Sofia, la crisi siriana è arrivata in Europa
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Viviana MontanaroUn afflusso di rifugiati senza precedenti. Impreparata e senza un sufficiente supporto da parte dell’Ue, la Bulgaria ha difficoltà nell’affrontare l'afflusso di persone causato dalla guerra in Siria. Le famiglie siriane, sfuggite a un brutale conflitto, si ritrovano nel mezzo di una crisi umanitaria. Reportage da Sofia.
“Abbiamo deciso di venire in Bulgaria sebbene non conoscessimo il Paese. Non sapevamo che non ci fosse lavoro per i bulgari e nemmeno ciò che i cittadini pensano degli stranieri”, racconta Ami, 20, un ragazzo siriano di origine curda che non vuole svelare il suo vero nome. Lui e la sua famiglia alloggiano al centro accoglienza profughi di Vrazdebna, a Sofia, capitale della Bulgaria.
Sebbene la struttura abbia una capacità massima di 310 persone, attualmente ospita più di 400 richiedenti asilo politico. La madre di Ami prepara del tè e siede vicino a noi con un sorriso caloroso. La stanza ospita 20 persone: 2 per letto; le scarpe sono tutte posizionate di fronte alla porta che, senza maniglia, viene chiusa con una corda; in un angolo c’è una piccola cucina.
La Bulgaria è uno dei Paesi più poveri dell’Ue e non è mai stata una meta popolare per i richiedenti asilo politico. Tuttavia, negli ultimi mesi, il Paese ha assistito all’arrivo di un’ondata di immigrazione senza precedenti. La maggior parte entra nel Paese attraverso la Turchia, sfuggendo così al sanguinoso conflitto siriano.
Le persone dietro ai Numeri
Nel 2013 sono arrivate più di 8000 persone, rispetto ai 1000 profughi degli anni passati. Il Paese non è pronto a far fronte a un tale afflusso e si trova in difficoltà per fornire un alloggio adeguato a tutti. Molti vivono in condizioni squallide, in campi improvvisati, senza un regolare approvvigionamento di cibo, riscaldamento o accesso a cure mediche.
Ami e la sua famiglia sono arrivati a settembre, quando, di notte, hanno attraversato illegalmente il confine turco-bulgaro. Il ragazzo ha temuto di non sopravvivere a questo viaggio estenuante intrapreso con i suoi genitori, 6 fratelli e sorelle e la nonna di 70 anni. Vengono dalla città di Qamishli, nord-est della Siria. Ami, sua sorella – intenta a leggere in un angolo della stanza, – e suo fratello studiavano rispettivamente geologia, informatica e filologia inglese. "Vogliamo tutti continuare i nostri studi", dice Ami, che si lamenta perché non è abituato a lavarsi così di rado: ci sono pochi scaldabagno nell’edificio e più di 100 persone in fila per ogni doccia. Recentemente ha iniziato a studiare bulgaro.
Latifa, 24 anni, è una casalinga e viene da Damasco: “Tutti mi vogliono bene qui”, dice. Grazie al suo carattere brioso e alla gentilezza che mostra verso i bambini e le ragazze più giovani, è diventata l’anima e il cuore del campo. È arrivata qui con il marito e i suoi figli gemelli, insieme ad altre 3 famiglie. Per il viaggio hanno pagato 450 dollari a persona. Quando non si occupa dei suoi figli, Latifa passa il tempo ad aiutare la madre di una bambina nata una settimana fa nell’ospedale locale. La piccola dorme in una stanza adibita ad asilo nido che, a differenza delle altre, grigie e affollate, è confortevole e colorata, con scaffali pieni di giocattoli. I bambini corrono per tutto il campo: attualmente sono 2135 quelli che vivono nei campi profughi e molti sono orfani di guerra. Se non fosse per l’aiuto dei volontari, in molte di queste strutture non ci sarebbe neanche un rifornimento regolare di cibo. Inoltre, i profughi dipendono dalle donazioni o da un sussidio mensile di 33 euro. A causa dello stress alcune madri non possono più allattare i loro figli.
Mai vista una crisi umanitaria del genere
Sabrina Trad, una volontaria che lavora per una ong racconta che, “sebbene siano state prese alcune misure per migliorare le condizioni delle strutture, la situazione è dura poiché i ricoveri sono affollati e inadatti”. Lei è di origini bulgaro-siriane e sottolinea che il vero problema sono i campi provinciali, uno dei quali è un’ex base militare che si trova nella città di Harmanli, nel sud-est della Paese. Qui, a novembre, 100 persone hanno minacciato lo sciopero della fame come protesta contro le condizioni di vita del campo che ospita 1000 persone.
Nikolay Chirpanliev, capo dell’Agenzia Nazionale per i Rifugiati, ha annunciato che 800 mila euro sono stati assicurati dall’Ue, altrettanti dal governo bulgaro, 1 milione dalla Repubblica Ceca e 3.6 milioni dollari dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Chirpanliev ha inoltre promesso che le condizioni di vita miglioreranno rapidamente.
Il fratello di Sabrina, Ruslan Trad, giovane giornalista bulgaro, ha sottolineato però che la Bulgaria non ha mai affrontato una crisi umanitaria su così larga scala prima d’ora. Secondo lui, “è importante per la Bulgaria affrontare la situazione e occuparsi delle forze politiche in gioco. L’afflusso di profughi continua e non ci sono posti adatti a fornire una qualità di vita decente: la situazione potrebbe degenerare in una crisi”.
Sogni e populismo
Secondo gli inviati, i movimenti nazionalisti stanno infatti approfittando della situazione per guadagnare supporto. A novembre, Volen Siderov, leader del partito nazionalista, Ataka, ha chiesto di espellere tutti gli immigrati illegali dal Paese. Ruslan Trad afferma che i sentimenti verso gli immigrati sono divergenti. Infatti, sebbene la maggior parte della popolazione bulgara non condivida la presenza dei profughi, ci sono “dozzine di volontari che dedicano tempo e risorse per aiutarli”.
La famiglia di Ami attende una decisione sul loro status di rifugiati che dovrebbe essere presa nei prossimi mesi. Non sanno se qualcuno nel campo abbia già ottenuto lo status ufficiale. In realtà anche i pochi che l'hanno ottenuto non se ne vantano.
I profughi si ritrovano intrappolati in una specie di limbo. “Il tempo qui passa lentamente: un mese sembra un anno. Non vogliamo tornare a vivere in condizioni terribili. L’Europa occidentale è il luogo migliore dove andare”, dice Ami.
Interrogata sul suo futuro, Latifa risponde che tutto quello che vuole è avere una “vita felice”.
Finché l’Ue non affronterà ciò che sembra trasformarsi rapidamente in una crisi umanitaria, Ami non riuscirà a trasferirsi e Latifa non avrà la sua “vita felice”.
– Questo articolo fa parte Dossier "Siria" di Cafébabel –
Translated from Bulgaria's syrian refugee crisis