SOS Giovani cervelli dell’est in fuga
Published on
Perché le giovani intellighenzie della “nuova Europa” sentono un’attrazione fatale per i Paesi della “vecchia Europa”, diventando così i protagonisti di un esodo sempre più visibile?
Fuggono verso le roccaforti occidentali di un know how culturale, scientifico e industriale. I nuovi Ulisse sono giovani e soprattutto polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi: la diaspora è in corso, se ne vedono sempre di più gli effetti sui volti di società che cambiano connotati, idiomi e tasselli culturali. E pinte di birra in cambio di bicchieri di succo di mela e zubrowka.
Ma i nuovi Paesi membri non vorrebbero certo che i loro giovani istruiti abbandonassero le patrie, come mette in evidenza Mateusz Tomala del Partito Legge e Giustizia. Hanno paura delle forze centrifughe che stanno provocando un’emorragia di cervelli senza precedenti. Sono scettici sul fatto che davvero li spinga la voglia di apprendere i vecchi, consolidati modelli social-politico-economici occidentali per poi importarli. Insomma non credono in questo nuova forma di colonialismo opposta al tradizionale modello “dal più forte al più debole”. E se poi non tornano?
L’algoritmo della paura
Le paure della nuova Europa hanno algoritmi difficili. Café babel va alla ricerca di eziologie ed evoluzioni per prescrivere ricette efficaci. Che i cervelli in fuga si accomodino tra i tavolini virtuali di café babel: solo dialogando e conoscendo le storie, personali e dei loro popoli, si arriverà a delle soluzioni..
Prima domanda: perché tanta voglia di fuga nella vecchia Europa? In qualità di nuovi membri dovrebbero aver voglia di affermare un essere “giovani e forti” davanti agli altri. O no? «Giovani e forti? Vero a metà. La Repubblica Ceca è solo un piccolo Stato che può aiutare gli altri Paesi membri a risolvere i problemi, non a fare le regole» dice la studentessa ceca Andrea.
«Negli oltre quarant’anni di dittatura comunista, l’Europa occidentale è stata per noi cechi la “terra della possibilità”: lì non c’erano da fare due ore di fila per le arance. E si poteva diventare ricchi. Ma non potevamo lasciare il Paese, e abbiamo in parte fallito nell’imitare la democrazia occidentale guardandola da fuori. Noi giovani cechi vogliamo imparare, parliamo bene l’inglese, viaggiamo molto e sentiamo di essere il motore della rinascita del Paese: perciò dobbiamo tuffarci nella vera democrazia», dice tutto d’un fiato Filip, ventiquattro anni.
«Salari più alti, più possibilità, esperienze ed un ambiente internazionali: questo ci spinge verso la “vecchia Europa”», sintetizza Judit, ventitré anni, di Budapest.
AAA Bilingue minimo offronsi
Ewa e Magdalena, venticinque e ventisette anni e, da buone polacche, capelli biondi e occhi “azzurri d’un azzurro di stoviglia”, come direbbe Gozzano. Studiano letteratura generale e comparata alla Sorbona. Si accomodano nei tavolini di café babel e raccontano. «Voglia di fare studi all’estero per trovare più facilmente lavoro in Europa e non solo in Polonia, di una “vita culturale” grazie all’ambiente multiculturale. Si impara il savoir vivre in diverse lingue. Bilingue minimo». «In Polonia il futuro non è dipinto di rosa, le prospettive sono strette e tristi», ribadisce Magdalena, che continua: «abbiamo università polacche antiche, ma si sa che le università francesi o inglesi offrono più sbocchi interessanti». Anche per un periodo breve ma qualificante: «Studio lingue moderne e business alla Sorbona, ho ventidue anni, parlo bene inglese e francese e sono venuta a Londra tramite l’università, per uno stage in una grande azienda», dice Ewelina, polacca anche lei. Rincara la dose Piotr, polacco e analista finanziario nella City: «Londra offre moltissime opportunità per quelli che sono pronti a lavorare tanto. È difficile, ma se lavori duro qui puoi realizzare i tuoi sogni».
AAA Dentisti polacchi cercansi
Seconda domanda tra i tavolini di café babel: quali sono i settori più toccati in questi Paesi dalla fuga dei cervelli? La Polonia si vede protagonista di investimenti britannici: a Varsavia è stata creata una scuola di formazione professionale per i dentisti polacchi. Da "inviare" poi alla sanità inglese, ove c'è mancanza di dentisti, racconta ancora Magdalena. «È ormai risaputo che i polacchi sono dei gran lavoratori e sono competenti, perciò i soldi investiti nella loro formazione non sono buttati dalla finestra».
La Repubblica Ceca invece teme soprattutto per gli studenti: vanno in Erasmus e spesso non tornano più. “Non possiamo paragonare le nostre infrastrutture e i nostri investimenti nei settore dell’istruzione e scientifico con quello degli altri Paesi europei”, ci dice Andrea. Ma gli studenti di oggi potrebbero essere gli scienziati di domani. E allora ricchi premi per giovani scienziati offronsi: ne istituiscono la Academy of Sciences of the Czech Republic, The Learned Society of the Czech Republic e i riconoscimenti dedicati a Otto Wichterle, l’anno scorso andati a ventiquattro giovani scienziati.
Il settore ricerca e sviluppo è quello più critico anche in Ungheria, conferma Judit. Perciò molte grandi aziende operanti nel settore delle telecomunicazioni – come la Pannon Gsm, azienda leader nel settore della telefonia mobile – offrono borse di studio a giovani scienziati e dottorandi in materie scientifiche.
Café Therapy e passa la paura
E se poi non tornano? «Dopo tre anni tra Francia e Inghilterra non tornerò in Polonia. Dopo la Sorbona torno a Londra», dice sicura Ewelina. «Vista la situazione attuale in Polonia preferisco starmene qui e vedere cosa succede», sorride Piotr. «Tornerò, sì: quando ci saranno posti di lavoro che danno più soddisfazione personale e professionale», dichiara Ewa in tono di sfida. Le fa eco Magadalena, ma con toni più possibilisti: «Sì, se troverò un lavoro interessante e ben pagato posso tornare a casa; ma posso anche rimanere a Parigi oppure andare altrove in Europa».
Cala il sipario tra i tavolini di café babel: Andrea, Filip, Judit, Ewa, Magdalena, Piotr ed Ewelina si sono espressi in rappresentanza dei nuovi giovani Ulisse colonizzatori dell’est.
Appuntamento l’1 Ottobre a Varsavia: un ciclo di Café Therapy fa bene. Per una taumaturgia della paura.
Hanno collaborato a questo articolo i corrispondenti: da Praga, Andrea Fialková; da Budapest, Judit Járadi.