uno dei tanti passatempi testati e approvati. Un altro degno di nota, è la passeggiata quotidiana nel mio quartiere, il classico set di Desperate Housewives, Pretty Little Liars o dei The Simpson: a voi la scelta. Qui, la libertà di movimento non è stata ostacolata da nessuna autocertificazione e sì, “lockdown” era la parola d’ordine, ma non abbiamo mai dovuto rinunciare al desiderio proibito di tutti: la boccata d’aria fresca - all’ora del tramonto, un po’ prima o un po’ dopo, senza mascherina, tanto non incontro nessuno.
Il giorno in cui noto per la prima volta il più banale effetto del virus, la mia bolla di sapone scoppia, lasciandomi frastornata. I pochi sorrisi cordiali che incontravo non ci sono più, scomparsi dietro spaventosi incappucciamenti da banditi. Devo per forza nascondere quattro anni di sedia reclinata dal dentista dietro un pezzo di stoffa? La risposta, lo so, è “yes, of course!”. Appena me ne convinco, il vento di primavera porta con sé passeggiate non più così solitarie. Nel parcheggio della scuola media a due passi da casa, scorgo quattro ragazze, ciascuna delle quali buffamente seduta o arrampicata sulla propria macchina. Per un attimo, mi illudo di sentire gridare “Cut!". Cerco con lo sguardo il regista di Quattro amiche e un paio di jeans, ma non lo trovo... Non sono in un film! Completamente ignari dell’originale sleepover in atto, nel campetto da basket, aspiranti professionisti da NBA tentano il tiro da 3 punti - la rete del canestro è l'unica ad avere uno spiccato senso civico: solo lei rispetta i 6 feet di distanza. Sono confusa... È tutto finito? È finalmente ora della quiete dopo la tempesta? Se mi limitassi a guardare le foto di Central Park che circolano in rete, sembrerebbe proprio così. Nel primo weekend di maggio, ancora in pieno lockdown e grave emergenza, Sheep Meadow, una delle tante aree del parco più famoso del mondo, è preso d'assalto da assetati di tintarella e frisbee. Nemmeno lo stadio Olimpico di Roma era così affollato in occasione dell’addio di Francesco Totti. Intanto, a NYC, 170mila casi confermati di COVID-19 e più di 13mila vittime (i numeri non smettono di crescere). Eppure, a quanto pare, “più vicini si sta, meglio è”, pelle esposta ai raggi del sole e mascherine sbadatamente dimenticate o gentilmente rifiutate. A ben pensarci, queste persone, così spensierate e felici, dovrebbero essere studiate in laboratorio: hanno il superpotere di uscire di casa e non contagiare né essere contagiate (sic!). Del resto, chi altro poteva salvare il mondo, se non gli Avengers?
Tentazioni da lockdown
Eppure, la tentazione di raggiungere quegli incoscienti è tanta. Voglio esserlo anch’io. Il fischio del treno che sfreccia verso Grand Central, ore 7:12 pm in punto, è un promemoria quotidiano, il canto delle sirene a cui Ulisse vuole resistere, una dolce tortura. Per fortuna, lo spirito può quello che al corpo è proibito. Così, senza uscire di casa, seduta sul divano a gambe incrociate, sfoglio le gigantesche pagine del New York Times aperte sulle ginocchia. Mi perdo in quel rito che sporca i miei polpastrelli di nero di stampa. Con l’immaginazione, faccio così la mia passeggiata tra le strade di NY, con un sacchetto di nocciole caramellate in mano e un burrito extra tutto ad aspettarmi dal messicano Chipotle.
Quando smetto di sognare a occhi aperti, inizio a leggere veramente
Arrivo alla Public Library, al semaforo costantemente rosso tra la 42nd street e 5th Avenue, ed eccomi di fronte alla decisione più importante della giornata: su, giù o sempre dritto? La gloriosa scalinata del Met, l’elettricità di Greenwich Village o l'erba verde di Bryant Park? Rischio di essere investita o di scontrarmi con qualcuno, solo per il vizio di camminare con il naso all’insù. Rifiuto il tour della città offerto da uno dei tanti giubbotti rossi, sento la metro volare sotto le grate che fumano, corro in stazione per il treno di ritorno. Ma, anche se dovessi perderlo, chissenefrega, sono a NY, non c’è fretta di tornare a casa.
Back to Black
Quando smetto di sognare a occhi aperti, inizio a leggere veramente. Leggo del valletto del Presidente risultato positivo al virus, della sindrome di Kawasaki, che in preda ad una spiccata mania di protagonismo, si sbraccia per attirare tutta l’attenzione che può, dell'appuntamento quotidiano alle finestre - ore 7pm in punto -, per un applauso che, almeno qui, non si è ancora spento. Leggo di Frozen, il primo spettacolo di Broadway che non alzerà il sipario dopo l’epidemia, (Cancelled), del processo di lento reopening rimandato, ancora una volta, un po' più in là, della possibilità di tornare a camminare scalzi, fare il risvolto ai jeans e godersi qualche spiaggia del New Jersey per il Memorial Day weekend, per tutti l'anticipato e ufficioso inizio dell’estate.
La prima pagina del Times di una domenica qualsiasi grida: “We need America”.Tre semplici parole che non sono soltanto un grido d'aiuto, ma anche una luce di speranza. Il sottotitolo è un'appassionata incitazione a emergere più forti da queste ore buie, come già è stato fatto in passato, dopo l’11 settembre, l'uragano Sandy … Non si può dire che non abbiano la pelle dura da queste parti. Eppure, mai come ora, si ha la sensazione che il virus abbia fatto tremare quella che, per incessante passaparola o convinzione comune, è considerata “the best country in the world”, la terra sacra di “Yes, I can” e “I have a dream”. Il COVID-19 ha spazzato via l’illusione di un’invincibilità degna dei film della Marvel. Perché, inutile negarlo, l'America è sempre stata un mito intoccabile, dentro e fuori i confini delle sue stelle e strisce. Ma del resto i miti, ho scoperto, esistono per per essere umanizzati. O per divinizzare qualcosa di profano. Vedi alla voce “chicken and waffles”... Viene voglia di cambiare culto, eh?