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Stanislaw Mucha: documentari contro Bruxelles

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Default profile picture francesca genovese

La ricerca cinematografica del centro geografico dell’Europa ha portato Stanislaw Mucha in un’odissea attraverso il vecchio continente. Tra sigarette e caffè il documentarista polacco trapiantato in Germania racconta la sua esperienza.

«Sei felice? Che cos’è per te la cosa più importante nella vita? E quella meno importante?». È con queste domande che Stanislaw Mucha mi saluta, poi beve un sorso di caffè. Sono domande che gli si addicono alla perfezione. Chi ha visto il suo ultimo documentario, Il centro dell’Europa, conosce bene la grande capacità del regista polacco che vive in Germania di colpire al centro e trattare l’essenziale. Dopo avergli rigirato il gioco di domanda e risposta, scopro che queste sono esattamente le stesse domande che ha posto alle persone incontrate durante i suoi viaggi. «Mi sono detto che per sapere dov’è il centro bisogna prima conoscere i confini…», afferma Mucha con gli occhi che brillano di entusiasmo in un volto ancora un po’ assonnato. Sono le 10,30 di un mercoledì mattina nel centro di Berlino, e forse Stanislaw Mucha avrebbe avuto bisogno di un altro paio d’ore di sonno. Tuttavia sembra soddisfatto, come uno che almeno ha trovato il suo di centro – se non già quello dell’Europa…

Il centro si trova nei paesini della Boemia

Il centro dell’Europa mostra la ricerca del centro geografico dell’Europa. Per due anni Mucha ha viaggiato in lungo e in largo per l’Europa centrorientale, in luoghi «per lo più dimenticati da Dio», ma tutti con la pretesa di trovarsi nel fatidico centro. In Polonia si è sentito dire da un sindaco ubriaco che se la sarebbe fatta nei pantaloni piuttosto di trovare il centro. «Su una delle due cose ha avuto ragione», dice ammiccando significativamente. Nel suo documentario mostra il lato umano dell’allargamento ad est dell’Ue. Adesso viene definito come “il Michael Moore dell’Europa dell’Est”, ma il paragone lo spaventa: «ma allora sono ingrassato di almeno 10 chili!». Non si ricorda più perché è diventato regista. «È andata a finire così». Da 10 anni vive in Germania. Ha studiato regia a « Konrad Wolf » l’Istituto Superiore per la Cinematografia e la Televisione di Postdam-Babelsberg. Per frequentare la scuola cinematografica ha lasciato Cracovia, dove aveva un ingaggio fisso come attore al Teatro Vecchio. «Non è stata una scelta facile», racconta Mucha. Ma oggi può vantare una serie di premi, tra cui il Premio Adolf Grimme per il suo documentario Absolut Warhola.

Produce i suoi documentari per se stesso – e contro Bruxelles. «Il centro dell’Europa per me è un attacco all’Europa istituzionale». Giudica però limitate le sue possibilità di esercitare un influsso positivo sui burocratici di Bruxelles. Eppure in occasione di una proiezione del suo film Mucha è stato anche con il Parlamento europeo: «era strapieno. È stato un incontro organizzato in collaborazione con l’emittente televisiva ZDF. Ma l’ho trovato estremamente noioso alla fine».

Nella foresta primordiale polacca

È in Reality Shock, il suo terzo documentario della trilogia dedicata all’Europa, che Mucha tratta con il suo stile inconfondibile il tema dell’allargamento ad est dell’Ue. «Nel documentario viviamo nel bel mezzo della foresta vergine polacca il momento dell’allargamento ad est dell’Ue, l’1 maggio 2004; nel documentario atterra anche un ufo. In fondo si tratta di una metafora dell’allargamento Ue, che è qualcosa che arriva dall’alto». Anche se ritiene che l’allargamento sia l’unica strada possibile per l’Europa – per trovare un equilibrio e creare qualcosa di vivo ed emozionante - Mucha critica la mancanza di un avvicinamento reciproco: «Si calpesta la gente con l’allargamento ad est. E questo mi fa letteralmente infuriare». Ma proprio adirato poi non sembra. Tuttavia si è deciso: l’argomento Europa è archiviato.

Stufo dell’Europa

«Adesso che ho completato la mia trilogia sono proprio stufo dell’Europa», sostiene Mucha. «A poco a poco hanno fatto di me un esperto in questo campo». Un’altra cosa che lo infastidisce è il dibattito sulla questione se si possa ridere o meno in un documentario. Essere vicini alle persone, per lui è questo che conta di più in fondo: «mi interessa veramente la sfera personale, ma è difficile riprodurla in un documentario». Adesso mi piacerebbe lavorare con degli attori. Nei film, per lui, gli attori vengono pagati per lasciare che la telecamera si avvicini a loro: «Un lavoro è un lavoro, loro fanno questo».

In partenza per nuovi lidi. Stanislaw Mucha sta ben lontano dalla bella vita, in casa nel castello con il suo cane di razza Carlino al guinzaglio. Nel castello?! Sì, perché sei anni fa una baronessa bavarese lo ha invitato a trasferirsi nel castello Gumpertsreuth nei pressi del villaggio di Hof. «Siamo in pochi a possedere un Carlino e ci conosciamo tutti», dice sorridendo e ordina una tazza di Earl Gray. Il suo primo lungometraggio si intitolerà Speranza, «adesso mi sento pronto psicologicamente, ora ho qualcosa da dire». Ma non vuole ancora svelare niente sul film. Se non che verrà girato in Polonia, a Varsavia, dove al giorno d’oggi è difficile sperare. «Il copione è davvero emozionante perché ha tutti gli elementi di un film con effetti speciali, senza esserlo». Stanislaw Mucha ci tiene a rimanere uno che non si lascia etichettare facilmente, e che ama i contrasti. Questo è evidente ad esempio nella sua concezione del centro e i confini dell’Europa, ma anche nel suo modo di raccontare entusiasta l’aneddoto di una cameriera che si era confidata con lui, dicendogli di non volere poi tanto dal marito, semplicemente tutto. La sua città preferita è Varsavia, «città di contraddizioni». Varsavia è diventata quello che un paio di anni fa aveva sperato di trovare a Berlino: una città multiculturale. Ma poi per questo Berlino ha quello che manca all’intera Europa: un centro.

Translated from Stanislaw Mucha: Filmen gegen Brüssel