Solo 50 centesimi e via: in Kosovo prendi il fake taxi!
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Una giornata di Febbraio a Pristina. Delle automobili vuote si accostano al marciapiede e i conducenti lanciano segnali in codice con gesti consueti: la polizia non può sapere. Tutti colgono il messaggio, e gli interessati salgono a bordo. La macchina riparte simulando indifferenza.
Non è l' ennesima storia a luci rosse made in Est Europe, piuttosto un ombra sulla quotidianità di una capitale europea sempre in bilico tra lecito e illecito. Il Kosovo ci racconta storie di ordinaria illegalità.
Sono a Luan Haradinaj, principale punto di snodo nel caos di Pristina, insieme con Ardian, il mio ragazzo kosovaro. Aspettiamo un taxi per andare all’ETC, che promette essere il centro commerciale più grande del Kosovo. La città appare ancora assonnata e pigra, la gente si addossa silenziosa ai lati della strada e una certa indolenza serpeggia un po' ovunque.
Alcune utilitarie sfilano lente fiancheggiando i passanti. Una vecchia Volkswagen Golf 2 malridotta si accosta al marciapiede, e poi una Opel Vectra, e ancora, e ancora... Immersa io stessa in questo generale torpore, improvvisamente sono sorpresa da qualcosa di insolito. I conducenti di alcune automobili temporeggiano vicino a un gruppetto di pedoni ancora fermi sul marciapiede. Poi uno di loro tira fuori dal cruscotto un cartellino bianco con su un numero dipinto in grande, di rosso. La gente controlla il numero indicato dall'autista, alcuni salgono su, e l' auto va via. «Ma cosa stanno facendo?», chiedo ad Ardian. «Prendono il taxi», mi risponde serio. «Quello lì è l'1, il nostro, saliamo dài!»
"Un segreto che io non conosco"
Sospinta dentro con una certa foga, ecco che mi ritrovo anch’io dentro una di queste vetture sospette. Ci sono già due ragazze a bordo, quindi chiudiamo lo sportello mentre una donna rom con un bimbo in braccio gesticola e dice qualcosa, speranzosa. L'uomo alla guida fa un deciso segno di no, e partiamo. Durante tutto il tragitto nessuno parla, c'è come un tacito accordo tra i passeggeri: condividono un segreto che io non conosco.
«Ma in Kosovo i taxi non hanno segni distintivi, codici sulle fiancate e tassametri?». «Quelli ufficiali», sorride Ardian, «Ma questo è un fake taxi. La gente preferisce questi qui. Sono illegali, ma costano 50 centesimi e arrivi anche dall'altra parte della città». Lancio un'occhiata fugace all'uomo al volante, avrà sui 35 anni, e sta fumando. Ecco svelato il mistero. E il tassista come fa a sapere dove vanno, dal momento che nessuno parla?». Sbircio il conducente dallo specchietto. «Se quello entrato prima di te deve andare da tutt'altra parte, lo devi aspettare?» Ci sono dei percorsi prestabiliti. Ogni tassista mostra il numero del tragitto che segue. Le persone qui già sanno che l'1 arriva fuori città fino alla cittadina di Fushë Kosovë, il 2 percorre tutto il centro, mentre il 3 arriva in zona ospedaliera. Quando sali sai già in che direzione va, e quando vuoi scendere semplicemente gli fai cenno, il taxi accosta, e paghi i tuoi 50 centesimi».
Un sistema ben rodato
"Di solito ritirano il libretto e li multano, ma sicuramente si accordano anche fra di loro, e trovano "dei modi" per far chiudere un occhio".
Certo che sono ingegnosi, sorrido fra me e me. Neanche nella mia Napoli si fanno cose simili. Sì, forse qualcuno in passato ci aveva provato, ma erano singoli individui che tentavano la sorte, mentre qui c'è un vero e proprio sistema sommerso strutturato minuziosamente. «E cosa succede se gli agenti li fermano?», incalzo. «Capita. Devono stare molto attenti. Una volta salii su un fake taxi e il conducente mi disse - Ascolta, se la polizia ci becca io mi chiamo Nuhi e noi due ci conosciamo - (ride). Lo fanno da tempo ormai, dalla fine del 2006, e la polizia ne ha presi molti. Di solito ritirano il libretto e li multano, ma sicuramente si accordano anche fra di loro, e trovano "dei modi" per far chiudere un occhio. Comunque, una volta, un anziano conducente mi disse di aver ricevuto ben otto multe, e di non averne mai pagata nessuna. Ma io so che paura hanno, infatti ultimamente ho notato che alcuni invece di mostrare il cartello col numero, si limitano a un veloce cenno con le dita ("uno", "due" o "tre"), e la gente capisce».
Leggi su cafebabel.com l'edizione speciale di Orient Express Reporter dal Kosovo
«Sei albanese?». L' uomo alla guida ci interrompe con mia sorpresa, rivolto ad Ardian. Sembra incuriosito dal fatto che parliamo in inglese. Non deve aver lavorato con molti turisti. «Sì, sono albanese»(intendono: albanese-kosovaro). «E lei di dov' è?»«Unë jam italiane, dhe nuk flasë ship!» Sono italiana e non parlo albanese! Lo precedo io, per farlo sorridere.
Perché qui si vive così, ma si continua a sperare.
I kosovari che prendono un Fake Taxi per andare a fare la spesa all'ETC, sono gli stessi che hanno salutato il nuovo millennio tra le rovine dei palazzi crollati, tra la polvere che sale al cielo e porta con sé le infanzie dei bambini e le faticate sicurezze degli adulti. Perché avvenimenti come la guerra non ti abbandonano mai, che tu lo voglia o meno. I ricordi ti inseguono come spettri e ti fanno ancora svegliare la notte, di soprassalto.
Eppur... si muove. Lentamente, come un bambino che gattona, ma si muove. Da due anni lo squallore dei massacri ha cambiato volto, e in ogni strada, bar, ateneo, rimbomba l'eco di uno stesso mix di parole: indipendenza, libertà, orgoglio, speranza. E si può raccontare una nuova storia, che comincia con un kosovaro che entra un taxi. «Buongiorno, dove andiamo?»«In Europa, per favore».
Foto: © Ezequiel Scagnetti