Sting e Shaggy: intervista all'improbabile coppia
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Grandi cose accadono a chi sa aspettare. A sorpresa, Sting e Sahggy hanno appena fatto uscire "44/876" un album insieme. In anteprima alle loro note giamaicane, abbiamo intervistato il duo in una mezz'ora surreale.
Mi ritrovo a canticchiare lo stesso motivetto sotto voce mentre cammino per gli Champs-Élysées, con il quaderno in mano pieno di domande. Stranamente per quel che mi riguarda (ma stranamente per la maggior parte delle persone, credo), la canzone che sto canticchiando è una delle nuove hit di Sting e Shaggy. La coppia ha appena lanciato il nuovo e inatteso album 44/876. Nella canzone, Sting sogna di nuotare nel “mare Caraibico” e Shaggy replica con un generoso: “Vieni a passare un po’ di tempo qui, in famiglia”.
Il giorno prima, il telefono aveva squillato e c’era un messaggio dal mio editor: “Se sei interessato a fare un po’ di esperienza con un nuovo articolo, domani ci sarà una tavola rotonda con Sting e Shaggy alle 17.30. Faranno uscire un album. Potrebbe essere divertente, sei interessato?” Era la prima volta che mi mettevo in gioco, ma ho risposto subito: “ Si sarebbe davvero fantastico. Ci sto.” Non la risposta più entusiasta che potessi dare, lo ammetto, ma il mio nome è andato dritto sulla lista.
All’improvviso, grazie ad un colpo di scena alquanto bizzarro, mi ritrovo seduto al tavolo della cucina con l’impensabile compito di preparare domande per Gordon “Sting” Sumner, frontman e bassista dei The Police e vincitore di ben 16 Grammy, e Orville “Shaggy” Burrell, l’uomo che ha regalato al mondo “Mr. Boombastic” e “It Wasn’t Me”. (Un attimo di silenzio per l’altro ragazzo che c’è nella canzone, Rikrok, che non veniva neanche menzionato. Che incubo per Rikrok.)
“Stiamo scherzando?”
La storia continua così: all’inizio Sting doveva comparire come seconda voce in una sola delle nuove canzoni di Shaggy, ma si sono trovati così bene che hanno deciso di collaborare e fare un album. Fino ad allora, si conoscevano a malapena. Sting, che vanta una storia di collaborazioni notevoli con artisti come e Mary J. Blige, Bryan Adams and Craig David, aveva rilasciato il suo ultimo album 57th& 9 th nel 2016 accolto con pareri contrastanti. È stato il suo primo album rock dopo 13 anni. L’ultimo album di Shaggy Summer in Kingston, rilasciato nel 2011, aveva raggiunto la posizione numero 141 nelle classifiche americane.
Dopo essersi esibiti con il loro nuovo singolo “Don’t Make Me Wait” sia ai Grammy che durante lo show di riscaldamento del Superbowl, Shaggy e Sting stanno girando l’Europa per promuovere 44/876. Con me ci saranno altri due giornalisti, uno di PureCharts.fr e l’altro di una stazione radio reggae che si chiama Party Time (non ho mai sentito parlare di nessuna delle due). Abbiamo a disposizione un’ora per parlare con loro.
Ho 24 ore per preparare l’intervista. La prima cosa che faccio è cercare su Google il loro nuovo singolo per vedere se è stato scritto qualcosa riguardo a questa assurda collaborazione. C’è un articolo intero sul sito di Billboard, un inserto dietro-le-quinte-belli-rilassati-in-studio su Rolling Stone, e due paragrafi su Spin che fanno notare che la chitarra elettrica di Sting nel video è scollegata mentre lui se ne sta vicino a Shaggy a strimpellare sul cofano di una Jeep. “Ma scherziamo?” È così che termina l’articolo.
Molte delle recensioni descrivono la musica come “influenzata dall’isola”, o “con influenze Caraibiche”, un modo eufemistico per evitare di chiamarlo reggae, forse perché nessuno sa bene come definire quello che sta succedendo. Sting che guida per le strade di Kingston in un 4x4 decappottabile è effettivamente molto strano. Più tardi, quando mostro il video agli amici, le reazioni generali vanno dallavergogna al guardare da un’altra parte. Poi continuo a leggere la cartella stampa. Le foto sono ottime. Loro due sulle moto sembrano proprio una coppia da non sottovalutare. Ma non capisco cosa succeda in questa seconda immagine.
C’è una porzione abbastanza grande in questa cartella stampa dove Shaggy è descritto come “la definizione di un uomo del Rinascimento” e poi come “umile”. Scopro che 44/876, che sono i prefissi internazionali per il Regno Unito e la Giamaica (cosa che comunque non lo rende un nome meno terribile), neanche a farlo apposta uscirà il 20 aprile, anche conosciuto come la Giornata Mondiale della Cannabis. Strategie commerciali da paura, ragazzi.
Cilindri e pelle bianca
Chiamo il mio editor mentre mi reco all’intervista. Le istruzioni sono chiare: smuovi un po’ le cose, prendili in giro e fai domande strane. In pratica, punzecchia i due nonnetti e vedi quello che si inventano. Semplice, no?
All’entrata dell’Hotel Royal Monceau, c’è un portiere con un cilindro e una giacca da marinaio. È quel genere di posto dove i papà e le ragazzine si fanno i selfie con i macchinoni parcheggiati, probabilmente indossando dei gilet. A un minuto di distanza, in cima alla strada, c’è l’Arco di Trionfo, rigido e immerso nella luce del crepuscolo. Cammino fino al tavolo in mogano della reception. La receptionist alza lo sguardo dallo schermo e dice: “Sei qui per l’intervista con Sting?” sorrido. L’interno è tutto cromato e con moquette a pelo lungo. Odora di una colonia delicata e costosa. Salgo di un piano e, dopo aver attraversato un inferno di sculture di legno di alci, arrivo in una stanza con le pareti di legno scuro, quattro sedie di pelle bianca e un sofà abbinato. Odora di tappeto. C’è un mobiletto nell’angolo con una selezione arbitraria di bustine di tè e bustine di zucchero. Tre uomini e una donna stanno chiacchierando.
Nina della Polydor Record si presenta, e mi indica le bevande. Sembra carina. Mentre mi verso dell’acqua frizzante, mi presento a Judah, un ragazzo bianco alto con i rasta e un berretto. Mi presenta il suo amico Flo, che ha i capelli più corti e una camera che gli ciondola dal collo. Sono della radio Party Time, dice Judah. Lui è francese, ma dal suo inglese si intuisce che è stato a lungo ai Caraibi.
Mi siedo accanto a un ragazzo biondo, l’altro giornalista. Si chiama Yohan, ed è di PureCharts.fr. Si è messo in tiro per la grande occasione, tutto in jeans, cosa che rispetto molto. Judah e io siamo nel bel mezzo di una spiegazione, gli stiamo dicendo che il 20 aprile è la Giornata Mondiale della Cannabis, quando Shaggy entra. Smettiamo di parlare e lo guardiamo. Indossa una maglietta a scacchi rossa e nera sfilacciata al fondo, degli stivali marroni, e una giacca di pelle nera. Analizza la stanza e si rivolge a Nina, chiedendole dove sia Sting. “Sta arrivando,” dice lei. Con un sorrisetto in viso, Shaggy replica con un: “Fanculo a quell’uomo!” Ridiamo tutti. Dopo che Yohan stringe la mano a Shaggy, io faccio lo stesso: “Piacere di conoscerti Shagg”. Queste parole, uscite dalla mia bocca, suonano abbastanza ridicole. Gli occhi di Shaggy si rivolgono poi a Judah e si presenta con un informale “Wagwan (ndt. versione informale per dire “Come va?” che deriva dall’inglese giamaicano), generale?” Judah, come si può immaginare, è assai contento. I due poi rievocano una notte brava che Shaggy ha passato con Party Time durante una precedente visita a Parigi.
Entra Sting, che indossa un lungo cardigan grigio, jeans attillati e un paio di quelle scarpe da ginnastica senza marca che indossano le celebrità. “Piacere di conoscerti Sting”, dico io, incapace di togliermi l’abitudine. Stringe le mani a tutti. Ci sediamo e ci sistemiamo in quelle sedie di pelle bianca che odorano di nuovo. Shaggy ci sorride: “Questa è roba da gangster”. Si vede che sta patendo il jet-lag, ma sta chiaramente cercando di metterci tutti a nostro agio. Nina se ne sta in fondo alla stanza. Ci sediamo ai due lai di un tavolino, anche quello di pelle bianca, e Shaggy e Sting condividono il divano dando le spalle alla strada.
BFFs
Controllo per la seconda volta il telefono per assicurarmi che stia registrano, e nel frattempo sorseggio la mia acqua frizzante. L’intervista inizia con un po’ di banalità da entrambe le parti. Chiedo dove hanno avuto i feedback migliori alla collaborazione. “In Giamaica sono entusiasti”, dice Shaggy, “In Canada l’hanno presa bene. Siamo numero uno in Polonia. Penso che siamo numero sette in…” “Italia” dice Sting. Si rilassano nella rispettiva metà del divano mentre Sting gioca con le maniche di lana del suo cardigan. Shaggy incrocia le gambe.
Si parte: “Per tutti coloro che si stanno chiedendo ‘che sta succedendo’,” dico io, “che sta succedendo?” È la prima domanda della mia lista. L’idea è di cominciare con domande tranquille per metterli a proprio agio per poi iniziare a fare domande più strane, irritandoli un pochino. Rispondono sinceramente: “E’ un qualcosa di perfetto perché io amo le sorprese”, dice Sting. “Se non ti sorprendi, allora ti annoi. E questo è l’opposto di sorpreso.” Mi distraggo un attimo perché non sono sicuro che quello sia l’opposto. Sting si concentra subito sul fatto che la loro collaborazione sia assurda nel senso che quando le persone ascoltano effettivamente le loro canzoni, si rendono conto che non è poi nulla di così ridicolo. “Sono sicuro che hai fatto le tue ricerche,” risponde Shaggy. “Ci puoi contare” annuisco. Ma non è vero. Esclusi Billboard e Rolling Stone, ho solo letto di persone che deridono Sting. Mi rendo conto solo ora che gli altri giornalisti non stanno facendo domande, per qualche strana ragione. Sembra una chiacchierata tra me, Orville e Gordon..
“Non so se hai avuto modo di vedere la nostra performance ai Grammy recentemente” chiede Shaggy, piegandosi in avanti, le braccia sulle ginocchia. Mormoro un “mmmm”. Era un mash-up di “Don’t Make Me Wait” e “Englishman in New York”. All’inizio della cerimonia comparivano in un episodio del car pool karaoke con James Corden, in un’edizione speciale nella metropolitana di New York. Shaggy continua: “Volevano passarci in prima serata ai Grammy. Il reggae non passa mai in prima serata. I Grammy reggae non sono mai andati in onda.” Sting sussurra un semplice “magari l’anno prossimo” per mostrare un po’ di supporto alla sua controparte Giamaicana. C’è una discrepanza tra come loro pensano che il singolo sia stato recepito e quello che ho letto, per non parlare delle reazioni dei miei amici. In più, la doppia apparizione ai Grammy non è stata affatto ben vista. Non sono neanche stati nominati per qualche premio, e molti critici hanno detto che invece avrebbe dovuto esibirsi la cantante Lorde, l’unica donna nominata nella categoria “Album dell’anno”. L’ultimo Grammy Sting se lo è aggiudicato nel 2006; Shaggy aveva vinto un premio una volta, dieci anni prima, nella categoria ‘Miglior Album Reggae’. Probabilmente non sono l’unico che si sta preparando a scrivere beffardamente di questa collaborazione, almeno così credo. Mi sento in colpa per un attimo. Ma poi Sting inizia a parlare di politica.
Ha un leggero accento Geordie e sembra che abbia un po’ di raffreddore. “C’è un detto: ‘Se non ti batti per qualcosa, qualcosa ti batterà.’Così a un certo punto devi far sentire la tua voce. È così che si provocano i cambiamenti”, ci dice Sting. Chiedo se l’album voglia trasmettere un forte messaggio politico, cercando di spingere per una risposta da poter poi prendere in giro nel mio articolo. Gli altri giornalisti continuano a stare zitti e fermi, eccezion fatta per la risata occasionale. Flo non ha scattato neanche una foto. “Il messaggio c'è sicuramente, e lo trovi una volta che ti sei goduto il ritmo,” dice Sting, con una smorfia curiosa, “ma di cosa cantano?” Continua dicendo che per quanto riguarda la Brexit ha votato per restare e parla di quanto la trovi deprimente. Ridacchiamo tutti quando dà dell’idiota a Donald Trump.
Shaggy ti guarda dritto negli occhi quando gli fai una domanda. Yohan chiede alla coppia se è stato facile lavorare insieme, il tuo tutto-jeans funziona perfettamente con la pelle bianca attorno. “Lui è molto, molto meticoloso” dice Shaggy. “Pignolo”, lo corregge Sting. Rido rumorosamente, i ragazzi francesi no. Mi rilasso sulla sedia. Ora sembra proprio che io trovi estremamente divertente qualsiasi cosa relativa alla parola “ano”. Come no.
Quando si sono incontrati, la coppia ha subito legato grazie all’amore comune per la Giamaica. Shaggy, che ha raccolto decine di milioni per gli enti di beneficienza locali, è un eroe per l’isola. E Sting, che ha passato un sacco di tempo lì negli anni ’80, ha scritto “Every BreathYou Take” nella casa in Giamaica di Ian Fleming, GoldenEye, alla stessa scrivania dove quest’ultimo ha scritto i libri di James Bond. A gennaio si sono esibiti insieme con “Don’t Make Me Wait” per la prima volta durante un concerto di beneficienza che Shaggy aveva organizzato per un ospedale di bambini. Sting non tornava lì da 20 anni.
“Mi sono sentito sempre come in debito con quell’isola”, dice lui, “il reggae ha rappresentato una grande influenza sulla musica dei The Police. Tornare è stato un po’ come ripagare quel debito.” definisce Shaggy “il Papa della Giamaica”. Percepisco l’affetto che i due provano l’uno per l’altro, e mi immergo nell’oceano delle domande personali: “Qual è la cosa che preferite l’uno dell’altro?” Sting è pronto a rispondere. “Adoro la sua energia… si preoccupa di chiunque sia nella stanza. Entri in una stanza e se qualcuno non è a suo agio si concentra su quella persona per assicurarsi che stia bene,” dice ridendo. “Di solito sono io a coprire quel ruolo.” È il turno di Shaggy: “Per quel che mi riguarda, è l’umiltà. Questo tizio è una cavolo di superstar. In Giamaica, a Kingston, l’ho visto camminare con le persone e parlarci, non solo farsi le foto [con loro] … Non è facile trovare altre persone del suo calibro che farebbero una cosa del genere.” Sting gli sorride e lo ringrazia.
Una teoria del complotto reggae
La mia penultima domanda pungente si è appena trasformata in un momento romantico in cui i due amici si complimentano a vicenda. Provo con l’ultima: “Che cosa volete far passare rilasciando l’album il 20 aprile?” Cospirativamente, Shaggy risponde che è “solo un bel giorno da ricordare.” Scettico, io chiedo se è perché sono entrambi grandi fumatori di erba. Sting sorride: “E’ una bomba di avventura.” (Capito?) E poi, dal nulla, Judah - che ha fatto una sola domanda in questi 25 minuti – si sporge in avanti e se ne viene fuori con questo:
“Ho notato alcuni segnali”, inizia, prima lentamente. “Entrambi avete delle grandi hit che contengono nomi di donna, ‘Oh Carolina’ e ‘Roxanne’. I vostri ultimi album, che hanno avuto un enorme successo, contengono dei numeri nei titoli, e anche questo qui. Mi hanno mandato alcune tracce per email. Le tracce sono sette, e questo è una specie di numero d’oro”. Judah è ormai entrato nel vivo, gesticola:
“Don’t Make Me Wait’ è una canzone d’amore… Bob Marley ha scritto una canzone chiamata ‘Waiting in Vain’, e questo è il mese del suo compleanno. È un altro dettaglio mistico, no?… Quindi, ci credete o no nei segnali mistici?”
C’è un attimo di silenzio. “Ci siamo resi conto giusto oggi che per entrambi questo è il 13esimo album”, dice Sting, “non lo sapevamo”. Rinvigorito, Judah continua: “Vedete? La prima lettera di entrambi i vostri nomi è la S.” Con un rumoroso “oh merda!” Shaggy scoppia a ridere, colpendosi la coscia. Da questo momento, Judah comincia a darci dentro: “C’è un importante festival in Giamaica che si chiama Sting”. Shaggy lo incoraggia a continuare, dicendo che anche il produttore si chiama Sting (ed. il produttore di Shaggy si chiama davvero Sting International). Sting interviene dicendo che la filippica di Judah sembra ideata da Dan Brown. Io rido, e anche lui. Judah insiste: “Shaggy è l’unico che possa portare i The Police in Giamaica senza essere toccato.” Shaggy ride davvero. Ormai, arrivati a questo punto, credo che Judah stia improvvisando. Bei giochi di parole, ma sta cominciando a suonare un po’ strano. All’improvviso Shaggy urla: “Babilonia!” Penso sia esattamente questo il momento in cui Judah si rende conto che le nostre risate sono dirette più a lui che alla sua teoria. Se ne sta in silenzio per un po’ (scusa Judah). Shaggy dice gentilmente: “Sapete una cosa, effettivamente c’è della magia in tutto questo.”
Ed è così che termina la mezz’ora a nostra disposizione. Ci alziamo e facciamo qualche foto, ci stringiamo le mani e usciamo uno dopo l’altro. Accanto alla stanza piena di mammiferi di legno, gli agenti della coppia stanno chiacchierando. Chiedo a Nina perché abbia scelto proprio i nostri organi di stampa. Dice che ci ha scelti per i nostri rispettivi pubblici, e perché voleva che fosse qualcosa di intimo. Non sono convinto. Non mi sembra proprio che di sotto stiano mandando via Le Monde, e dubito che i loro lettori non vedano l’ora di leggere questa intervista.
Mi domando se parte di tutto questo non sia dovuto al fatto che Sting e Shaggy sono un po’ fuori moda; le persone tendono a non tifare per loro in ogni caso. Già li vedo chiaramente come bersaglio in uno show sui ‘Momenti più Divertenti del 2018’; uno spocchioso, barbuto comico inglese che gracchia “a cosa stavano pensando?” Il pubblico in studio in preda all’isteria. “Cosa pensa della loro musica?” Chiedo a Nina. “La adoro”, dice lei. Scendo le scale e esco dall’hotel pieno di specchi, con i suoi profondissimi tappeti e i tranquilli uomini che odorano di muschio ad aprire ogni porta che attraverso. Sugli Champs-Elisées, le luci dei ristoranti illuminano la strada e l’Arco di Trionfo è fottutamente meraviglioso.
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Translated from Shaggy and Sting: My half hour with a baffling duo