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Spagna: poche lingue straniere a scuola

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Cultura

I professionisti denunciano la mancanza d’investimenti da parte dei governi in materia di insegnamento delle lingue nelle università europee. Un focus sulla Spagna.

«Lo spagnolo è una delle poche lingue moderne in cui la passeggiata si dà e non si fa (“fare una passeggiata” si dice “dar un paseo”). Un dizionario convenzionale fornisce una definizione abbastanza esatta del suo significato: azione del passeggiare. Ma come possiamo usare questo sostantivo, chi ci avvisa che in castigliano le passeggiate “si danno”?». Con questioni come questa, l’accademico della Real Academia Española de la Lengua, Ignacio Bosque, ha inaugurato il 18 settembre a Siviglia il X° Congresso Internazionale della Confederazione Europea dei Centri Linguistici Universitari (Cercles). Più di 350 specialisti provenienti da una ventina di nazioni hanno partecipato all’evento Language Centres for a Plurilingual Future in Europo, durato fino al 20 settembre. L’accademico ha ribadito più volte durante il suo intervento che la predisposizione all’apprendimento delle lingue, oltre ad essere una necessità curricolare, è una questione culturale: «Se ha la priorità, i risultati si vedono». Le nazioni con un alto numero di “parlanti la propria lingua” hanno di solito un «complesso di autosufficienza» che rallenta l’apprendimento. Olanda e Danimarca devono essere un esempio per altre nazioni come Francia, Inghilterra o Spagna. La lingua, ha aggiunto Ignacio Bosque, è viva e dinamica, e forse, ha sottolineato l’accademico, i dizionari combinatori, che vanno oltre la definizione «puramente denotativa», non rappresentano l’unica soluzione per l’insegnamento delle lingue, «ma sono un tentativo di comprensione e una possibile soluzione per raggiungere i livelli richiesti dall’Ue». Infine ha lanciato un appello all’intraprendenza dei professori consigliando di lasciarsi sorprendere dalla quotidianità e di trasmettere «ciò che non è nei libri».

Processo di Bologna: nessuno ci crede

Fin dalla fondazione nel 1991, Cercles riunisce ogni due anni accademici europei che si occupano di linguistica. L’obiettivo principale del 2008 è stabilire un intercambio permanente d’idee attraverso un collegamento tra le istituzioni universitarie volto ad affrontare i cambiamenti che seguiranno la completa applicazione del Processo di Bologna nell’ambito dell’apprendimento delle lingue in Europa. Tuttavia, sono in molti a definire questa riforma «un paradosso», dato che non viene attuato quanto messo per iscritto.

(C.F)Marta Genís Pedra, presidente dell’Ancles (Associazione Spagnola dei Centri Linguistici Universitari) denuncia l’ipocrisia del Governo spagnolo, perché nonostante l’Unesco abbia dichiarato il 2008 come Anno Internazionale delle Lingue con il motto “Le lingue contano”, «nessuna istituzione pubblica e ufficiale lo ha sottolineato». Anche se Marta Genís ritiene che l’insegnamento delle lingue «è migliorato molto in Spagna», si dimostra scettica riguardo all’adempimento delle richieste dello Spazio Europeo di Educazione Superiore (Eees). In questo senso, la Genís si chiede come uno studente possa dominare due lingue, oltre a quella materna, se i nuovi piani di studio stanno riducendo le ore di lezaioni di lingua, per portare la durata di tutti gli studi universitari a quattro anni, come previsto dal Processo di Bologna. Per quanto riguarda l’educazione primaria, il progresso registrato è «da lodare»: tutti i bambini tra i 6 e i 12 anni hanno professori di sostegno per l’apprendimento dell’inglese in Spagna. «Ma questo impegno non può fermarsi qui».

Solo l’1% del Pil alle lingue straniere

Attualmente, in Spagna, solo l’1% del Pil è destinato all’insegnamento delle lingue straniere. La mancanza di risorse, corpo docente e ore di lezione incidono sulla preparazione degli studenti, i quali sono perfettamente coscienti del fatto che in Europa senza lingue «non c’è niente da fare», come dice Lucia Giordano, da poco laureata presso l’Università di Milano.

La francese Marie Christine Orsoni, direttrice dell’Instituto de Idiomas di Siviglia, spiega che tutte le attività prima considerate “complementari” nei centri ufficiali d’insegnamento delle lingue in Spagna (come la visione e il commento di film o le attività proposte dagli studenti stessi) sono ora considerate «ore e contenuti oggetto di valutazione».

E i dati relativi al passato anno accademico fanno ben presagire: 11.911 alunni di 45 nazionalità distinte iscritti ai corsi di apprendimento di 10 lingue, che a partire dall’anno accademico che sta per iniziare (2008/2009) diventeranno 11 per l’incorporazione del cinese. La Orsoni resta comunque preoccupata per il carattere non ancora obbligatorio dell’apprendimento di una lingua straniera per il conseguimento di un titolo universitario.

Translated from Caso español: aprendizaje de lenguas contra el complejo de autosuficiencia