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Solidarietà contro i muri d'Europa: le vite sospese dei migranti in Italia

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Firenze

Due mesi fa la polizia italiana ha sgomberato il campo profughi di Ventimiglia, facendo sloggiare i migranti e mandando al macero tutto quello che era servito loro per sopravvivere. Ma quel luogo resterà uno dei migliori laboratori di integrazione visti in Italia. Cafebabel vuole raccontarvi cos'era attraverso un'iniziativa partita dal volontariato fiorentino.

AUCS, Anelli Mancanti e La Polveriera: sono le tre associazioni fiorentine che si sono unite all'insegna dello spirito umanitario, organizzando una raccolta di materiali da portare a Ventimiglia, dove per circa tre mesi molti rifugiati provenienti perlopiù dal Sudan e dai Paesi africani si trovavano bloccati a poche centinaia di metri dalla frontiera francese con la speranza di poterla oltrepassare.

Il campo d’emergenza allestito a Ventimiglia, pochi giorni dopo, è stato interamente sgomberato dalle forze dell'ordine, con la perdita di tutto ciò che lì era stato portato e costruito, attraverso donazioni simili.

Sono ormai passati due mesi da quella notte ma ciò che quel luogo ha simboleggiato non è stato cancellato. “Help Ventimiglia!” (questo il nome dato all'iniziativa) ha richiamato molti cittadini desiderosi di fornire il loro contributo portando ciò che potevano, da scatole di cibo a vestiti per donna, uomo e bambino, dalle scarpe alle coperte ed agli zaini. La risposta è stata talmente considerevole durante i quattro giorni di raccolta dal 21 al 24 Settembre presso il Polo universitario di Novoli, il chiostro di Sant'Apollonia e la sede di Anelli Mancanti che alla fine la quantità di materiale raccolto è risultata essere oltre ogni più rosea aspettativa, soprattutto se considerato che il tutto è stato pubblicizzato solo attraverso Facebook ed il passaparola.

Le pile di scatoloni erano talmente alte che fin da subito è risultato chiaro che non sarebbe stato possibile portare tutto quanto a Ventimiglia nel fine settimana successivo, avendo a disposizione due auto. Così ció che non si poteva portare, è stato tenuto da parte, pronto per essere portato ad altri migranti presenti nel nostro Paese.

La vita nel campo autogestito

Il sabato mattina le due auto sono partite alla volta del confine italo-francese fino ad arrivare alla dogana, da un po' di tempo presidiata dalla gendarmerie come non si vedeva da diversi anni. Qui, a duecento metri dalla linea di confine sorge il campo autogestito da migranti e No Borders, attivisti che aiutano i circa cento profughi a soddisfare ogni tipo di fabbisogno, dal cibo ai vestiti, da un materasso su cui dormire all'acqua per lavarsi. Il campo si trova intorno ad un vecchio bureau de tourisme e davanti al parcheggio di un residence, proprio sotto al ponte su cui passa la ferrovia che collega Ventimiglia a Melton, la prima cittadina che si incontra in territorio francese. Il campo è organizzato molto bene, con bagni, area comune per mangiare o per fare attività insieme (ballare, cantare, parlare, ecc.) e le tende per dormire.

Ogni giorno si svolge un'assemblea collettiva, che coinvolge tutti, attivisti e rifugiati, per discutere dei bisogni del campo e decidere cosa fare. Ognuno dice la propria e poi viene deciso tutto a maggioranza. “Queste assemblee sono molto importanti per noi”, ci racconta una ragazza dei No Borders, “ci servono a stabilire un contatto sempre maggiore con loro ed a prendere decisioni condivise che aumentino la coesione e la forza della nostra attività”.

Una volta arrivati un ragazzo dei No Borders ci viene incontro, ci presentiamo e lui inizia a spiegarci un po' la situazione. Gli attivisti che sono stabilmente presenti al campo sono circa una ventina, ma tanti altri vengono a dare una mano appena possono, soprattutto nel fine settimana. Vengono organizzati corsi di italiano e di francese per i rifugiati, che a loro volta invece insegnano l'arabo ai ragazzi italiani. Ma soprattutto gli attivisti cercano di far capire ai migranti qual'è la loro situazione giuridica in Europa e cosa sta accadendo, nonché quello che dovranno fare per richiedere l'asilo politico quando riusciranno ad entrare in Francia.

Mentre parliamo con lui ci passano intorno tanti ragazzi che vivono nel campo, ci osservano incuriositi ma non esitano a mostrarci un sorriso. Nonostante alcune cose lette sui giornali o viste in televisione, la calma e la tranquillità che si respira stando lì è impressionante.

Nel corso di questi mesi sono state organizzate molte manifestazioni davanti alla dogana, ma nessuna è mai sfociata in episodi di violenza da parte dei rifugiati. Spesso si è trattato di un blocco del traffico a cui sono seguiti magari spettacoli teatrali inscenati dagli stessi profughi oppure canti e tamburate su note africane e non. “Siamo i primi, ed i ragazzi (i rifugiati, ndr) con noi”, continua il ragazzo, “ad essere consapevoli del fatto che la violenza sarebbe controproducente alla nostra causa, perchè porterebbe sicuramente brutte conseguenze per tutti quelli che si trovano qui al campo”.

Al momento di scaricare gli scatoloni dalle macchine, i ragazzi No Borders controllano il loro inventario e ci dicono che hanno ricevuto tanto aiuto e tanto sostegno nelle scorse settimane mentre ci sono altri centri che sono molto in difficoltà, come ad esempio quello di Bologna in cui ci consigliano di andare. Così richiudiamo le auto e rimaniamo lì nel campo a conoscere questa realtà da vicino. Alla vista delle macchine fotografiche molti dei ragazzi africani si impauriscono perchè non ci conoscono bene ed iniziano ad allontanarsi, salvo poi essere tranquillizzati dai No Borders. “Come dar loro torto? Siamo abituati a vedere avvicinarsi persone che iniziano a fare fotografie senza sapere minimamente chi sono”, ci spiega uno dei ragazzi. “Spesso però sono poliziotti o agenti della Digos in borghese, come quello dell'altro ieri che è venuto a fare domande fingendosi un'impiegato dell'ASL ma che tutti noi avevamo già visto durante le manifestazioni”.

Mentre siamo a parlare con alcuni attivisti sentiamo un grande applauso e voci che si alzano dal parcheggio antistante il campo, così andiamo a vedere che sta succedendo. Tre ragazzi sudanesi stanno salendo su un'auto con targa francese che è venuta per portarli aldilà del confine. “Loro sono minorenni”, ci racconta una delle attiviste, “e Amnesty International riesce a fare qualcosa per loro, aggirando le restrizioni che invece ci sono per gli adulti. Per loro la situazione, invece, è molto più difficile...”.

La trappola giuridica della Convenzione di Dublino

Il governo di Hollande ha imposto il blocco delle frontiere e, per la convenzione di Dublino del 2013, i rifugiati che sono arrivati in Italia non possono accedere in Francia. Coloro che lo fanno vengono immediatamente riportati aldilà della frontiera. I pochi che riescono a passare la dogana lo fanno per poco tempo perchè o vivono come clandestini oppure presentano richiesta di asilo e ad inchiodarli è appunto il trattato di Dublino. “Il nostro campo”, ci racconta un No Border, “si trova esattamente sotto la ferrovia che collega Ventimiglia a Melton e alla Francia in generale. Alla stazione tutti i treni vengono fatti fermare dai gendarmi, i quali salgono sul treno e chiedono i documenti a tutte le persone di colore mentre ignorano gli altri, basando quindi la propria attività di controllo su un parametro palesemente razzista”.

Molti profughi che arrivano a Ventimiglia vengono avvicinati da quelli che vengono definiti passeurs, ossia persone che promettono la possibilità di passare la frontiera in cambia di una somma di denaro. Per questo diversi attivisti No Borders si recano spesso alla stazione, in modo da salvare i malcapitati che, sia per ignoranza delle leggi che li costringono a rimanere aldiqua della frontiera sia per disperazione, altrimenti sarebbero truffati da questi individui che lucrano sulla pelle dei rifugiati. In modo che chi è già in svantaggio non prenda pure calci dalla vita, parafrasando una canzone de La Casa del Vento.

continua...