Sicurezza: Parigi e Berlino nelle grinfie del Dragone
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valeria vivarelliLa Germania e la Francia premono sull’Europa perché sospenda l’embargo alla Cina sugli armamenti, una sanzione imposta poco dopo il massacro di piazza Tienanmen. Analisi di un doppio errore: politico e strategico.
L’accoppiata franco-tedesca vuole dimenticare il passato e ignorare il presente. Sono passati più di 14 anni dall’embargo imposto alla Cina sulla vendita di armi, a titolo di sanzione dopo il massacro di un migliaio di persone perpetrato dall’esercito in piazza Tienanmen il 4 giugno 1989. Oggi, Parigi e Berlino vogliono sospendere l’embargo, nonostante il fatto che Pechino continui a violare i diritti umani e minacci l’invasione di Taiwan. Sulla richiesta del Presidente Chirac, il Consiglio Europeo ha accettato di «riesaminare la questione dell’embargo». C’è poi stata Berlino per dar man forte al governo francese, che ha combattuto una campagna di qualche mese per convincere i suoi partner europei. Nel giugno 2003, il Ministro della Difesa francese, Michèle Alliot-Marie, aveva già chiesto di “alleviare” il dispositivo di sanzioni.
Ma perché togliere l’embargo sulle armi? Perché è “anacronistico”, secondo il Primo Ministro francese Jean- Pierre Raffarin. L’idea però non è francese. Il 30 ottobre, durante il 6° Summit Cina-UE a Pechino, il Presidente Hu Jintao aveva giudicato ormai “superati” gli avvenimenti di piazza Tienanmen e riteneva fosse giunta l’ora di “togliere le barriere a un rafforzamento della cooperazione bilaterale sino-europea nel campo dell’industria della difesa e della tecnologia”. La moralità da tempo dimenticata ha lasciato via libera a una tentazione troppo forte. I governi francese e tedesco hanno ceduto alle lobbies militari e industriali le quali non aspettavano altro che il via libera per gettarsi sul mercato cinese delle armi. Senza scrupoli. Se Chirac e Gerhard Schröder convinceranno i loro omologhi europei, commetteranno un duplice errore: politico e strategico.
I diritti dell’uomo nel dimenticatoio
Un errore politico, perché l’embargo sulla vendita di armi si basa sul tentativo di indurre un miglioramento della condizione dei diritti umani in Cina. “Togliere l’embargo darebbe l’impressione che sono stati compiuti dei progressi”, ha avvertito Thomas Mann, il Presidente del Tibet Intergroup al Parlamento Europeo. Per alcuni diplomatici, una ratifica da parte di Pechino della Convenzione ONU sui diritti civili e politici – firmata nel 1998, con qualche riserva (pena di morte, “libertà di associazione” ecc.) – potrebbe bastare. Assurdo. Ricordiamo che Hu Jintao, il nuovo numero uno cinese, ha inviato dopo il massacro di Tienanmen un telegramma di congratulazioni ai dirigenti di allora e, soprattutto, nel marzo dello stesso anno, ha represso nel sangue un’insurrezione tibetana. La “nuova” Cina che egli incarna non rimpiange nulla, testimoniando in questo modo le violazioni ancora persistenti dei diritti umani. Il rapporto 2003 di Amnesty International denuncia il numero terrificante di condanne a morte e di esecuzioni registrate nel 2002: rispettivamente 1921 e 1060. Come si possono poi ignorare gli ormai regolari arresti di lavoratori per l’uso pacifico della libertà di espressione? Sospendere l’embargo sulle armi seppellirebbe definitivamente il Dialogo sino-europeo sui diritti umani e la democrazia.
Convergenza illusoria
La volontà di sopprimere questo embargo testimonia anche una terribile illusione strategica dalle conseguenze incontrollabili. I francesi e i tedeschi credono a torto che la Cina condivida la loro visione di un «mondo multipolare», dove i contrappesi all’unilateralismo americano assicurerebbero la pace e lo sviluppo del mondo. Pechino ha compreso bene come manipolare questa pretesa di convergenza d’interessi. I suoi obiettivi non hanno nulla a che vedere con una pace equilibrata. Si tratta unicamente di ristabilire l’ “unità della Cina” e di ritrovare una posizione preponderante in Asia e nel Pacifico. Da questa visione bisogna estromettere gli Stati Uniti, i soli veri rivali. Dov’è mai l’interesse dell’Europa in tutto questo?
Stregate dalla loro illusione, Germania e Francia si lasciano guidare dalla loro cupidigia. Poco importa procurare armi a una Cina che minaccia più che mai di invadere l’isola di Taiwan. Il 20 novembre, il Primo Ministro Wen Jiabao aveva dichiarato che il suo paese era pronto a “pagare qualsiasi prezzo” per impedire a Taiwan di organizzare un referendum sulla sua indipendenza totale. Per rendere la sua minaccia credibile di fronte allo scudo americano anti-missilistico che protegge l’isola, Pechino ha bisogno delle tecnologie europee dette “sensibili”. Da qui il suo fervore nell’assegnazione di 200 milioni di euro al progetto Galileo. Questo sistema di sorveglianza civile e militare via satellite, dovrebbe permettere agli europei di non dipendere dal GPS, il dispositivo americano. Una manna tecnologica e strategica per i nostri “partners” cinesi. Insomma, la sospensione dell’embargo europeo sulle armi costituisce l’ultimo ostacolo – “anacronistico” – a una “cooperazione strategica” fiorente.
Alla Cina non resta che sperare in un consenso europeo sulla questione. La partita è semplice: è sufficiente dare fiducia alla coppia franco-tedesca per sciogliere le ultime riserve. Gli affari promettono bene visto che i danesi e gli svedesi, ultimi rappresentanti della coscienza europea in materia, hanno anch’essi votato il riesame dell’embargo. Nulla di guadagnato per il momento. Ma il dragone attende pazientemente la sua ora.
Translated from Ventes d’armes : Paris et Berlin dans les griffes du dragon