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Spesa globalizzata

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Torino

Decisamente, devo fare la spesa. Nella mia parte di frigo c’è un pacchetto di prugne secche comprate quasi un anno fa a Porta Palazzo, mezzo pomodoro, mezzo pacchetto di feta e l’immancabile Moretti di sicurezza. E un limone, che, noto, sta spietatamente marcendo. Passo dal Lidl : il latte di soia sedicentesi biologico e le gallette di cartoncino-sembro-riso che ha il Lidl non le ha nessuno.

di Laura Spina

Muesli di tre tipi diversi, marmellata ai lamponi e ai frutti di bosco, carta igienica, doccia schiuma. Con la scorta di latte ho un po’ esagerato, in tutto ho riempito due scatoloni e alla fine pago 24 euro. Davanti a me, in coda, due ragazzi latino-americani palestrati hanno comprato un pacco di corn-flakes da 2 kili e dei Gatorade. Dietro, il classico omino chiacchierone con la lattina di birra. Per fortuna mi ha in simpatia e vigila sulla mia bici (la zona è nota per fagocitare bici a ogni ora del giorno e della notte). Prodotti italiani: zero, penseresti. E invece no. Il riso delle gallette è coltivato nel Vercellese, anche i vasetti di marmellata sembrano venire dalla zona di Verona. Latte di soia: prodotto e confezionato in Italia, Badia Polesine, Rovigo. Muesli e carta igienica arrivano dalla terra di Anghela, il doccia schiuma è Unilever (ahi). Mi carico la spesa sulla bici e la trascino a casa.

Incontro Nikola, il signore rom che suona il sax tra corso Vittorio e via Roma, sabato e domenica mattina compresi. Giovedì parte per la Romania, mi fa capire. Starà via una settimana, deve visitare qualche parente che non sta bene. Scarico gli scatoloni in cucina, mi armo di borse di stoffa e riscendo le scale.

Per frutta e verdura il mercato al pomeriggio non c’è, ma posso andare dalla signora Elsa, accanto alla Sinagoga. L’insegna indica che vende pane di Altamura, e di tutto. Mi piace andare da Elsa intanto perché è lei, alta due centimetri e sempre in pista, cioè sempre in negozio, fino alle 9 di sera ; solo la domenica chiude. Poi mi affascinano i cartelli che scrive sui sacchetti marroni di plastica, inneggianti ai suoi panini leggendari e a quanto sia economico il negozio. Grandi scorte è meglio non farle, perché certe verdure sono a un passo dall’essere più di là che di qua, ma il prezzo è equo. Mi accaparro, con grande gioia di Elsa, un melone a 1 euro e 30. Una piccola melanzana femmina (quella che dentro non ha i semi e non pizzica la lingua, mi ha insegnato a riconoscerle un contadino al mercato la scorsa settimana), due peperoni rossi, due pomodori cuore di bue ormai bordeaux, zucchine, kiwi, mele e patatine novelle che mi riempiono le dita di terra. Perché da Elsa ti servi tu, voilà. Due chiacchiere e si va. 7 euro.

Ecco, ho dimenticato il té, sono senza. Magari dai filippini ne hanno. Entro e trovo un signore, filippino, che cerca invano di stappare una birra con i denti. Prima che si stappi i denti con una birra gli offro il mio apribottiglie, che sta sempre attaccato alle chiavi. « Gliel’ho detto che il dentista costa, ma non mi voleva ascoltare » fa la cassiera, un viso elegante e una voce dolce. Le chiedo se hanno del té, e non ce l’hanno. Mi faccio un giro, valuto se comprare del succo di mango ma sta in una lattina e sono scettica, desisto. Chapaghetti, banana sotto vetro, marmellata di ube (una specie di patata viola, dolce). Non cedo, ma mi faccio convincere dallo zenzero : 4 euro al chilo. Ne prendo dei pezzetti : 35 centesimi. Così me li metto nel té nero al mattino, ho deciso.

MiniMarket Internazionale : è lì che vado a cercare il té. E devo prendere del riso da portare domani a cena da quei matti che abitano in via Nizza, proprio all’angolo dove c’è sempre la gente che beve. Mentre guardo i pacchi di riso, un signore pakistano altissimo mi chiede: «Vuoi riso o riso buono?» . «Riso buono», non esito a rispondere, sperando di averla imbroccata. Mi consiglia un riso basmati che avevo già puntato. Mezzo chilo, 2,50 euro. Incappo in palline di sesamo, e penso che un po’ ne posso portare domani sera. Mi fermo di nuovo : sono incappata in delle ostie giganti, da friggere, effetto nuvole di drago. Si chiamano Madras Pappadums, il sottotitolo recita «croccante di legumi». Devono essere mie. Ma queste vanno mangiate con della salsa. Afferro un barattolo di salsa di peperoncino verde, poi chiedo se le due cose vanno bene insieme e vengo misericordiosamente dirottata verso della salsa di mango, lime, peperoncino rosso e verde : « meno piccante ». Fatta in Gran Bretagna. Di té ce n’è in quantità, si può scegliere; accetto il consiglio del quarto commesso: té nero, in bustine a piramide, 100% natural, certificato «Rainforest Alliance» che da quanto si legge sul pacchetto significa che fanno attenzione all’ambiente, alle condizioni di lavoro dei dipendenti e che forniscono accesso a istruzione e cure sanitarie a loro e ai loro familiari. Però il marchio è Unilever, che se non ricordo male non era proprio imparentata con San Francesco. Mi faccio dare anche una bottiglia di olio per friggere i Pappadums, e mi danno un litro di olio di girasole dell’EuroSpin, anche questo arriva dalla zona di Verona. Acchiappo ancora un cartone di succo di frutto della passione e mi ritengo soddisfatta. 14 euro.

Vado a casa e mentre sistemo la spesa ascolto un cd dei BeeGees. Avendolo comprato a Parigi pensavo che i BeeGees cantassero in francese. La globalizzazione confonde, e spesso stupisce.