Slovacchia, il buco nero del voto europeo
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Viaggio a Bratislava, crocevia tra la Russia e l'UE dove la partecipazione elettorale stenta nonostante la forte identità europea e dove la protesta e la disillusione non sono sfociate nell'euroscetticismo e nel populismo.
Non è un Paese da assalto ai seggi. Già nelle elezioni europee del 2004 e del 2009 la Slovacchia vinse la gara dell’astensionismo tra gli stati dell’Unione Europea con il 17% e il 20% scarsi di affluenza. Ma il peggio doveva ancora venire: il record negativo è stato toccato con il voto di maggio, un 13% imbarazzante per il governo di Bratislava, soprattutto se paragonato con la media europea (43%) o con la vicina Austria (46%).
La fuga dalle urne è stata motivata dalla lunga serie di elezioni, quattro in 12 mesi fra regionali, presidenziali, europee e comunali, che hanno stremato gli elettori e prosciugato i partiti, arrivati all’appuntamento comunitario senza energie. Ci sono però ragioni congenite, slegate dal particolare momento. Ľuboš Blaha, membro del partito di sinistra Smer e presidente del Comitato per gli Affari Europei ha le idee chiare: "Lo slovacco medio pensa che 13 parlamentari su 751 non contino nulla e sia inutile votarli. Manca un modo di pensare 'europeo', l’Ue piace perché dà soldi, ma il senso di appartenenza culturale è ancora lontano". Rincara la dose Andrej Klapica, candidato senza successo a Strasburgo con i cristiano-democratici di Kdh: "Il problema è l’ignoranza. Nelle scuole gli studenti pensano che il parlamento europeo si trovi a Bruxelles e non sanno nemmeno i nomi dei loro 13 deputati". Nel mirino anche i giornalisti, che «parlano poco di Europa: la media annuale di un europarlamentare in televisione è 4 minuti, nulla in confronto ai politici nazionali».
L’Europa è lontana, la politica anche
Il centro di Bratislava, però, dà proprio la sensazione di un salotto in mezzo all’Europa. La Cortina di ferro è caduta anche simbolicamente e i palazzoni dell’architettura comunista cedono lentamente il passo a grossi centri commerciali. Sulle rive del Danubio si respira “occidente” a pieni polmoni e senza le ostiche scritte in slovacco sui cartelli, sembrerebbe di passeggiare per Vienna o Dresda. L’inglese è diffuso fra i giovani, che commentano il voto europeo più con rassegnazione che rabbia. Patrick Pavloski, studente di scienze politiche all’Università di Bratislava, spiega: "Non siamo abituati a elezioni internazionali, le persone pensano che siano più importanti quelle interne ed è difficile motivarle. "C’è delusione per corruzione politica e programmi insoddisfacenti, queste condizioni fanno passare la voglia di recarsi alle urne- afferma invece Andrej Čierny, della Scuola d’arte di Bratislava, senza nascondere cause più profonde: "vediamo lontana l’Ue, i giornali ne parlano solo a ridosso delle elezioni. Sono sicuro che la maggioranza dei miei coetanei non saprebbe dire quanti siano i nostri rappresentanti a Strasburgo". Per loro Europa vuol dire viaggiare, studiare e lavorare all’estero, tariffe generose di roaming e benzina per l’economia nazionale. A precisa domanda rispondono senza esitazione di sentirsi più slovacchi che europei, ma sono gli alfieri di una generazione che deve compiere il passo decisivo per un’integrazione completa. "Europa è sinonimo di libertà. Soltanto 25 anni fa, certe cose non si potevano fare: sentirmi europea è soprattutto sentirmi libera di andare dove voglio, connessa con migliaia di altre persone e coinvolta in una comunità" Linda Tóthová, psicologa e specialista in risorse umane, ha solo 31 anni, ma non dimentica il passato del suo Paese e le limitazioni del regime comunista. Per lei come per gli altri la sfida è far capire ai propri compatrioti, soprattutto quelli più avanti con l’età, che la loro opinione conta qualcosa. Impresa ardua, se la visione più diffusa dipinge gli europarlamentari come scaldatori di sedie a libro paga del popolo slovacco.
Nessuna reazione euroscettica
Su una cosa, al contrario, giovani e politici sono tendenzialmente d’accordo: la politica estera dell’Unione verso la Russia dev’essere più morbida. Se per molti l’annessione della Crimea è un’ingiustizia, è anche vero che Putin si comporta esattamente come altri leader mondiali, che non vengono condannati alla stessa maniera. Tra i ragazzi delle Università cittadine il messaggio è comune, la demonizzazione della Russia che fanno alcuni europei, da queste parti non piace affatto. "Siamo legati ai russi per lingua, cultura e tradizioni", fa notare Blaha "e saremmo i primi a pagare per le sanzioni a Mosca, vista la dipendenza energetica dal loro gas e la stretta relazione fra le due economie. La nostra posizione è opposta a quella, per esempio, della Polonia: è un bene che fra i Paesi Ue ci sia qualcuno più propenso a dialogare con il nostro imponente vicino".
Europa da bacchettare, ma comunque mai in discussione: il disinteresse per le elezioni non sfocia in reazioni euroscettiche. Qui nessun Front National o Ukip ha drenato l’insoddisfazione per gli schieramenti tradizionali e le formazioni estremiste sono rimaste a mani vuote: il Partito nazionale slovacco (Sns) è in disarmo e non ha ottenuto nemmeno un seggio; stessa sorte per “La nostra Slovacchia” (L’sns), che pure aveva spaventato gli analisti con la vittoria nella regione di Banská Bystrica di Marian Kotleba, leader dalle malcelate simpatie naziste. Sugli slovacchi non fanno presa le battaglie contro immigrazione e minoranza Rom e ancor meno sembra loro possibile o auspicabile uscire dall’Europa. "Nessuno si sogna di contestare l’Euro, come avviene in Francia e Italia", afferma Pierluigi Solieri, direttore di Buongiorno Slovacchia, "anche perché il tasso di cambio è stato favorevole e i prezzi non hanno subito impennate con il passaggio alla moneta unica". Gli fa eco Roberto Rizzo, dell’ambasciata d’Italia a Bratislava: "Gli slovacchi non hanno mai vissuto così bene, ricchezza e occupazione sono salite nonostante la crisi e l’Ue ha portato crescita e fondi per le infrastrutture". Non un sentimento anti-europeo, dunque, quanto una partecipazione passiva, come se l’essenziale fosse la membership nel club, piuttosto che le decisioni che vi si prendono.
«L’UE è stata un punto di arrivo, non di partenza»
"Quando eravamo fuori dall’Europa volevamo assolutamente entrarci, ora ci siamo rilassati". A dirlo è Magdalena Vasaryova, un passato da attrice e ambasciatrice, ora in Parlamento e al Comitato Affari Europei con Sdkú, centro-destra moderato sulla scia dei Popolari Europei. "I concetti di responsabilità e di cittadinanza faticano a imporsi, per i tanti anni passati sotto regimi autoritari. Abbiamo avuto aspettative troppo alte, prima con la caduta del Muro e poi con l’ingresso nell’Ue: intere generazioni di slovacchi vogliono toccare con mano il benessere e, se non sembra abbastanza, rimangono delusi". Tra i politici che vedono in Bruxelles un bancomat a disposizione e quelli ancorati a presunti valori tradizionali, l’immagine dell’Europa data ai cittadini è distorta: "Ma non provate a dire che siamo un ponte fra Est e Ovest. Siamo europei al 100% e la progressiva modernizzazione del Paese risolverà anche i contrasti su temi scottanti come Lgbt o fecondazione in vitro". Bisogna partire, suggerisce Vasaryova, dall’informazione nelle scuole e su internet e anche l’Ue dovrà essere più presente con le visite dei suoi rappresentanti. Perché le nuove generazioni sentano più Europa dentro e fuori dalle cabine elettorali.