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Spira Mirabilis ovvero materia mirabilis 

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Torino

Presentato a Venezia, il film di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti è un'attenta ricerca sul materiale che serve per contemplare, non per intrattenere.

La spira mirabilis è una “spirale meravigliosa” che in natura si trova nei luoghi più diversi, dalle conchiglie alle galassie. È metafora di un’infinità a tre dimensioni: al di là di rette o circonferenze, è simile piuttosto a un ciclo, a un’evoluzione, e si può vedere anche come una forma di immortalità. Con questa sfumatura l’hanno intesa Massimo D’Anolfi e Martina Parenti nel loro documentario in concorso alla 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, appunto Spira Mirabilis.

Attraverso i quattro elementi, più il quinto aristotelico dell’etere, i due registi hanno cercato di catturare l’immortalità. Il fuoco dei nativi americani Lakota brucia ancora nelle riserve, nell’acqua fluttuano le meduse dello scienziato Shin Kubota, l’aria è necessaria per la costruzione dell’hang e dalla terra si scava il marmo bianco del Duomo di Milano. L’etere invece è rappresentato dalla lettura de L’immortale di Borges. «Quello che ci interessava era provare a raccontare gli uomini che aspirano a qualcosa di superiore», ha detto Martina Parenti. «L’immortalità è un’utopia. Ma qui l’immortalità è declinata nella resistenza, nella rinascita, nella rigenerazione, da un punto di vista sia scientifico che artistico. Tutte queste storie, che non sono separate ma connesse l’una con l’altra, raccontano e declinano l’aspirazione a lasciare qualcosa di se stessi nel tempo, qualcosa di migliore».

Eppure quest’intenzione, così chiara nel titolo, risulta disomogenea nel complesso e alle volte è evocata, alle volte è esplicita, alle volte è metaforica come nella storia dei Lakota. La struttura sembra costruita in fase di montaggio, per analogie o contrasti sensibili, piuttosto che per logica. Non un difetto, sia chiaro.

La forza del film, infatti, non risiede tanto nel vago concetto alla base, quanto nel suo sensibile. Le immagini sono forse la versione più perfetta delle scene riprese: si può restare ammaliati da come Shin Kubota guardi al telescopio, dai movimenti leggiadri e improvvisi, così vitali, di microbi e medusine, dai disegni della polvere sul metallo dell’hang sotto i colpi di martello, dall'umana malinconia delle statue del Duomo stagliate nel cielo di Milano (sequenze queste ultime già proposte dai due registi in L’infinita fabbrica del Duomo). Alla perfezione delle immagini si aggiunge il montaggio del suono con un’andatura leggera che crea continuità e culla nella visione del film. Documentario fratello della videoarte, Spira Mirabilis è una ricerca attenta sul materiale a disposizione. 

È evidente, un film del genere non va visto per farsi intrattenere, ma per contemplare. Secondo Paola Malanga, co-produttrice per Rai Cinema, «questo tipo di cinema oggi è necessario, perché ci regala qualcosa che abbiamo tutti perduto, cioè il tempo». Il film di D’Anolfi e Parenti se si perde nella meraviglia della spirale, si ritrova con forza nella meraviglia dell’osservare.